Storybook endings, fairytales coming true
Deep down inside, we wanna believe they still do

Nella loro semplicità, i due versi con cui si apre Ever ever after di Carrie Underwood, brano finale di Come d’incanto (Enchanted, 2007), ci dicono già tutto ciò che dobbiamo sapere, svelando il bisogno nascosto alla base del film, ossia la necessità del pubblico di credere ancora alle fiabe in un mondo pervaso di cinismo e disincanto.
In questa sede analizziamo il contesto in cui il film è uscito e le dinamiche che ci hanno portato a quel punto e che da quel punto ci faranno ripartire, costruendo un ponte fra Shrek e Come d’incanto e fra Come d’incanto e le successive fiabe animate disneyane, ma senza dimenticare l’impatto di due fiabe Disney-Touchstone in live action che, con diverse modalità, avevano già portato l’incanto nel contesto urbano degli anni ’80 e ’90…

2001, l’immaginario collassa nel reale (e viceversa)

Il 2001 ha segnato uno spartiacque nella storia dell’animazione occidentale.
Sono passati sette anni da quando il produttore Jeffrey Katzenberg, dopo aver contribuito ai più grandi successi del Rinascimento Disney (dal 1989 al 1994), ha abbandonato la Walt Disney Animation e si è alleato con Steven Spielberg e David Geffen per fondare la Dreamworks, nuova casa di produzione di cui ha iniziato a gestire il settore animazione. Nel 1998 produce Il principe d’Egitto (progetto più volte rifiutato dalla stessa Disney per via del soggetto biblico, troppo serio e violento) e, grazie a varie “soffiate” in merito ai progetti in cantiere alla Disney e alla Pixar, conduce una concorrenza sleale e spietata, producendo un film in CGI incentrato sul mondo degli insetti (Z la formica) per anticipare A Bug’s Life (1998) e uno dall’umorismo fulminante e dall’ambientazione pre-colombiana (La strada per El Dorado) per anticipare Le follie dell’imperatore (2000). È evidente che volesse fare un dispetto alla Casa del Topo, da cui se n’era andato sbattendo la proverbiale porta.

Il tiro mancino che farà quasi capitolare la Disney sarà tuttavia una produzione, al tempo considerata minore, che si rivelerà essere ancora più dirompente di quanto lo stesso Katzenberg avrebbe potuto immaginare. Parliamo ovviamente di Shrek (2001), un film che, divertendosi a profanare l’immaginario disneyano, provoca un effetto collaterale: la storia dell’orco verde altera per sempre la percezione del pubblico in merito alla fiaba animata, che da quel momento in poi sarà vista come una forma narrativa da dissacrare a ogni costo, mettendone in luce la scarsa aderenza con la realtà. I confini fra reale e immaginario sono sempre più labili, nella mente del pubblico: così anche l’attentato alle Torri Gemelle, trasmesso in diretta tv qualche mese dopo, viene seguito da milioni di telespettatori che si ritrovano a chiedersi: “È un film o sta succedendo davvero?”.

Anche gli invitati al Ballo, nella parte finale di Come d’incanto, hanno problemi a distinguere fra realtà e fantasia: inizialmente credono che ciò che accade davanti ai loro occhi (la comparsa della strega Narissa e il bacio del Vero Amore dato da Robert a Giselle) non sia altro che uno spettacolo.

Nel cinema d’animazione avviene il processo contrario: ciò che prima era universalmente accettato come fiabesco e dunque archetipico, idealizzato e puramente simbolico, adesso acquisisce pretese di realtà.
Si avvia un cortocircuito da cui non si potrà più tornare indietro, tanto che Shrek da parodia si trasformerà in nuovo modello narrativo e produttivo. Un modello con cui la stessa Disney dovrà confrontarsi quando tornerà a occuparsi del genere della fiaba.

Così prende vita il piano di Katzenberg, la vendetta di colui che aveva contribuito a forgiare il Rinascimento Disney e che ora, tagliato fuori dalla sua stessa macchina da soldi, cerca di distruggerla. Tuttavia, anche il più sadico intento del produttore non si sarebbe potuto avvicinare alla portata della forza distruttiva – e poi trasformativa – che questo film riuscirà ad esercitare.

Nello stesso anno di Shrek esce Barbie e lo schiaccianoci, che inaugurerà il filone dei film fiabeschi di Barbie realizzati con la stessa tecnica dell’orco verde, ossia la computer grafica. Questa doppia uscita innesca un processo per cui le storie di principesse vengono sempre più relegate al target delle bambine, mentre il resto del pubblico dimostra una progressiva insofferenza nei confronti delle fiabe. Ne ho parlato in questo post.

In un mondo post-Shrek, la Disney dovrà riprendere le misure di tutto.
Già dal 1995, l’incasso dei Classici in 2d cominciava a sbiadire in contrasto con il crescente exploit dei film d’animazione Pixar: in quell’anno uscirono infatti da un lato il fiacco Pocahontas e dall’altro il trionfante Toy Story.
Il Rinascimento proseguirà comunque, fra alti e bassi, fino alla fine degli anni ’90, per poi lasciare spazio a incertezze e sperimentazioni.

Alle porte del Nuovo Millennio esce Fantasia 2000, quasi un tentativo di prendere tempo (e respiro) dopo il lungo tragitto che aveva portato da La Sirenetta (1989) a Tarzan (1999), volgendo lo sguardo al passato (un capolavoro di 60 anni prima), ma anche al futuro, alla ricerca di nuovi stimoli. Segue il bislacco Dinosauri (2000), primo tentativo dello studio d’animazione Disney con la CGI, e Le follie dell’imperatore, commedia brillante che diverrà retroattivamente un cult. Poi il gran tonfo di Atlantis (2001) e l’anno dopo de Il pianeta del tesoro (2002), a simboleggiare un cambio di gusto nel pubblico, insofferente non solo al genere action in salsa disneyana, ma anche a grandi narrazioni dal respiro epico, in stile Rinascimento Disney.
In mezzo ai due film citati uscirà Lilo & Stitch (2002), che conquisterà le platee con dolcezza e semplicità, ma che non potrà esimersi dal fare i conti con lo spirito dissacrante di Shrek, tanto che la sua campagna pubblicitaria sarà costruita sulla contrapposizione fra l’alieno e i personaggi della tradizione disneyana. In questo senso risulta emblematica la locandina del film, accompagnata da una serie di trailer in cui Stitch irrompe nelle scene dei Classici Disney più amati, causando guai.

Poi arrivano Koda fratello orso (2003) e quello che al tempo fu presentato come l’ultimo Classico in 2d, ossia Mucche in fuga (2004), che – come avvenuto durante il Medioevo xerox degli anni ’60 e ’70 – riportano l’attenzione sugli animali, anticipando Chicken Little (2005). Seguono I Robinson (2007) e Bolt (2008). E poi succede di nuovo qualcosa, la fiaccola della fiaba si riaccende nel 2009, riprendendo dal punto in cui si era fermato Shrek.
Ne parleremo a tempo debito, ma adesso facciamo un passo indietro.
Se ad anticipare il Rinascimento Disney (1989-1999) era stato Chi ha incastrato Roger Rabbit? (1988), ad aprire la strada al successivo Revival (2009-2016) sarà un altro film a tecnica mista (live action e animazione), che introdurrà molti degli elementi che ritroveremo nei Classici che seguiranno.

