Nel mese di maggio 2023 vi abbiamo presentato, insieme a SubClassics, una selezione di adattamenti della celebre fiaba di Hans Christian Andersen, La Sirenetta (1837), lanciando la prima edizione del nostro Mermaid Film Festival.
In questo articolo non solo tiriamo le fila del discorso, ma facciamo anche un piccolo passo indietro, dalle pericolose sirene del mito alla romantica Sirenetta di Andersen.
Dalle penne alle pinne
Nell’Antica Grecia, le sirene avevano le ali e le piume, non le pinne.
Ci sono innumerevoli opere d’arte che ci arrivano dal mondo antico e che raffigurano le mitologiche ammaliatrici come donne-uccello, molto prima di una qualsivoglia associazione con il mondo marino.
Ma perché oggi nessuno pensa più alle sirene in questi termini “aerei”, in qualità di spiriti dell’aria? La spiegazione è meno poetica di quanto si potrebbe immaginare: pare che tutto sia nato da un semplice errore di trascrizione, dovuto a un amanuense dell’800 d.C. circa, che avrebbe trascritto la parola pinnae (pinne), al posto della parola pennae (penne), forse perché il testo d’origine era rovinato e poco leggibile. Sta di fatto che l’errore fece storia, trasformando delle piume in delle pinne. E il gioco era fatto!
Il magico canto, tanto melodioso quanto insidioso, rimase attribuito alle nuove figure marine: a pensarci, è molto più probabile che sia un uccello a cantare, piuttosto che un pesce, ma l’associazione più moderna risultò immediata e riscosse successo, trovando terreno fertile nei secoli a venire, fino ad oggi. Se prima il canto era tipico del regno dei morti, in seguito il mare, da sempre misterioso e pieno di pericoli, poté tranquillamente ospitare la voce di queste ‘nuove’ creature che seducono, ammaliano e uccidono. Proprio come l’oceano. Non è da escludere, inoltre, che l’incomprensione sia da ricollegarsi a un’erronea interpretazione della loro apparizione nell’Odissea, considerato che le sirene attaccano Ulisse proprio mentre sta navigando.
Ad ogni modo, vale la pena ricordare che il passaggio è stato certamente graduale. Si segnala quindi la presenza di un bestiario francese del 1120 in cui le sirene sono descritte (e raffigurate) aventi sia coda di pesce che una sorta di zampe di gallina, mentre il primo volume che le riporti con la sola coda di pesce è un bestiario inglese del 1225.
Attenzione, però: questo non significa che le prime rappresentazioni di umani metà pesce siano da ricondursi al Medioevo. Sappiamo sicuramente che il Dio Tritone era raffigurato in questo modo nell’Antica Grecia (così come Glauco) e studiosi come Milliken (2014), Benwell & Waugh (1965) e Waugh (1960) affermano che nell’età classica la sirena sia già stata sporadicamente rappresentata come donna-pesce. Nella stessa Odissea troviamo Scilla, a metà fra sirena e mostro marino. Ancora prima, abbiamo notizie di entità simili nell’arte mesopotamica, babilonese, etrusca e fenicia. La Dea assira Atargatis viene oggi considerata la prima “sirena” della storia dell’umanità, ma è raro trovare sue raffigurazioni in questa forma.
Elisabetta Moro, sostenitrice della più recente teoria secondo cui le sirene “caudate” non sarebbero nate nel Medioevo, ma deriverebbero dalla Dea Syria, altro nome della Dea Atargatis, riporta alcune interessanti prove a favore e cita alcuni reperti. Tanto per cominciare sostiene che le sirene alate siano figlie del Dio Acheloo (un antico Dio del fiume, talmente associato all’acqua che nel mondo antico la stessa parola Acheloo era usata per “acqua”) e afferma l’esistenza di ben tre reperti archeologici di particolare interesse. Il primo è una ciotola di Megaride trovata nell’agorà di Atene nel 1947 e risalente al II sec. a.C. Su di essa sarebbe raffigurata la scena dell’incontro tra Ulisse e le sirene, ma queste ultime sono raffigurate con “evidenti code di pesce” (per usare le sue stesse parole). Il secondo reperto è la cosiddetta lampada di Canterbury, sempre del II sec.: è conservata al Royal Museum della città di Kent e riporta la scena dell’Odissea con una sirena acquatica, con la coda di pesce, che si aggrappa alla nave. Il terzo reperto (l’unico di cui è presente una foto nel volume) è quello che Moro definisce “anello di congiunzione” perché si tratta della statuina in terracotta di una sirena alata e allo stesso tempo bicaudata. Risalirebbe al I-III sec. a.C. ed è stata trovata a Nord del Mar Nero. Oggi è conservata all’Ermitage di San Pietroburgo. Elisabetta Moro aggiunge inoltre che, a suo avviso, il definitivo passaggio da sirena alata a caudata è avvenuto grazie al mitografo Vincenzo Cartari, reggiano e vissuto durante il Rinascimento. Nel suo libro Imagini delli Dei de gl’Antichi scrive delle sirene e spiega cosa ne fu di loro dopo la sconfitta da parte di Ulisse. Scrive che “vedendosi sprezzare da Ulisse, il quale passando per là, fece legare se all’albero della nave, e ai compagni suoi chiudere le orecchie con cera, accioche non le udissero, si gittarono in mare disperate, e fu all’hora forse, che diventarono pesce dal mezo in giù.”
E così, sempre citando Moro, il loro corpo cambiò per sempre.
Citiamo, infine, una statuina etrusca, in bronzo, databile al VII secolo a.C., presumibilmente una delle più antiche rappresentazioni di una sirena, e curiosamente citata anche nel live action de La Sirenetta (2023), in cui appare un manufatto simile (in giada).
Sirene cattive
A discapito dei precedenti che abbiamo citato, è solo durante il Medioevo che l’immagine della sirena come donna-pesce si diffonde in modo pervasivo, affermandosi come simbolo di lussuria all’ombra dell’opprimente morale cristiana. La doppia coda con cui veniva spesso rappresentata poteva in origine ricollegarsi al concetto di fertilità, rimandando alla Dea Madre dei culti pagani, per poi ridipingersi di connotati negativi con l’affermarsi del cristianesimo. La sirena diventa un simbolo della tentazione che allontana da Dio e porta alla morte e alla condanna divina, un monito per i peccati carnali.
Non dimentichiamo, infatti, la grande influenza che ebbero quei connotati religiosamente minacciosi del femminile, legati a filo doppio con il loro potere magico di sedurre e incantare. La sirena non sarà una strega, ma è quantomeno una donna. Salto molto breve. Una donna che con la sua ingannevole bellezza (e la mostruosa coda di pesce ben nascosta dietro uno soglio o sotto la superficie dell’acqua) mira solo a farti del male. A ucciderti, se non persino a mangiarti. Tutte vivande concettuali sempre presenti in quel banchetto culturale tipico del medioevo e dell’era prerinascimentale.
Le sirene del Classico Disney Le avventure di Peter Pan (1953) aderiscono alla rappresentazione medievale di queste creature, raffigurate con strumenti musicali o, più spesso, pettini e specchi ad indicare rispettivamente la loro sensualità (le vediamo intente a pettinarsi i lunghi capelli, un tempo potente strumento di seduzione) e la loro vanità.
Inoltre, le sirene del film d’animazione cercano di affogare Wendy, conservando almeno in parte quell’aura inquietante che le caratterizza nel romanzo di Barrie e nei miti che da sempre le ritraggono come entità pericolose, potenzialmente maligne.
Eccole qui, le antiche e robuste radici di un mito. Ma, come ben sappiamo, il mito al massimo può diventare leggenda, senza spostarsi tanto, ma non si evolve in fiaba così per caso. Per capire come il simbolo della sirena abbia raggiunto la gloria grazie ad Andersen è necessario passare prima per i suoi antecedenti sia letterari che folkloristici.
Dal mito ad Andersen
Quali furono, quindi, le leggende che produssero quel fertile terreno di antecedenti che permise a Hans Cristian Andersen di concepire la sua Sirenetta? Cosa ne è stato del mito, una volta che si è fatto popolare e a misura di lingua umana? Abbiamo diversi elementi…
Partendo dal più vicino all’autore, si ricorda senz’altro la leggenda, tramandata sotto forma di ballata e risalente alla Francia del XIII secolo, di Agnete og Havmanden.
Una leggenda presente anche nel folklore norvegese e svedese, ma che venne pubblicata in forma di prosa nel 1818, ad opera del danese Just Mathias Thiele nella sua raccolta di racconti popolari. La storia di Agnete che si innamora di un tritone al punto da seguirlo in mare dopo aver abbandonato figli e precedente marito era certamente nota ad Andersen, poiché riadattò la storia in una commedia teatrale di scarso successo, appena tre anni prima di pubblicare la Sirenetta. Questo antecedente è quindi da considerarsi sia folkloristico, che letterario.
Altre delle leggende che possono aver rappresentato una fonte di ispirazione per l’autore danese ci arrivano dalle tante figure di ninfe acquatiche che popolano l’immaginario germanico ed est-europeo: ne parleremo più tardi, ma intanto è opportuno citare la fonte dichiarata dallo stesso Andersen, ossia il racconto Undine (1911) di Friedrich de la Motte Fouqué.
Certo, la mitografia della sirena è molto vasta e ogni cultura possiede le sue varianti. Non c’è Paese al mondo che non abbia le sue specifiche leggende sulle sirene: che siano belle o mostruose, di mare o di fiume, finiscono tutte per risultare minacciose, o almeno vendicative (come vedremo). L’amore è sicuramente l’elemento nuovo e rivoluzionario che Andersen ha aggiunto al mito, e che ha contribuito a rendere immortale la sua visione della sirena. Quell’amore che l’ha resa umana e degna di poter ottenere un’anima immortale.
Romanticismo in Andersen
La grande sensibilità immaginativa di Andersen è presente in tutte le sue fiabe, ma Den Lille Havfrue (La Sirenetta) più di ogni altra riesce a incarnare i tòpoi maggiormente riconducibili al Romanticismo come movimento culturale. Prima di addentrarci in questo discorso è bene illustrare un quadro generale del contesto che gli diede vita.
In Europa, fra la seconda metà del ‘700 e la prima dell’800 era in atto una certa divisione culturale. Se in ambito politico e sociale si fecero strada gli ideali dell’Illuminismo (tendenzialmente francese), della ragione e dei lumi che avrebbero poi condotto al positivismo ottocentesco, nelle arti e nelle lettere fu il Neoclassicismo a farla da padrone. Dopo aver mosso i primi passi con il concetto rinascimentale dell’età dell’oro, il Neoclassicismo riaprì la strada verso quel gusto per l’antichità classica e la civiltà greco-romana, con il suo teatro e (soprattutto) il suo grande pantheon di figure mitologiche…Ninfe, sirene, satiri e ogni altro fantasioso essere proveniente dal mondo dei miti greco-romani e dalle leggende riprese ad adornare opere pittoriche, scultoree e architettoniche. E lo stesso accadde nelle opere letterarie, trovando anche il fertile terreno del Romanticismo di matrice tedesca e poi italiana.