Come d’incanto

I claim pubblicitari presenti sulle locandine di Come d’incanto risultano particolarmente pregnanti: qui abbiamo “The real world and the animated world collide”, ossia “Il mondo reale e quello animato si scontrano”, mentre altre immagini promozionali riportavano la scritta “GET REAL”.

Trama
La giovane Giselle del Regno animato di Andalasia si innamora a prima vista del principe Edward, ma la madre di lui è la malvagia Regina Narissa che, per non cederle il trono, la spedisce con la magia in un Paese molto, molto lontano in cui “nessuno vive felice e contento”: New York City.
Qui Giselle, inizialmente spaesata, incontra l’avvocato Robert e sua figlia Morgan (6 anni), che le danno ospitalità, e grazie a loro comincia ad ambientarsi nel nuovo mondo. Nel frattempo il principe Edward la raggiunge a Manhattan per salvarla e riportarla a casa, ma quando finalmente la ritrova Giselle ha ormai capito di essersi innamorata di Robert, che è però già impegnato con la stilista Nancy.
Dopo aver sconfitto la Regina Narissa, giunta a Manhattan dal mondo di Andalasia, Giselle e Robert capiscono di amarsi e scelgono di stare insieme. Giselle decide quindi di restare a Manhattan con Robert e Morgan, mentre Edward si sposa con Nancy ed entrambi vanno a vivere ad Andalasia.

Una risposta a Shrek?

Come d’incanto esce nei cinema statunitensi il 21 novembre 2007 e in quelli italiani il 7 dicembre 2007, circa 6 anni e mezzo dopo Shrek, ma in realtà avrebbe potuto perfino precederlo: la sceneggiatura originale, scritta da Bill Kelly, è stata acquistata dalla Disney nel settembre 1997, a testimonianza di quanto lo spirito dissacrante di cui l’orco verde avrebbe fatto bandiera fosse già nell’aria, impregnando anche il Classico di quell’anno, Hercules (ne ho parlato qui e qui).
In questa prima versione, Enchanted si ispira a commedie teen ‘sporche’ e ‘scorrette’ stile Fuori di testa (1982) e American Pie (1999), al punto che Giselle, appena arrivata a New York City, viene scambiata per una spogliarellista. La sceneggiatura, considerata inadatta per un prodotto Disney, viene riscritta diverse volte nel corso dei successivi cinque anni, mentre la regia passa fra le mani di veterani come Garry Marshall, regista di Pretty Woman (1990) e Pretty Princess (2001), che abbandona il progetto nel 2002. Negli anni successivi seguono altri registi e altri sceneggiatori, mentre attrici come Kate Hudson e Reese Whiterspoon vengono considerate per il ruolo di Giselle, ma c’è sempre qualcosa che non funziona. Finalmente nel 2005 si trova una quadra: alla regia viene scelto Kevin Lima, con Bill Kelly che torna ad occuparsi della propria sceneggiatura originale. Tutto riparte e il progetto va finalmente in porto due anni più tardi.
Alla luce di quanto detto, non si può dire che Come d’incanto sia stato originariamente concepito come risposta a Shrek, ma quel che è certo è che, nel momento in cui il film è uscito nei cinema, l’impatto dell’orco verde sull’immaginario fiabesco era un dato di fatto da cui era impossibile prescindere.

Notiamo una certa somiglianza fra Shrek e il troll che infastidisce Giselle all’inizio della storia, che tuttavia si rivelerà essere innocuo. Forse è un messaggio che la Disney voleva mandare alla concorrenza che credeva di averli ‘distrutti’?

Shrek, nato dal rancore di Katzenberg, mirava a distruggere il sogno disneyano, mettendone in luce l’artificialità, la dissonanza rispetto alla realtà. Costruendosi proprio sulla base di questa nuova percezione, Come d’incanto costituisce la risposta perfetta. Il film mette in ridicolo 70 anni di fiabe disneyane e al contempo li celebra, come solo le migliori parodie sanno fare. All’amore tradito e traditore di Katzenberg si risponde con una lettera d’amore per l’arte disneyana, con la regia di colui che con Tarzan aveva chiuso il Rinascimento Disney, il già citato Kevin Lima.

Per completare il quadro, prendiamo in prestito le parole di Valerio Paccagnella (Disney Compendium):

“Di certo il film è uscito al momento giusto per rieducare il mondo intero alle delizie del cinema disneyano. Serviva proprio Enchanted, con la sua natura ibrida, a risanare il sense of wonder delle platee, da troppi anni votate al cinismo. Il film ha sicuramente fatto il doppio gioco col pubblico, fingendo a momenti di stare dalla sua parte, e colpendolo a tradimento in altri, rivelandosi in tutta la sua disneyanità, in una continua alternanza tra incanto e disincanto, sottile parodia e raffinatissimo omaggio. Il compromesso che ci voleva per traghettare un pubblico abbrutito verso i fasti di un futuro radioso.”

Fra incanto e disincanto

Sulla scia di Shrek, Come d’incanto prende in giro l’immagine più stereotipata della principessa Disney. Secondo quanto dichiarato da Kevin Lima, il personaggio di Giselle è ispirato “per circa l’80% da Biancaneve, con alcuni tratti presi in prestito da Cenerentola e Aurora… anche se il suo atteggiamento audace deriva da Ariel“.
Diversi sono i riferimenti che vengono dissacrati, dal castello incantato (logo della Disney) che si rivela essere l’insegna pubblicitaria di un fetido casinò alla scena in cui Giselle, chiamando a sé gli animali della zona in cerca di un aiuto per fare le pulizie (come avrebbe fatto Biancaneve), si ritrova davanti ratti, piccioni e scarafaggi. In momenti come questo, il film gioca con elementi grotteschi e disgustosi, ma senza mai raggiungere i livelli di Shrek.

L’approccio che il film adotta è quello di mettere in luce la dissonanza fra realtà e immaginazione, che qui si incontrano e si scontrano continuamente. Nel contesto della Grande Mela, infatti, Giselle viene considerata al pari di una squilibrata. Sbuca da un tombino e si ritrova nel centro di Manhattan, un’ambiente per lei inospitale, in cui nessuno l’aiuta o le dà ascolto; viene trascinata in metropolitana dalla folla, risale in superficie, si ritrova in un quartiere poco raccomandabile e un barbone le ruba la coroncina, quasi a voler dire che in questo mondo lei non è una (futura) principessa, o che restando qui non la diventerà mai.