Spesso si commette l’errore di scambiare l’amor cortese tipico del basso Medioevo con il romanticismo letterario ottocentesco, ma sono cose molto diverse. Il Romanticismo letterario, quel movimento culturale studentesco nato in Germania alla fine del ‘700, non aveva tra i suoi temi l’amore o l’affetto, e nemmeno più di tanto la passione erotica, almeno non propriamente. Ciò che è inscrivibile nel Romanticismo in senso letterario ha a che fare principalmente con la natura, la relazione che l’essere umano instaura con essa e, di conseguenza, l’esotismo. Ossia la grande ammirazione per tutto ciò che viene da lontano, che ci parla di terre inesplorate e misteriose, con grande enfasi sulle sensazioni e i sentimenti, non per forza quelli amorosi. Un tramonto, a queste condizioni, è romantico perché la luce se ne va e la vediamo scomparire verso una terra lontana. Di romantico c’è il fatto che possa suscitare infinite emozioni. Non certo perché il cielo si tinge dei colori che associamo all’amore, rosso e rosa.
Dunque, viste le premesse, che cosa rende romantico Andersen nella creazione della sua Den Lille Havfrue?
La fiaba di Andersen è perfettamente classificabile nei ranghi del Romanticismo letterario grazie a una moltitudine di elementi. Abbiamo prima di tutto l’elemento naturale, rappresentato dal mare, che è anche il primo scenario della vicenda.
Lontano, in alto mare…
Il lettore immagina il fondale marino popolato da fantastiche creature e sogna di un luogo nuovo e misterioso, così come la giovane protagonista ha voglia di avventure, di esplorare posti esotici, diversi, curiosi e inarrivabili.
Di romantico non c’è solo il fatto che si innamori in sé per sé, ma il perenne enfatizzare il sentimento della protagonista. Il suo essere pensierosa e melanconica, la sua tensione verso un mondo che le è precluso, l’amore verso il principe, ma anche verso la sua famiglia d’origine, la nonna…
E poi la pietà. Quel sentimento di compassione che la piccola sirena nutre non soltanto per il principe che non l’ha corrisposta, ma forse anche per la principessa dai capelli neri, alla quale risparmia la vita in un momento in cui non ha più nulla da perdere.
Natura, esotismo, sentimento… Che altro?
Beh, la religione, solida colonna portante di tutta la poetica di Andersen. E qui il concetto è perfettamente espresso, sebbene la parola “Dio” venga nominata solo una volta o due, ma tanto basta. Ben tangibile è la tensione verso l’eterno ed è proprio quell’anima immortale di derivazione cristiana che la piccola sirena deve ottenere, non solo per vivere felice, ma per sopravvivere. Senza anima, la sirena non è davvero umana e tornerà al mare, sotto forma di schiuma. In questa fiaba, un essere che personifica l’elemento dell’acqua, tra i più freddi in natura, diventa tanto capace di amare da poter ottenere un’anima propria. Niente di più romantico, in senso letterario. Natura e sentimento.
La novità dov’è? Sicuramente nell’aver reso, per la prima volta, così dolce e umana (degna di poter un giorno accedere al regno dei cieli) una creatura che fino ad allora era vista unicamente come pericolosa e mortale, in tutti i sensi. Non più temibile, seducente e ingannevole, ma sentimentale, sedotta, abbandonata e quindi anche un po’ vittima, persino. Una figura prima temuta e poi odiata, con la quale questa volta empatizziamo al punto da averne pena e compassione. Il Professor Massimiliano Morini dell’Università di Urbino sostenne, durante un corso di analisi multimodale in lingua inglese, che persino la scena d’apertura del Classico Disney (quella che accompagna i titoli di testa) era volta ad essere rilassante e a rassicurare lo spettatore, dal punto di vista della comunicazione modale. I toni blu, la musica intensa, i cori soffusi, il suono di cristalli e carillon…Probabilmente servono a ricordarci che stiamo per vedere la buona Sirenetta modellata da Andersen e che possiamo dimenticare le minacciose sirene dell’Odissea, per esempio.
Il tentativo di Andersen, come vedremo, non era solo quello di creare una storia più magnanima della Undine di La Motte Fouqué, concedendo un’anima alla sua Sirenetta in virtù della sua capacità di amare, perché in ballo c’è anche qualcosa in più. L’autore si è identificato nella povera, piccola sirena e ha visto nella sua brutta fama di pericolosa creatura degli abissi qualcosa di affine alla sua condizione, sia essa sociale che affettiva e amorosa. Andersen e la sua Sirenetta condividono il disagio iniziale del mondo di appartenenza e la difficoltà (senza possibilità di successo) di integrarsi nel mondo di cui vorrebbero far parte.
Tuttavia, la capacità di amare può, da sola, concedere la felicità eterna, un domani, anche a uno come lui. A un reietto. All’ultimo degli ultimi. Al ragazzino che aveva difficoltà a scuola. All’adulto che non si è mai visto ricambiare il suo amore da nessuno, donne o uomini. Alla Sirenetta, che al massimo può dormire fuori dalla stanza del principe, su un cuscino di velluto, e non può avere di meglio.
È possibile vedere, in questo cambio di status di un personaggio negativo come la temuta sirena mangia-uomini omerica, quello stesso e nuovo rispetto per le minoranze che iniziò a essere promosso dal 1968 in poi, un po’ come accadde per i nativi americani in film come Little Big Man (USA, 1970). Chi è sempre stato emarginato, discriminato e considerato “cattivo” viene visto da una prospettiva nuova, moderna, più umana. Esseri umani che chiedevano la concessione di diritti, come alla Sirenetta è stata concessa un’anima. Solo che qui si parla di un racconto europeo del 1837: forse è proprio per questo, per la sua grande modernità sociale, che fra gli anni ’60 e i ’70 furono prodotti diversi film basati su questa storia. Noi vi presentiamo quattro esempi est-europei, usciti nel corso di dieci anni, dal 1966 al 1976, e un quinto tedesco più recente, uscito nel 2013, quando il processo di rivalutazione comincia a riguardare perfino la storica antagonista della storia, oltre ad suggerire in modo più evidente una possibile interpretazione queer della fiaba originale.