Insomma, fin da subito capiamo che le cose funzionano diversamente rispetto al regno animato di Andalasia, da cui Giselle proviene. Il primo incontro fra Giselle e Robert avviene in modo simile a quello fra Giselle e il principe Edward – in entrambi i casi la protagonista inciampa, cadendo dall’alto –, ma l’esito è ben diverso: a New York scivola giù da un cartellone pubblicitario cadendo rovinosamente addosso a Robert, mentre ad Andalasia cade dall’albero su cui si è rifugiata per sfuggire all’orco (verde come Shrek), ma finisce direttamente fra le braccia di Edward.

Il film prende di mira gli elementi convenzionali della fiaba, che per forza di cose stridono con la realtà, a partire dalle tempistiche dell’innamoramento. “Ci sposeremo all’alba!”, dichiara Edward qualche secondo dopo essersi ritrovato in grembo Giselle. Ovviamente Robert è di diverso avviso e ne discute con la lei durante la loro passeggiata a Central Park. Giselle si sorprende del fatto che Robert e Nancy siano fidanzati da cinque anni e non siano ancora sposati, mentre lui si chiede come faccia lei a innamorarsi di un uomo incontrato il giorno prima. Viene ridicolizzata anche la convenzione, tipica del musical, di cominciare a cantare all’improvviso, come farà Giselle durante la passeggiata nel parco. Tuttavia, è qui che il mondo inizia a cambiare attorno alla principessa: tutte le persone nei dintorni cominciano a cantare e ballare con lei, in perfetto sincrono, e alla fine perfino Robert, che inizialmente si vergognava delle esternazioni canore della sua controparte, sorride e si muove al ritmo della musica. Anche il consiglio di Giselle, che suggerisce a Robert di far consegnare a Nancy una ghirlanda di fiori da una coppia di colombe come ‘prova del suo amore’ si rivela vincente: la fidanzata è entusiasta.

Nella scena musicale a Central Park, Giselle è perfettamente a suo agio, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e i passanti si uniscono a lei senza battere ciglio (è come se l’intero mondo si muovesse insieme a lei); Robert, al contrario, appare inizialmente impacciato, goffo e imbarazzato, per poi lasciarsi coinvolgere (suo malgrado) sul finale.
Inconsapevolmente, Giselle conquista il mondo attorno a sé, piegandolo al proprio sentire.

Se in un primo momento a essere evidenziati erano i problemi che Giselle portava nella vita privata e lavorativa di Robert, da questo punto in poi a essere messo in luce è il valore aggiunto dato dalla sua presenza. Notiamo come anche il dialogo che poco prima aveva avuto con due clienti di Robert – una coppia che stava divorziando – susciti inizialmente una reazione negativa da parte degli stessi (Giselle si era messa a piangere, avendo appreso che i due si stavano separando), ma poi finisca per avere un risvolto positivo per le loro vite: i coniugi scelgono di non separarsi dopo che il marito ha riflettuto su un complimento che Giselle ha fatto in merito agli occhi della moglie (“Phoebe ha gli occhi che brillano”).

Ecco che Giselle, come le principesse del Rinascimento Disney, riesce a cambiare il mondo attorno a sé. La sua è però soprattutto la vittoria del modello più classico e idealizzato di principessa, adottato qui per rendere ancora più evidente il contrasto rispetto alla realtà, con risvolti comici.

Come d’incanto esce nell’anno del settantesimo anniversario di Biancaneve e i sette nani e proprio a questa principessa porge un omaggio estremo e definitivo: da un lato ne ridicolizza i manierismi, facendo l’occhiolino agli spettatori del Nuovo Millennio, e dall’altro ne riafferma prepotentemente l’importanza all’interno di un mondo moderno, post-Shrek.
Come Biancaneve, Giselle si ritrova da sola, sperduta e lontano da casa, con il traffico e l’affollata metropolitana che prendono il posto del bosco (e infatti in quelle scene la vediamo spaventata, come Biancaneve). Allo stesso modo, seguendo sempre l’esempio di Biancaneve, Giselle non perde la speranza nel suo momento più buio e trova un rifugio in cui stare, ricambiando l’ospitalità con le pulizie. Come Biancaneve, Giselle dimostra di avere perseveranza e spirito di adattamento: si ambienta perfettamente in un mondo a lei sconosciuto e nel frattempo continua a sognare che il suo principe la trovi. Una principessa come Biancaneve, sostiene il film, non solo potrebbe tranquillamente sopravvivere nella New York di fine anni ’00, ma ha ancora tanto da insegnarci, e infatti la vediamo trionfare anche nella realtà contemporanea.
A settant’anni da Biancaneve, la figura della “piccola principessa” che aveva fatto la fortuna di Walt Disney appare più rilevante che mai.

A legittimare la figura di Giselle c’è anche il fatto che tutto ciò che lei desidera si avveri dandole di fatto ragione, anche se non tutto avviene nel modo in cui lei si sarebbe aspettata. Ad es. Giselle viene trovata dal principe Edward come diceva che sarebbe accaduto, ma capisce che non è di lui che è innamorata; allo stesso modo, però, viene anche trovata da Robert, che le darà infine il Bacio del Vero Amore (che funziona davvero, come sosteneva lei!), legittimando in ultimo la certezza di ottenere un lieto fine, che sia a New York o ad Andalasia.

Un ulteriore punto di contatto con Biancaneve è il fatto di utilizzare le colombe come messaggere d’amore: Biancaneve lo fa nella prima scena col principe, mentre Giselle lo fa per aiutare Robert a dichiarare il proprio amore a Nancy.

In risposta a Shrek, la Disney ridicolizza i tòpoi delle sue fiabe, ma allo stesso tempo riafferma la potenza di quelle stesse narrazioni, evidenziando i benefici che la più classica delle principesse porta nel mondo reale, e quindi nel pubblico contemporaneo.

Modelli d’ispirazione

Questo discorso risulta assolutamente significativo se consideriamo che il film è uscito nel 2007, quando il franchise delle Principesse Disney, creato a inizio decennio, stava raggiungendo risultati di vendita fino a quel momento inauditi. Le madri di coloro che erano bambine in quegli anni, che verosimilmente erano state a loro volta bambine negli anni ’60 e ’70, non avevano vissuto una princess mania altrettanto pervasiva. Principesse come Biancaneve e Cenerentola erano sicuramente conosciute, ma il loro successo era prevalentemente legato a quello dei loro film, non esisteva ancora l’ampio circuito di merchandise che avrebbe cominciato a prendere piede solo sul finire degli anni ’90, per poi esplodere nei ’00, e che raggruppava fra loro principesse appartenenti a diversi universi narrativi.

Prima di allora, le principesse Disney appartenevano ai loro film e a nient’altro, e l’immagine femminile che essi restituivano poteva risultare agée se raffrontata con il modello di donna-figlia dei cambiamenti sociali degli anni ’60 e ’70, ma questa dissonanza non aveva dato adito a grosse polemiche (come invece avverrà in seguito), perlomeno al di fuori dei circoli femministi.

Al contrario, l’infanzia delle madri del Nuovo Millennio aveva avuto luogo in decenni in cui la società era particolarmente influenzata dal pensiero femminista, che tendeva a mettere da parte la rigida divisione “rosa per femminucce / azzurro per maschietti” a favore di colori e giochi che viravano sul gender neutral (ne ho parlato qui). Sarà solo sul finire degli anni ’80, quando queste donne stavano ormai raggiungendo l’età adulta, che i media riporteranno in auge un’ideale di iper-femminilità (in ottica post-femminista) che verrà incarnato da Ariel e dalle altre principesse che seguiranno (ne ho parlato qui e qui), e che troverà pieno compimento proprio negli anni ’00, grazie al già citato franchise disneyano, ma anche al successo dei film di Barbie in CGI.

Queste madri della generazione X, confuse in merito all’entità di un fenomeno a loro sconosciuto, vengono egregiamente rappresentate dalla giornalista Peggy Oreinstein nell’articolo What’s Wrong With Cinderella?, pubblicato sul New York Times nel 2006, appena un anno prima dell’uscita di Come d’incanto. Nel pezzo, Oreinstein elenca tutta una serie di pro e contro, per poi giungere alla conclusione che lascerà che sua figlia giochi a fare la principessa, pur mostrando scetticismo in merito ai valori che tale archetipo restituisce. Oreinstein diventa così la portavoce delle madri preoccupate che i prodotti relativi alle principesse (non-solo-Disney) promuovano modelli femminili caratterizzati da “vanità” e “passività”, con conseguenze negative per le proprie figlie.

Le critiche alle principesse come modelli irrealistici di bellezza erano già presenti negli anni ’00, ma troveranno maggior fortuna più tardi, a inizio-metà anni ’10.

Nel 2007 ci troviamo dunque in un mondo in cui paradossalmente la Disney non produce film d’animazione con principesse da almeno un decennio, ma nell’immaginario collettivo la figura della principessa Disney è più rilevante che mai e si afferma non solo come entità a sé stante, indipendente rispetto ai film che l’hanno generata, ma proprio come brand. E, in virtù del proprio successo commerciale, l’impatto di questi personaggi sull’immaginazione delle bambine diventa oggetto di discussione a livello sociale.

Questa tensione sembra riflettersi nelle scene in cui Robert regala alla figlia un libro sulle donne più importanti di tutti i tempi (fra queste ci sono l’attivista Rosa Parks e la scienziata Marie Curie), anche se la piccola Morgan avrebbe preferito un libro di fiabe. Il padre dice chiaramente che non vuole che la bambina creda nelle fiabe perché non vuole che si illuda e poi rimanga delusa (“Voglio che sia forte, che sia capace di affrontare il mondo”), ma la scelta del libro sostitutivo lascia intendere che Robert creda che le principesse non siano buoni modelli d’ispirazione per la figlia, e per questo ritenga di doverle sostituire con modelli di donne sicuramente di valore, ma più radicate nel mondo reale, e quindi potenzialmente poco interessanti per una bambina di 6 anni. Il padre associa anche la sua fidanzata, Nancy, a quelle donne (“Nancy è come le donne nel tuo libro”), peggiorando la situazione. In un certo senso, Robert rappresenta il pubblico post-Shrek e post-11 settembre, ormai disincantato e scettico nei confronti di fiabe e principesse, mentre Morgan rappresenta le bambine degli anni ’00 che hanno ancora bisogno di queste figure, anzi ne sono ossessionate, anche se la Disney non produce nuovi film a tema dagli anni ’90.

Un importante tassello verso la ri-legittimazione della fiaba Disney risiede dunque nel tentativo di riabilitare la figura della principessa come role model agli occhi dei genitori più polemici, come Robert, che si rende gradualmente conto di quanto la presenza di Giselle abbia un effetto positivo non solo sulla figlia, ma anche su sé stesso e su chiunque sia entrato in contatto con lei. Il film, pur evidenziando il contrasto fra realtà e fantasia, e fra l’ideale femminile delle fiabe (Giselle) e quello dell’età moderna (Nancy), riafferma prepotentemente il valore della principessa Disney nel mondo contemporaneo, mettendo in luce l’effetto benefico che Giselle ha sulle persone che incontra. Insomma: il pubblico di fine anni ’00 si ritrova ad alzare gli occhi al cielo di fronte a certi tòpoi della fiaba disneyana, ma allo stesso ha ancora fortemente bisogno di quella figura innocente, ottimista, romantica e sognante, che nonostante tutto non si arrende mai.
Il pubblico ha ancora bisogno di una principessa!

Abbiamo detto che Giselle è una rappresentazione della forma più classica della principessa, associandola in particolar modo a Biancaneve, ma a onor del vero anche lei assorbe qualcosa dal mondo che la circonda, cominciando ad “umanizzarsi”. A un certo punto, nella seconda metà del film, notiamo che Giselle ha cominciato a leggere il libro sulle donne più importanti di tutti i tempi, proprio quello che era stato regalato a Morgan, e poco dopo si arrabbia con Robert, per poi entusiasmarsi quando si rende conto di aver provato un emozione che fino a quel momento le era stata preclusa, considerato che non sapeva neanche di cosa si trattasse. Questa scena simboleggia un passaggio importante, nella rappresentazione delle principesse Disney. Come abbiamo visto nell’analisi dedicata alle principesse del Rinascimento Disney, a principesse come Biancaneve e Cenerentola era concessa la possibilità di mostrare il proprio disappunto solo in modo bonario, materno e pacato, spesso verso animali (o altri personaggi comici), o parlando fra sé e sé. Sarà solo con Ariel de La Sirenetta, Belle de La Bella e la Bestia e soprattutto Jasmine di Aladdin, che la rabbia entra di diritto fra il range di emozioni con cui alle principesse Disney è permesso esprimersi. E forse anche il libro sulle donne più importanti di tutti i tempi è servito a qualcosa, in tal senso, considerata la stretta connessione che intercorre fra femminismo e rabbia femminile.

Viene quindi riaffermata l’importanza della fiaba Disney e del cambiamento positivo che questa porta nel mondo reale, ma anche la necessità delle principesse di avvicinarsi di più a quel mondo, o perlomeno alla sensibilità del pubblico contemporaneo.
Ci accorgiamo che Giselle è definitivamente cambiata nella scena in cui la principessa non canta all’unisono con il principe Edward e gli chiede di poter avere un appuntamento. Prima di tornare ad Andalasia, i due decidono di andare a un Ballo di maschera in cui ritrovano Robert e Nancy. Qui vari accadimenti conducono la storia verso la battaglia finale contro Narissa, madre di Edward, e ad un certo punto vediamo che Giselle inforca la spada e va a salvare Robert, prigioniero della Regina cattiva, trasformatasi in drago. Questa risoluzione sembra avvicinare Giselle a quella che, nel 2007, era la più recente delle principesse aggiunte al franchise, ossia Mulan dell’eponimo film uscito nel 1998, poco meno di 10 anni prima.