Mermaid Film Festival
Germania, Repubblica Ceca e Russia vantano una lunga tradizione di film tratti dalle fiabe, che parte dai tempi del muto e che, nel caso della Germania, non si è fermata nemmeno con la Seconda Guerra Mondiale e continua tutt’oggi.
I film del canale YouTube SUBclassics sono per lo più produzioni dei suddetti paesi e con la fiaba della Sirenetta è iniziata una felice collaborazione che è sfociata in questo nostro (primo) Mermaid Film Festival: cinque adattamenti della fiaba di Andersen pubblicati su YouTube e corredati di analisi, curiosità e approfondimenti che mettono in luce un ulteriore fil rouge fra le Sirenette che abbiamo selezionato, ossia il fatto che emergano dal folklore slavo e germanico.
Di seguito vi ripresentiamo tutti i film con relative analisi, qui arricchite di nuovi contenuti (sia nei riquadri rosa che nel corpo principale) e, in chiusura, diamo uno sguardo a come questi adattamenti abbiano potuto influenzare o, nel caso del più recente, essere influenzati dalla celebre controparte disneyana.
Malá mořská víla (1966)
Il film
Questo è uno dei primi adattamenti filmici della fiaba di Hans Christian Andersen, e forse il primo lungometraggio ad essere interamente incentrato su La Sirenetta, sia per quanto concerne l’Europa, che il resto del mondo.
Naturalmente, trattandosi di una produzione televisiva ceca degli anni ’60, i mezzi sono limitati e in diversi aspetti, dagli effetti speciali alla recitazione, Malá mořská víla si avvicina più a un allestimento teatrale che a un film. Ci sono musiche, balletti e poche, brevi riprese esterne, principalmente scorci di mare.
Questa versione della fiaba è incorniciata dalla narrazione di una donna in abito da sera che racconta la storia e interagisce con i personaggi: è lei stessa a porre sul capo della Sirenetta la corona di gigli, segno della raggiunta maggior età, prima che salga in superficie. Nei dialoghi viene fatta menzione della coda di pesce, quindi si tratta della rappresentazione più canonica della sirena, ma la coda non viene mai inquadrata: la regia evita sapientemente i campi lunghi, privilegiando i primi piani.
Quando è una sirena, la protagonista indossa una veste senza maniche con un’unica spallina che ricorda quasi una tunica greca (anche per via del tessuto plissettato), forse un rimando alla duplice natura di sirena e ninfa che, come vedremo, caratterizza la figura della sirena nel folklore ceco.
La strega un abito poco visibile perché il suo antro si differenzia dagli altri scenari per il buio quasi totale. Si vedono però delle maniche molto particolati, che scendono di molto, come per far pensare a delle ali di pipistrello.
La trama è particolarmente fedele alla fiaba originale: i dialoghi sono ridotti al minimo, lasciando molto spazio alle parole dell’elegante narratrice, che racconta gli eventi utilizzando interi passaggi molto simili se non identici al testo d’origine.
Estro distintivo di questa sceneggiatura è una voce maschile che ripete ciclicamente una frase emblematica: «L’amore è come il mare. Profondo, terribile, meraviglioso».
Che sia la voce del mare stesso?
Folklore ceco: La Vila (I)
Nel folklore est-europeo sono presenti varie figure elementali che sembrano “emergere” dalle ninfe d’acqua della mitologia greca. I loro nomi, ancora oggi, vengono utilizzati per tradurre “sirena” nelle rispettive lingue.
Introduciamo qui la Vila, figura tipica della Repubblica Ceca e della Slovenia, nota anche in Serbia, Croazia e Bulgaria.
Il titolo La Sirenetta viene ancora oggi tradotto in lingua ceca con Malá Mořská Víla, che significa “piccola Vila di mare”.
Il fatto che venga specificata la sua appartenenza evidenzia come la Vila non sia intrinsecamente legata al mare. Infatti, come le ninfe, le Villi possono essere associate all’acqua, alla terra o all’aria. Nel tempo, la figura della Vila acquatica ha finito per sovrapporsi a quella della sirena nell’immaginario ceco, anche se di suo non possiede una coda di pesce.
Nel folklore est-europeo, le Villi sono spesso associate a ragazze tradite o abbandonate che, morte di dolore prima di potersi sposare, riemergono in forma di spiriti per vendicarsi dei loro innamorati e di altri uomini.
Le Villi appaiono, con questa accezione, nel balletto Giselle di Adolphe Adam (1841), che ha in seguito ispirato l’opera Le Villi di Giacomo Puccini (1884).
Notiamo come la tematica dell’amore non corrisposto torni ne La Sirenetta di Andersen, con la protagonista che, proprio come Giselle, rifiuta di arrecare danno all’uomo che ama.
La scena in cui la Sirenetta incanta tutti ballando “come mai nessuno aveva fatto” (cit. Andersen) può invece ricollegarsi al particolare rapporto che lega le Villi alla danza. In Giselle, la danza è una loro attività distintiva ed è alla base della punizione prevista per gli uomini contro cui si scagliano, costretti a ballare fino alla morte. Se, nel Classico Disney, Ariel desidera avere un paio di gambe (anche) per ballare (e sarà Eric a insegnarle come si fa), nella fiaba originale ci viene fatto intendere che il popolo del mare sia già in grado di danzare a modo proprio e la Sirenetta ce ne dà una perfetta dimostrazione, pur con i piedi doloranti…
Quando la Sirenetta si dissolve nel mare, vediamo un primo piano del suo volto, in trasparenza su una veduta dell’oceano.
Anche la scena in cui la Sirenetta balla per l’ultima volta, sapendo di andare incontro alla sua morte, può ricollegarsi a questo discorso ancor più se pensiamo alle Villi come a fanciulle che cercano di compensare, attraverso la danza, l’amore che non hanno potuto ricevere e la vita che non hanno potuto avere. Come scrive Heinrich Heine in De l’Allemagne (1835): «Le Villi sono giovani promesse spose che sono morte prima del loro matrimonio: quelle povere creature non possono riposare in pace nelle loro tombe. Nei loro cuori che hanno cessato di battere e nei loro piedi morti resta ancora la passione per la danza che non hanno potuto soddisfare durante la loro vita».
Extra
Questa Sirenetta è interpretata da Zuzana Martinková, che lavorò anche in Italia in film come Fracchia contro Dracula (1985), accanto a Paolo Villaggio, e Monella (1998) di Tinto Brass.
Il film è ricco di balletti classici e ci sono anche alcune parti cantate. La Sirenetta ha la dolce voce di un soprano lirico, mentre la strega ha una gestualità da attrice shakesperiana, in linea con l’interpretazione che Pat Carroll darà di Ursula nel Classico Disney La Sirenetta (1989).
Rusalochka (1968)
Il film
Se la prima proposta del nostro Mermaid Film Festival è stata una delicata produzione televisiva ceca, di un garbato bianco e nero e dal sapore greco e neoclassico, ora passiamo a una versione animata in Russia, che presenta uno stile estetico unico e irripetibile, spostandoci di soli due anni.
Questo piccolo capolavoro dell’animazione sovietica ci giunge dal celebre Sojuzmul’tfil’m di Mosca, studio di eccellenza nella produzione di cartoni animati, fondato nel 1936 e divenuto celebre anche in Italia grazie alle sue produzioni anni ‘50. Indimenticabile il suo La Regina delle Nevi (1957), vincitore del primo premio di categoria alla 18ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Nella sua produzione, lo studio vanta anche diversi altri film animati tratti dalle fiabe di Andersen (Il brutto anatroccolo, I cigni selvatici e Pollicina) e, nel 1968, scelgono appunto di adattare La Sirenetta.
La scena si apre con una sequenza ambientata a Copenaghen, dove un gruppo di turisti stilizzati e caricaturali si appresta a visitare la famosa statua della Sirenetta. Un bianco e nero appena abbozzato crea il giusto contrasto con la narrazione della storia vera e propria, che ha colori vividi e sgargianti. Il prologo presenta una cornice “reale” dove alcuni pesci parlanti si sono raggruppati al porto, proprio come la folla di turisti. Ognuno dei due gruppi (umani e pesci) ha una guida che interagisce con i suoi pari e con lo spettatore. Il passaggio alla fiaba è delineato da una dissolvenza in cui la statua passa dal bianco e nero al colore, animandosi: la protagonista del corto ha le sue sembianze. Nel cielo splende un suggestivo sole rosso che sembra rimandare al modo in cui il sole è descritto nella fiaba: «Quando il mare era calmo si poteva vedere il sole: sembrava un fiore color porpora dal cui calice sgorgava tutta la luce».
Da sirena, la protagonista è quasi totalmente bianca, capelli compresi, con qualche ombra di blu. Le sorelle le donano gli accessori che simboleggiano il suo passaggio alla maggiore età: alcuni fiori per ornare i capelli e un mantello che userà per salvare il Principe. Quando è sirena, il mantello e i fiori sono rossi come il sole, in contrasto con quelli blu delle sorelle; quando vive sulla terra i fiori e l’abito che indossa sono invece blu, in contrasto con il rosso del Principe, quasi a volerci mostrare come la Sirenetta sia sempre un pesce fuor d’acqua, troppo “umana” sott’acqua e troppo “sirena” sulla terraferma.
I fiori rossi, in riferimento al sole, compaiono anche nella fiaba: Andersen ci racconta che, nello scegliere come decorare la propria aiuola, la Sirenetta “la fece rotonda come il sole e vi mise solo fiori rossi come lui”. Inoltre, sia i fiori rossi che quelli blu sembrano essere fiordalisi. Si tratta dello stesso fiore che Andersen prende ad esempio per descrivere il colore delle profondità marine: «In mezzo al mare l’acqua è azzurra come i petali dei più bei fiordalisi».
Rossa è anche la Strega, forse ad evidenziare la sua diversa natura rispetto al resto del popolo del mare, il che la rende per certi versi simile alla Sirenetta, o più probabilmente per rimandare alla sua natura diabolica, infernale. Su questa scia, Nicola Carollo ci fa notare come la scena in cui la Sirenetta si inabissa fino raggiungere l’antro della strega (per poi continuare a scendere) faccia pensare a una “discesa negli inferi”.
Ciononostante, la figura della strega appare buffa e poco minacciosa.
Come dicevamo, abbiamo blu e rosso a vestire il Principe e la Sirenetta in versione umana: colori opposti e complementari. A stonare con il blu (ma non con il rosso) è il colore attribuito alla Principessa bruna, che veste in nero. Un nero piatto, con pochi punti di bianco e rosso, che la fa apparire quasi come una personificazione della Morte: in fondo, sarà lei a condurre la Sirenetta verso la sua drammatica fine. La sua comparsa è accompagnata dalle tragiche note iniziali della Toccata e fuga in Re minore di Bach.