Da Biancaneve a Mulan, il personaggio di Giselle sembra viaggiare attraverso oltre 60 anni di storia ed evoluzione dell’archetipo della principessa Disney, avvicinandosi sempre più alla contemporaneità.
Come d’incanto mette dunque in luce i cambiamenti a cui questa figura è andata incontro nel corso degli anni, legittimando ogni step del percorso, ma anche urlando forte e chiaro che le principesse più recenti sono ben diverse dalle prime uscite (nonostante appaiano tutte cristallizzate all’interno dello stesso franchise) e mirando quasi a suggerire che le successive principesse, quelle dell’era Revival, faranno ulteriori passi verso i gusti del pubblico contemporaneo.

In linea con questa implicita celebrazione del franchise, una delle scene conclusive ci mostra Giselle che diventa stilista/imprenditrice, abbracciando il modello della donna che riesce ad “avere tutto” (lavoro, amore, famiglia). Nella sua attività commerciale si cela un riferimento diretto proprio al brand Disney Princess: vediamo infatti che la sua casa di moda, Andalasia Fashions, produce abiti da principessa, reiterando il valore di questo modello di femminilità nel mondo contemporaneo, e facendo diretto riferimento alla storia del franchise delle principesse Disney, nato nel 2000 proprio per soddisfare la crescente domanda di bambine che desideravano vestirsi come le proprie principesse preferite. Inoltre, notiamo che in pole position, fra le bambine radunate attorno a Giselle, ci sono due bambine afrodiscendenti – un possibile riferimento a Tiana, prima principessa Disney afroamericana, il cui film uscirà appena due anni dopo, nel 2009. Inoltre, una delle due bambine indossa un vestito verde, proprio come Tiana e come il colore del ranocchio che l’accompagna, a partire dal titolo: La principessa e il ranocchio.

La creazione del franchise delle principesse si deve allo spirito intraprendente di Andy Mooney, l’allora presidente della divisione prodotti della Disney, che nel dicembre 1999 aveva notato una grande quantità di bambine vestite da principessa sugli spalti degli spettacoli sul ghiaccio Disney On Ice. Mooney notò che si trattava di abiti generici da principessa, non di prodotti Disney, e di conseguenza incitò la company a investire su quel fronte, aprendo la strada a una fetta di mercato che fino a quel momento non era stata considerata.

In ultimo, occorre far notare come Giselle sia una principessa animata che sceglie il mondo reale e quindi ottiene un lavoro (perpetuando l’idea che le donne moderne lavorano), mentre Nancy, che all’inizio del film ci viene presentata come una donna profondamente razionale e contemporanea (“lei è come le donne del tuo libro”), decide di tuffarsi nel mondo animato di Andalasia, affascinata dal candido romanticismo di Edward (“Il modo in cui l’hai detto, così diretto e sincero, senza un accenno di ironia…”), e quindi rinuncia al proprio lavoro, di fatto scambiandosi i ruoli con Giselle, che prende le redini della sua carriera di fashion designer.

L’innamoramento di Nancy è istantaneo, come nei primi Classici Disney: lei ed Edward ballano un lento (come Cenerentola e il principe) e si scambiano solo qualche parola, poi lei calza la scarpetta ed è fatta.
Citando nuovamente Paccagnella, il film fa “il doppio gioco con il pubblico” anche su questo fronte, nel momento in cui da un lato afferma il desiderio di Giselle di far parte del mondo contemporaneo e dall’altro legittima il sogno di Nancy di far parte del mondo delle fiabe.

Il personaggio di Nancy si pone specularmente rispetto a quello di Giselle: è la realtà che collassa nell’immaginario, il mondo contemporaneo che irrompe nella fiaba.

In fondo non è certo la prima volta che figure femminili inizialmente presentate come spiccatamente moderne, spesso sarcastiche e disilluse, si ritrovano nel profondo a desiderare (e ottenere) un amore proprio come quello delle fiabe. Ne ho parlato in relazione a Megara di Hercules (1997), tracciando qualche parallelismo con Sex And The City (1998-2004), e proprio nel primo film di questa serie, uscito nel 2008, appena sei mesi dopo Come d’incanto, la fiaba torna prepotentemente a fare da sfondo alla risoluzione dell’eterna love story fra Carrie e Mr. Big, con quest’ultimo che fa calzare la “scarpetta” (Manolo Blahnik) all’amata, una Cenerentola post-femminista.

Usufruendo di un escamotage già rodato, Come d’incanto rimescola le coppie facendo sì che nessuno rimanga single alla fine della storia. È la stessa cosa che una parte di pubblico si aspettava guardando Anna familiarizzare con Kristoff in Frozen (“forse allora Hans si metterà con Elsa”), ma la rivelazione di Hans come villain ha cambiato le carte in tavola. Alla fine del film, Elsa rimane single: una scelta che farà la storia, sebbene fosse stata anticipata da Merida del pixariano Brave (2012).

Una fiaba a New York

Come d’incanto è anche (e soprattutto) una commedia romantica. Nell’aderire a questo filone, il film non può che ricollegarsi a due pilastri imprescindibili del genere, che hanno permesso alla Disney di trasferire gli elementi fondamentali della fiaba in contesti urbani e contemporanei, rivolgendosi prevalentemente a un pubblico di adolescenti e adulti.
Si tratta di film prodotti dalla Walt Disney sotto l’etichetta Touchstone Pictures, appositamente creata per differenziare l’offerta con film che potessero distaccarsi dal brand principale, che nell’immaginario collettivo risultava ancora troppo legato a un pubblico di famiglie con bambini, e che quindi non poteva permettersi di “osare“.
Tuttavia, nonostante questi film facciano riferimento, anche scherzosamente, a temi adulti come il sesso (a cui lo stesso Come d’incanto accenna di sfuggita), si tratta in fondo di due fiabe puramente disneyane: parliamo di Splash! Una sirena a Manhattan (1984) e Pretty Woman (1990). Il primo si ricollega al successivo La Sirenetta (ne ho parlato qui e, più nello specifico, qui), mentre il secondo si ricollega a Cenerentola (1950), la cui fiaba è direttamente citata nella pellicola, con la storia della ragazza povera che sposa il principe-milionario e cambia vita, ma anche a La Bella e la Bestia (1991), in uscita l’anno successivo, con lui (Edward) che, come la Bestia, viene completamente trasformato dall’amore di lei (Vivian/Belle), in una storia che mette in luce le virtù umane (empatia, sensibilità) della parte femminile della coppia, che insegna alla parte maschile ad amare, andando oltre l’apparenza, la superficialità e le cose materiali per abbracciare le proprie emozioni e la sostanza di cui sono fatti i rapporti umani.

Sia Belle che Vivian sanno apprezzare ciò che la ricchezza della Bestia e di Robert può donare loro (un palazzo, un gioiello, un abito, una libreria…), ma sanno che le cose importanti sono altre. Entrambe infatti esigono come prima cosa il rispetto delle loro controparti maschili.

Nell’intento di ricollegare Come d’incanto a queste altre due fiabe in live action, torniamo su Cenerentola, la più celebre storia a presentare il tòpos della trasformazione della protagonista ad opera della Fata Madrina (introdotta da Charles Perrault). Nelle fiabe moderne, tale trasformazione (makeover) avviene generalmente per mezzo di una giornata di shopping e/o di trattamenti estetici, come vediamo in Splash, Pretty Woman e molti altri film, fra cui Pretty Princess.

In Come d’incanto, questo concetto viene chiaramente esplicitato mediante una diretta correlazione fra la fairy godmother e la credit card: quando Giselle esprime preoccupazione in merito a come procurarsi un abito per il Ballo (“Non so dove trovare una fata madrina così all’ultimo momento!”), Morgan risponde “Ho qualcosa di meglio di una fata madrina”, e le due vanno in giro per negozi con la carta di credito di Robert.

In quella scena, oltretutto, la stessa Morgan è vestita come una fata.
Il tema dello shopping e delle carte di credito in relazione all’immaginario fiabesco torna in I love shopping, uscito due anni più tardi, nel 2009.
Il monologo iniziale della protagonista (Becky Bloomwood) recita infatti:
“Guardando le vetrine dei negozi, io vedevo un altro mondo, un mondo da favola, pieno di cose meravigliose. Un mondo dove le ragazze grandi potevano avere quello che volevano. Erano bellissime… come le fate o le principesse. Non avevano neanche bisogno di soldi. Avevano delle carte magiche. Ne volevo una anch’io!”.

Questa risoluzione rappresenta in pieno la sensibilità post-femminista, con i valori fiabeschi e romantici che si collegano a quelli neoliberisti, con la femminilità che va a braccetto con il consumismo per restituire l’immagine della principessa moderna.

In Anastasia, come in Pretty Woman, la “trasformazione” della protagonista avviene attraverso lo shopping.
Entrambe si recano poi all’Opera insieme ai rispettivi accompagnatori.
Lo spettacolo a cui assistono rievoca le loro storie: Vivian vede La traviata di Giuseppe Verdi, in cui una prostituta si innamora di un uomo ricco, mentre Anastasia guarda una rappresentazione del balletto Cenerentola di Sergei Prokofiev.

E infatti, nella scena successiva, Giselle si reca al Ballo con un look spiccatamente in linea con i trend dei tardi anni ’00, dai capelli (ora lisci) alla linea dell’abito. Nel resto del film lei spiccava in quanto principessa in mezzo alla gente comune, mentre qui spicca perché è l’unica ad essere vestita in abiti contemporanei, trattandosi di un Ballo in costume. Notare inoltre come Nancy sia vestita da principessa (il suo futuro è ad Andalasia), mentre Giselle è vestita come una donna moderna e infatti troverà il suo lieto fine nella New York del 2007.

Assistiamo a un’ulteriore collisione fra realtà e immaginario: l’eroina della commedia romantica diventa una principessa (come Vivian all’Opera) e una principessa diventa l’eroina della commedia romantica (come Giselle al Ballo).

Aggiungiamo ulteriori tasselli.
L’espediente della ragazza che irrompe in un mondo a lei sconosciuto, apparendo come un “pesce fuor d’acqua”, si ricollega a Splash!, ma anche a Pretty Woman. Giselle, come Madison e Vivian, mostra di possedere una certa ingenuità infantile che deriva in buona parte dal fatto che si ritrovi in un mondo nuovo nel contesto del quale appare buffa, guadagnandosi la simpatia della controparte maschile e del pubblico. Sullo sfondo di due film su tre c’è poi la caotica (ma romantica) Manhattan, in cui Giselle e Madison si sentono spaesate, mentre Vivian si sente decisamente fuori posto nella “parte ricca” di Hollywood, ossia negli ambienti d’élite frequentati da Edward.

Naturalmente è lecito collegare tutti questi film a La Sirenetta (1989).
In un possibile parallelismo con Pretty Woman, uscito l’anno dopo, notiamo come in entrambi i casi sia a tavola che si manifesta l’alterità delle due “principesse”, con Vivian che – come Ariel – ha problemi a capire come usare le posate. Entrambe, tra l’altro, hanno i capelli rossi…
Anche la principessa Mia di Pretty Princess (2001), diretto dallo stesso regista di Pretty Woman, ossia Garry Marshall, ha difficoltà con il bon-ton a tavola.

Se riprendiamo invece il parallelismo fra Pretty Woman e La Bella e la Bestia, notiamo come in questo caso sia Edward a incarnare il ruolo di Belle, che insegna alla Bestia-Vivian come comportarsi a tavola.

In Come d’incanto, come in Splash e in Pretty Woman, si racconta la storia d’amore fra due persone appartenenti a mondi diversi – un tema che sarà ripreso in buona parte dei film d’animazione del Rinascimento Disney (La Sirenetta, Aladdin, Pocahontas, Hercules, Tarzan), per poi essere gradualmente accantonato (insieme alle storie d’amore) nel seguente Revival, e che proprio nel film di Giselle raggiunge forse l’ultimo grande picco, per poi tornare (in modo meno eclatante) solo ne La principessa e il ranocchio e in Rapunzel.
Tale convenzione, molto presente nelle commedie romantiche degli anni ’90, prevede generalmente che i due innamorati imparino qualcosa a vicenda, anche se in genere è una delle due parti a imparare maggiormente dall’altra. In Titanic, ad esempio, è Rose (associabile ad una principessa Disney, come ho scritto qui) a imparare da Jack, ma in molti degli altri film citati è la parte maschile a imparare da quella femminile, che riesce a cambiargli la vita. In Splash è l’amore per la sirena Madison a spingere il protagonista Allen a prendere una decisione netta, uscendo dall’ignavia che caratterizzava la sua vita. In Pretty Woman è Vivian a far capire a Edward che i rapporti umani sono più importanti dei soldi, facendosi strada nel suo cuore.

Anche in Come d’incanto si può dire che Robert impari molto da Giselle, ma qui la dinamica è più che mai reciproca, quasi paritaria. Lei aveva torto nell’innamorarsi di un uomo appena conosciuto, ma lui aveva torto nel non credere al Vero Amore (“la versione romantica di cui parli tu è solo una fantasia”) e infatti capiamo che non amava davvero Nancy, altrimenti avrebbe provato quello che poi proverà per Giselle. Il film ci suggerisce che l’amore nasca da un sentimento irrazionale che può esistere anche nella vita reale, ma che va gestito cum grano salis e indirizzato verso la persona giusta. Lo spirito sognante e romantico che ha animato le fiabe disneyane può ancora essere rilevante, adattandosi al mondo contemporaneo, nella realtà o nella rom-com.
Giselle influenza Robert al punto che sarà lui a proporre di ricorrere al Bacio del Vero Amore per risvegliarla (addirittura prima che ci pensi Edward) quando cadrà vittima della mela di Narissa, ritrovandosi dunque a credere che tale espediente possa funzionare anche nella realtà.