È sul finale che incontriamo la maggiore differenza nella trama rispetto alla fiaba originale e ad altri adattamenti. Anche qui le sorelle forniscono alla Sirenetta uno strumento per salvarsi ottenuto dalla Strega, ma non si tratta di un pugnale con cui uccidere il Principe, bensì di una grande conchiglia chiusa da un tappo in cui è racchiusa una tempesta. Se la Sirenetta aprirà la conchiglia, farà annegare il Principe e la Principessa e avrà salva la vita. L’espediente della tempesta si ricollega ai Rusalki del folklore russo, che si diceva fossero in grado di provocare le tempeste.
La grande conchiglia chiusa da un tappo ricorda vagamente la coppa della pozione con cui la Sirenetta era stata trasformata in umana: in fondo, la strega è la stessa!
Dopo aver gettato via la conchiglia, la Sirenetta viene trascinata in mare da un’onda che arriva fin sulla nave. Nell’aria si spande la canzone che aveva cantato al Principe dopo il naufragio. Una canzone che lui attribuisce alla Principessa bruna, convincendosi definitivamente che sia lei ad averlo salvato. Questa versione ha forse uno dei finali più tristi, anche rispetto all’originale: qui la Sirenetta diventa schiuma di mare e non ottiene nemmeno la possibilità di guadagnarsi un’anima immortale. La narrazione si chiude con un misto di ammirazione e biasimo per la povera, piccola sirena.
Nel finale siamo di nuovo sul porto di Copenaghen e la voce fuori capo della guida turistica ci dice che l’ingenua Sirenetta voleva diventare umana e vivere in un mondo che non era il suo, chiosando poi sul coraggio e sulla saggezza della protagonista, accompagnato dalla struggente musica finale mentre l’inquadratura si allontana dalla statua. Il coraggio di tentare l’elevazione, il passaggio della propria condizione, e la saggezza di farsi da parte? Una sorta di monito? O forse un semplice rifiuto delle implicazioni amorose, di quell’amore puro e incondizionato, che determinò la scelta presa dalla Sirenetta della fiaba originale?
Arte russa
Il mediometraggio in questione presenta uno stile d’animazione misto, tradizionale e realizzato con figure di carta ritagliate: un patchwork di elementi in cui non mancano fotografie stampate, effetti di luce e metallici, componenti che appaiono in rilievo.
Come abbiamo già accennato, la protagonista costituisce un valido tentativo di animare la statua della Sirenetta di Copenaghen. Ciò che di lei più colpisce è la quasi totale bicromia, forse un rimando alle raffinate ceramiche russe denominate Gžel’.
Alcuni fondali richiamano l’arte Khokhloma, dove elementi naturali nei toni del rosso, dell’arancio e dell’oro spiccano su sfondi neri. Il cavallo del Principe, che in una scena onirica prende il volo, ricorda i soggetti della pittura Mezen, animali stilizzati (spesso cavalli) dalle forme appuntite, abbelliti da ornamenti astratti o geometrici.
Extra
Gli animatori hanno scelto di diminuire la visibilità subacquea apponendo una sorta di reticolato a nido d’ape blu scuro, su tutto il perimetro del video.
Forse un tentativo di rendere l’idea di un ambiente opprimente per la Sirenetta.
Più tardi parleremo di come il titolo Rusalochka faccia riferimento ad una figura del folklore russo, la Rusalka: in relazione a questo mediometraggio, è interessante evidenziare come il castano chiaro sia uno dei colori di capelli più associati a queste figure, insieme al verde acqua.
Malá Mořská Víla (1976)
Il film
Il terzo film della nostra rassegna è uno dei classici più amati del filone di fiabe cinematografiche est-europee di cui la Repubblica Ceca è un solido esponente: parliamo di Malá mořská víla (1976), premiato all’edizione ’77 del Gijón International Film Festival. Forti del successo di Tre Nocciole per Cenerentola, co-prodotto con lo studio DEFA nel 1973 e ancora oggi film di Natale per eccellenza in Germania, i Barrandov Studios miravano, con la produzione di questa Sirenetta, a creare un pohádka (film di fiabe) di ottima fattura, con un budget più alto e un’estetica suggestiva e peculiare.
Rispetto ai precedenti due film che vi abbiamo presentato, questo adattamento si prende diverse libertà, a partire dal fatto di dedicare un certo spazio al padre della Sirenetta: una scelta che, come vedremo, sarà ripresa nel Classico Disney. Qui il popolo del mare ha un’opinione ambigua degli esseri umani: sono considerati affascinanti, ma anche primitivi e crudeli. Qui è il Re a collezionare oggetti degli umani, come fa Ariel nel Classico Disney, ma lui non è obbligato a nasconderlo, anzi: ostenta i propri possedimenti.
A ulteriore testimonianza dell’importanza che il padre della Sirenetta ricopre in questa versione, è lui a fornire alla protagonista il pugnale con cui dovrebbe uccidere principe e principessa, assicurandosi la salvezza.
Il padre la avverte che tanto moriranno comunque, perché ha intenzione di farli naufragare una volta sorto il sole, ma lei non ci riesce. Versa una lacrima, si china a baciare il suo principe e poi si getta in mare, assieme al coltello. La vediamo affondare lentamente, distesa sotto la superficie dell’acqua, mentre nell’aria si spande la triste canzone che lei stessa cantava a inizio film (come nel precedente Rusalochka ’68).
Il principe e la sua sposa vanno sul ponte: lui cerca la Sirenetta, ma tutto ciò che vede è una distesa di ninfee che affiorano dal mare. Lei se n’è andata, ma non si è dissolta in schiuma, come viene detto più volte lungo tutta la pellicola, ma si è trasformata in fiori.
Lo stesso principe esclama: «Il mare fiorisce!».
Questa scelta può essere vista come una forma di premio, una clemenza verso la Sirenetta che ovviamente è presente anche nella fiaba, ma che nel testo d’origine si è tradotta nella possibilità di guadagnarsi un’anima, qui invece di rigenerarsi. In un’ottica forse più pagana o che comunque interponga un riferimento alla reincarnazione. Non si è disciolta, non è diventata schiuma, ma un mare di fiori.
Il mare su cui vediamo le ninfee è calmo, totalmente piatto, segnale che anche il padre della Sirenetta ha cambiato idea e ha deciso di non uccidere l’uomo che la figlia ha amato.
Folklore ceco: La Vila (II)
Questo film, come il primo della nostra rassegna, presenta il titolo Malá morská víla.
Qui, però, rispetto al film del ’66, l’immagine della Sirenetta si fonde maggiormente con quella della Vila del folklore slavo, tanto che l’edizione italiana del film presenta il titolo Piccola ninfa di mare, che rende bene l’idea di come è stata rappresentata questa Sirenetta.
Le sirene (e i tritoni) di questo film sono esseri abbigliati con lunghe vesti dai colori pastello che vanno dal blu, al violetto, al verde, sempre in tinta unita.
Vesti lunghe, a collo alto e con maniche larghe a farfalla, medievali. Il loro volto è per metà dipinto del colore delle loro vesti, dagli occhi in su, fronte compresa. L’elemento più peculiare è la loro acconciatura, forse un tentativo di rappresentare capelli che non risentano della forza di gravità. Sono chiome fluttuanti, dalla forma a nuvola, che ricordano vagamente le acconciature afro anni ’70.
Capelli molto vaporosi, ma allo stesso tempo resi secchi dal sale marino. Le loro teste sono adornate con gli oggetti del mondo di sopra e hanno colori simili a quelli delle vesti.
ll comparto visivo offre un ritratto atipico della sirena, che acquisisce qui un aspetto più realistico (a livello fisico-biologico), ma decisamente ultraterreno, quasi spirituale. In linea con la Vila del folklore ceco, entità vicina a una dimensione spettrale, è possibile che questi abitanti del mare siano da intendersi come esseri incorporei, di puro spirito.
ln ogni caso siamo ben lontani dall’immagine che solitamente associamo alle sirene. Innanzitutto, mancano elementi che suggeriscano una netta differenza sessuale o di genere fra sirene e tritoni. Poi mancano i lunghi capelli setosi e lucenti, e soprattutto manca la coda di pesce.
Qui sirene e tritoni hanno gambe e piedi percepibili al di sotto delle vesti, ma quasi mai visibili. C’è persino un momento in cui il Re del mare commenta una statua del Dio Nettuno, deridendo il fatto che i terrestri credano che gli abitanti del mare siano simili ai pesci.
Siamo anche ben lontani da ogni possibile sensualità nella rappresentazione della sirena. Nessun lembo di pelle scoperto, né seni coperti da conchiglie.
Alla luce di questo, è curioso constatare come l’aspetto erotico venga rappresentato in maniera più esplicita rispetto alla maggior parte degli adattamenti della fiaba. Questa nostra Sirenetta, la figlia prediletta del Re del mare, che sta per andare in sposa a un Principe di un regno lontano che lei reputa brutto e noioso, è affascinata non solo dagli oggetti umani e dal mondo di sopra, ma anche dall’aspetto stesso dei terrestri, che può vedere grazie a una statua greca della collezione di suo padre, un nudo maschile, che più volte si ferma ad ammirare. Mentre guarda la statua fa cadere inavvertitamente un libro da uno scaffale, che cade aprendosi su un’illustrazione che attira la sua attenzione: un antico disegno del kamasutra.
In questo film gli abitanti del mare hanno il potere di evocare le tempeste, capacità molto spesso attribuita alle Villi, per cui i regali di compleanno che il Re del mare fa alle figlie che compiono quindici anni sono proprio navi affondate che, essendo piene di affascinanti tesori, attirano la curiosità del popolo marino.
Quasi a inizio film, durante un’ispezione per raccogliere alcuni oggetti scesi dal di sopra, la Sirenetta e sua sorella vedono il corpo di un uomo appena annegato. La sorella sottolinea quanto siano brutti gli umani, mentre la protagonista osserva e non dice nulla.
Entrambe giocano con gli oggetti che non conoscono: monete, soldatini, stoffe ricamate… C’è anche una rosa rosso-arancio che la Sirenetta si mette tra i capelli, poi rimane affascinata da un disegno del sole (dello stesso colore della rosa) che vede in un libro.
Unico altro elemento a distinguerla dagli altri abitanti del mare, oltre alla rosa, sono tre pietre che porta legate al collo. Una di queste, la rossa (stesso colore del sole, anche qui), è magica, perché può calmare le tempeste. Era un regalo di sua madre, venuta a mancare in circostanze dapprima misteriose: sembra essere un argomento tabù, visto che la Sirenetta chiede alla nonna cosa sia accaduto a sua madre (sa bene che le sirene vivono 300 anni), ma quest’ultima non le risponde. Scopriamo poi che anche lei si è rivolta alla strega del mare, andando incontro a un infausto destino, come la bis-bis-bis-bis nonna della protagonista del precedente film, Rusalochka ’68. Apprendiamo inoltre che anche la nonna di questa Vila ha avuto un incontro ravvicinato con un umano in gioventù.