Tuttavia, anche Giselle impara, come abbiamo visto, da Robert. Realtà e immaginazione non sono più in collisione, ma si influenzano a vicenda imparando qualcosa l’una dall’altra, e cambiando di conseguenza.
Questi due mondi, così come i due personaggi che li abitano, si incontrano e si salvano a vicenda.

Risulta emblematico, in questo senso, il dialogo che intercorre fra Vivian e Robert alla fine di Pretty Woman:

Robert: E che succede dopo che lui ha scalato la torre e salvato lei?
Vivian: Che lei salva lui! 

In queste due righe è racchiusa l’intera essenza del concetto di fiaba post-femminista. Gli echi femministi dei decenni precedenti suggeriscono che il concetto di donna come “donzella in difficoltà” non sia più accettabile, ma questo non porta a una sovversione del tòpos o ad uno spostamento del focus dall’amore romantico a quello famigliare, come avvenuto più di recente nei Classici Disney (a partire da Frozen), ma a una riscrittura dello stesso. Pur mantenendo l’enfasi sul sogno romantico, fiabe come Pretty Woman suggeriscono che la donna salvi l’uomo tanto quanto l’uomo salvi la donna, promuovendo un tipo di rapporto che appare paritario, pur mantenendo salde alcune delle più basiche norme di genere. E così, eroine come Vivian, Ariel e Belle appaiono ribelli, esuberanti e indipendenti (divergendo da modelli femminili più tradizionali), ma anche empatiche, limpide e premurose (caratteristiche che le riavvicinano a tali modelli), con qualche tratto innocente, perfino infantile (nel caso di Vivian e Ariel).
È proprio il mix di questi elementi che permette loro di trionfare, ottenendo il proprio lieto fine in un mondo post-femminista.

Un’ulteriore punto di contatto fra Pretty Woman e Come d’incanto è la scena in cui Robert si offre di aiutare economicamente Giselle, per quanto il contesto, le tempistiche e la reazione della controparte femminile siano molto diverse.
Pretty Woman è una fiaba? Beh, lo sostiene anche la Fata Madrina di Shrek 2 (2004), che trova la storia di Vivian e Robert in mezzo ai libri di fiabe alla voce P di “Principessa”.

In Come d’incanto, il concetto del reciproco salvataggio ritorna (anche) in senso più letterale: Robert salva Giselle dalla sua caduta durante il loro primo incontro, e la salva dall’incantesimo di Narissa grazie al Bacio del Vero Amore, ma poi Giselle salva Robert da Narissa (anche se di fatto è Pip a sconfiggerla) e dalla sua caduta alla fine del combattimento. Naturalmente entrambi si salvano a vicenda anche in modo simbolico, con Giselle che spinge Robert a credere all’amore che si trova nelle fiabe, e quest’ultimo che le insegna cosa conta nel mondo reale. Il risultato è una relazione a metà strada fra realtà e immaginario Disney: due mondi che si incontrano, si scontrano, si mescolano, si fondono e si scambiano i ruoli in questa fiaba moderna che ci dimostra che può esserci un lieto fine anche nella New York post-11 settembre.

A inizio film, Narissa sostiene di aver mandato Giselle in un luogo in cui nessuno vive felice e contento, ma le commedie romantiche ci hanno dimostrato più volte che a New York i sogni diventano realtà, almeno sul grande e sul piccolo schermo. Dopotutto, Manhattan ha fatto da sfondo alle più celebri fiabe moderne, da Colazione da Tiffany a Sex And The City.
Come d’incanto ce lo conferma e il finale rimarca il concetto con il libro che si chiude, come nelle più classiche storie disneyane. Se nelle fiabe animate di Biancaneve, Cenerentola e Aurora il libro era in live action, in questo film il libro è animato perché la fiaba è in live action.

Più vicina alla realtà, ma sempre fiaba è…

Verso il Revival

Alla fine del decennio, la figura della principessa torna a bussare alla porta della
Walt Disney, reclamando il proprio posto…

Come d’incanto pianta i semi della successiva fase dell’animazione disneyana: stiamo parliamo dell’era Revival, che vedrà un ritorno alla fiaba con dinamiche profondamente influenzate da quel mondo post-Shrek con cui la stessa Giselle si era dovuta confrontare.
Nei Classici Disney che seguiranno mancherà spesso quel sapiente equilibrio che aveva permesso a Come d’incanto di restare in bilico fra omaggio e parodia, con risultati discutibili, ma con crescente successo.

Innanzitutto, Come d’incanto apre la porta a La principessa e il ranocchio (2009) e Rapunzel (2010), che sarebbero usciti rispettivamente due e tre anni più tardi, con diverse citazioni dirette all’interno della pellicola. Nella sequenza animata all’inizio del film compare un ranocchio con in testa un agglomerato di sapone che ricorda una corona, e la sagoma di una principessa con un ranocchio sul palmo della mano appare nei titoli di coda.

Durante la sequenza musicale a Central Park vediamo poi Giselle su un palco insieme ad una bambina che indossa una parrucca bionda in quella che sembra essere una recita incentrata sulla fiaba di Raperonzolo.

Lasciando da parte questi easter eggs, l’influenza di Come d’incanto nelle successiva fiabe animate è innegabile.

Il lieto fine di Nancy Tremaine, che condivide il cognome con la matrigna del Classico Disney Cenerentola, riabilita la figura della wicked stepmother, qui ritratta semplicemente come una donna innamorata che desidera fare amicizia con la sua possibile figliastra, e che alla fine trova comunque il suo lieto fine, calzando la scarpetta che alle sorellastre non entrava. Il fatto che questa figura sia stata incarnata da Idina Menzel ci permette di ricollegarci ad altri due ruoli da lei interpretati – da un lato Elphaba di Wicked, il musical che racconta la ‘vera storia’ della Malvagia Strega dell’Ovest, riabilitandola (ne ho parlato qui), e dall’altro Elsa di Frozen, il cui percorso appare profondamente ispirato da Wicked (ne ho parlato qui, in un triplice confronto con Maleficent).

In una delle scene ambientate a Times Square appare sullo sfondo un cartellone pubblicitario di Wicked, che aveva debuttato a Broadway tre anni prima.
Oltretutto, l’autore di musica e testi delle canzoni di Wicked è Stephen Schwartz, che ha scritto anche i testi delle canzoni di Come d’incanto e del suo sequel!

Frozen riprenderà anche il tema delle tempistiche dell’innamoramento nelle fiabe (“Non puoi sposare un uomo che hai appena conosciuto”) attraverso una predica unilaterale rivolta da Elsa alla sorella Anna (mentre in Come d’incanto si trattava di un confronto fra due parti che avevano qualcosa da imparare l’una dall’altra), con risultati discutibili, per quanto acclamati. Prendersi gioco di questo trope aveva certamente più senso in un film in cui realtà e immaginazione si scontravano che in una fiaba effettiva. Oltre a questo, è curioso come lo stesso Frozen sembri contraddirsi nel momento in cui Anna a fine film sembra già innamorata di Kristoff, conosciuto non più di tre giorni prima. Come in Come d’incanto, anche qui l’uomo di cui la protagonista si innamora ha da obiettare in merito al “vero amore” della principessa. L’intero percorso sentimentale di Anna ricorda in effetti quello di Giselle: entrambe si innamorano del principe (Hans/Edward) a prima vista, poi a seguito di un avvenimento disastroso passano del tempo con un altro uomo (Kristoff/Robert) e alla fine capiscono che il loro vero amore è quest’ultimo. In entrambi i casi, sembrano avere ragione sia le persone che contestano l’innamoramento a prima vista (Edward non si rivela essere il vero amore di Giselle, mentre Hans si rivela essere addirittura il villain della storia), sia quelle che, pur avendo ‘imparato la lezione’, riaffermano la legittimità dell’amore nato in poco tempo, pur allungando leggermente le tempistiche (sia l’innamoramento fra Kristoff e Anna che quello fra Robert e Giselle si sviluppano infatti nel giro di pochissimi giorni).

Le scene in cui Robert alza gli occhi al cielo di fronte al fatto che Giselle o Edward comincino a cantare all’improvviso trovano un corrispettivo nel personaggio di Maui in Oceania (Moana, 2016). In entrambi i casi, le controparti maschili pensano che le convenzioni del musical disneyano siano imbarazzanti: “Se cominci a cantare, giuro che vomito”, dice addirittura Maui, pur avendo portato a termine lui stesso un numero musicale poco prima.

Notiamo inoltre come il personaggio del principe Edward venga deriso nel corso dell’intero film per i suoi atteggiamenti pomposi, teatrali e pacchiani (come quando fa volteggiare Giselle in aria) e per il fatto di cantare: “Ah, canta anche lui…”, dice Robert, e qui a ridere è anche la figlia Morgan, che non ha mai trovato ridicola Giselle.
Questo processo di sbeffeggiamento del principe Disney-tipo farà strada, nel corso dell’era Revival, a personaggi maschili dalla virilità più convenzionale e sull’orlo della spacconeria, almeno in partenza e in apparenza, come Flynn Rider, Kristoff e il già citato Maui.

Viene poi introdotto il tema della riscrittura delle fiabe.
La stessa Giselle, ad un certo punto, accenna alla storia in cui “il povero lupo veniva inseguito intorno alla casa della nonna da Cappuccetto Rosso” e quando Morgan le dice che non ricordava questa versione della fiaba, lei risponde che è “perché Cappuccetto Rosso la racconta in modo un po’ diverso”. Questo concetto è centrale per capire l’approccio con cui i successivi Classici Disney tratteranno le fiabe, ossia cambiando ruoli e punti di vista: in linea con Maleficent (2014), in cui l’antagonista de La bella addormentata nel bosco si rivela essere nient’altro che una donna ferita, anche Elsa di Frozen non viene presentata come una villain (nei piani iniziali doveva esserlo, come ne La regina delle nevi di Andersen), ma come una ragazza fragile che viene ostracizzata per via dei suoi poteri.

In ultimo, c’è la sovversione dei tòpoi fiabeschi, soprattutto in relazione alle dinamiche di genere.
“[C’è] una svolta inaspettata nella nostra storia, è la coraggiosa piccola principessa che giunge in soccorso. Allora la damigella in pericolo sei tu, eh, bello?”, dice Narissa a Robert al culmine della battaglia finale. In originale, l’antagonista utilizza il termine twist che risulterà poi centrale nell’era Revival, caratterizzando le narrazioni fiabesche dei Classici Disney di questo periodo, in particolare quella di Frozen, in cui la svolta inaspettata ha a che fare con il nemico, il cosiddetto twist villain, e con il trope del Bacio del Vero Amore.

“There is a twist on out story, it’s the brave little princess coming to the rescue. I guess that makes you the damsel in distress, huh, handsome?”.

In Come d’incanto il Bacio intercorre fra un uomo e una donna ed è ancora di tipo romantico, come nella tradizione Disney, ma a risvegliare la principessa non è l’amore del principe Edward, bensì quello dell’avvocato Robert. È solo l’inizio della reinvenzione: in Frozen, sei anni più tardi, l’amore di Kristoff non spezza l’incantesimo perché in questa storia il Vero Amore di Anna non è quello di un uomo (conosciuto una manciata di giorni prima), ma quello della sorella (con la quale tuttavia avrà passato solo qualche minuto insieme negli ultimi dieci anni).

“Sapevo che eri tu!”, dice Giselle a Robert appena lui la risveglia: una frase simile a quella pronunciata da Eric quando scopre che Ariel è la ragazza che stava cercando ne La Sirenetta.

Poi, come dicevamo, c’è l’inversione dei ruoli di genere. Alla fine del combattimento contro Narissa, Robert cade in braccio a Giselle, riprendendo la dinamica del loro primo incontro (e di quello di Giselle con Edward), ma con un twist: adesso è lui la damigella che deve essere presa al volo dal(la) principe(ssa).
Allo stesso modo, la nuova coppia formata da Nancy e Edward parte su binari tradizionali, con la scarpetta che il principe fa calzare alla fanciulla, ma – quando il prete di Andalasia li dichiara marito e moglie – lei prende di forza lui per baciarlo, assumendo un ruolo stereotipicamente maschile tanto quanto lui ne assume uno stereotipicamente femminile in questa sorta di casquet nuziale. È la stessa cosa che fa Rapunzel con Flynn sul finale di Rapunzel. Di nuovo, però, la cosa funziona meglio in Come d’incanto, risultando maggiormente contestualizzata.

Tirando le somme, possiamo dire che nell’era Revival tutti i Classici Disney dai toni fiabeschi – La Principessa e il Ranocchio, Rapunzel, Frozen, Oceania – facciano i conti con quella dissonanza fra immaginazione e realtà che era stata messa in luce da Shrek e poi ripresa da Come d’incanto. Nel farlo, vanno a contestare l’immaginario forgiato dalla stessa Disney nel corso dei settant’anni precedenti, spesso lanciando frecciatine fini a sé stesse o, nei casi migliori, offrendo un nuovo punto di vista, riscrivendo ruoli e obiettivi.
Tuttavia ancora oggi, a 85 anni dall’uscita di Biancaneve, una principessa nel profondo è sempre una ragazza che, perseverando, riesce a realizzare i propri sogni. Sono i sogni, i contesti e le dinamiche a rinnovarsi, ma la sostanza rimane immutata.
Perché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi.

Biancaneve prega rivolta al cielo in Biancaneve e i sette nani (1937).

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