Giunta sulla terraferma, sarà proprio grazie alla pietra rossa che la Sirenetta riuscirà a farsi ben volere da tutti. In quel periodo, infatti, il Regno sta attraversando un momento molto difficile: siccome il Principe ha osato avvicinarsi agli scogli del Re del Mare, il mare stesso (il Re) si è vendicato inondando i campi e distruggendo i raccolti, facendo affondare le navi e rendendo impossibile la pesca (possibile riferimento biblico).
La Sirenetta usa dunque la sua pietra magica per calmare le tempeste, così che le navi giungano in porto con le merci.
Quando bagna nel mare i suoi piedi feriti e doloranti (che sanguinano come nella fiaba e che qui colorano di rosso il mare intero), la Sirenetta implora il padre di non avercela con lei o con il regno del Principe e si scusa per essere scappata, così lui esaudisce la sua preghiera e rende di nuovo pescose le acque, così che i pescatori abbiano piene le reti.
Poi, quando nel castello vengono servite alla Sirenetta delle ostriche (perché ha rifiutato il pesce), magicamente tutti i commensali trovano delle inestimabili perle, molto grandi, dentro i molluschi. Tutti dunque constatano in maniera tangibile quanto questa strana ragazza muta porti fortuna: sembra che il film metta in atto una rivalutazione della Vila, che nel folklore slavo aveva connotazioni perlopù negative, essendo legata a disastri naturali come le tempeste.
Con lei, il Regno torna a fiorire. Tutti la chiamano persino “la Sirenetta” (‘morská víla’), perché il Principe per primo scherza su questo fatto e con tutti ironizza, senza sapere di aver ragione, facendo credere ai sudditi che lei sia una creatura del mare (perché l’ha trovata sulla spiaggia).
Quando la Sirenetta arriva sulla terra inizialmente è nuda, poi la vediamo indossare magicamente una veste azzurra molto simile a quella che sfoggiava sott’acqua, ma con uno scollo più basso e grandi maniche unite alla vita. Sembra quasi abbigliata con un unico manto che ricorda vagamente l’oceano, soprattutto grazie alla sinuosa danza che nel film attua appena giunta sulla terra. Una scelta che sembra quasi volerci dire che quella veste non è un abito, ma una specie di stilizzazione di un magico corpo fatato, un segnale per dirci che si tratta di una Vila.
Non è mostrato il momento in cui le viene donata questa nuova veste e la Sirenetta non si vedrà mai, in tutto il film, con abiti “terreni”. L’abito resta quindi quasi invariato, mentre ciò che cambia diametralmente è il suo aspetto, soprattutto il viso e i capelli. Le sembianze umane (o semi-umane) di questa piccola Vila includono una fluente chioma castano-rossiccia, molto preraffaellita, con boccoli e palese messa in piega in varie scene, e un incarnato più roseo perché non ha più il make-up bluastro che le colorava la fronte, fino alle palpebre.
Extra
Principali differenze rispetto alla fiaba di Andersen:
⚓ La Sirenetta intende diventare umana anche per sfuggire a un matrimonio combinato che la farebbe salire al trono al fianco del Re di tutti i mari: è questa la goccia che fa traboccare il vaso.
⚓ ll rapporto con il Principe è più che mai ambiguo: lui fa progetti per il loro futuro insieme, pur dicendole chiaramente di essere innamorato della ragazza che l’ha salvato. In una scena lei si china per baciarlo.
⚓ Qui la sorte del trasformarsi in schiuma spetta a qualunque abitante del mare resti troppo tempo sulla terraferma (è come se fosse una reazione fisica naturale), oltre al fatto di perdere il senno. Infatti, quando la Sirenetta andrà dalla strega per chiederle aiuto, la fattucchiera specificherà che la pozione la renderà molto simile agli umani, proprio per far in modo che possa restare sulla terra senza sciogliersi in schiuma.
⚓ La Sirenetta dovrà sposare il principe per diventare completamente umana: non si parla mai di anima.
⚓ Il pugnale le viene recapitato dal padre quando lei chiede aiuto per far sì che il principe dimentichi la principessa bruna.
La relazione col Principe
In un certo senso, il Principe amoreggia con lei. Non solo lui fa progetti per il futuro, ma i due si danno persino un bacio (anche se è lei che si china su di lui, steso e immobile). Quando sono a tavola e alla Sirenetta vengono servite delle ostriche perché ha rifiutato il pesce, magicamente tutti trovano delle inestimabili perle, molto grandi, dentro i molluschi. Da quell’episodio in poi, il Principe farà un triste riferimento alla loro vita insieme: le dice (più volte) che vivranno insieme e saranno così felici da trovare una perla ogni tre ostriche. Più avanti dirà la sola frase “Una perla ogni tre ostriche” come una sorta di motto. Dal canto suo, la Sirenetta (incapace di parlare, ma non con noi, che sentiamo i suoi pensieri) ripeterà invece un altro mantra. “Mám tì ráda”, che sarebbe letteralmente un “Quanto mi piaci” e che in ceco ha l’accezione di un “Ti amo”. Lo dirà proprio quando decide di assaggiare il pesce, solo perché l’ha pescato e cucinato lui. Eppure lei è solita dormire fuori dalla porta di lui, vicino ai cani. Lui inoltre si confida molto apertamente con lei. Le dice chiaro e tondo che è innamorato della ragazza che lo ha trovato sulla spiaggia, la principessa dai capelli scuri. E dice alla Sirenetta che sta bene con lei proprio perché assomiglia alla ragazza della spiaggia. Ad un certo punto le dice che è pure più bella di lei, ma solo quando mira a rassicurarla, in quanto l’ha appena avvisata che andranno a far visita a una famiglia reale del regno vicino. “Non temere, non voglio né lei, né l’Impero. Avremo dei bambini e vivremo felici e contenti,” le dice. Ecco perché subito dopo lei si dirige verso il mare e chiede di nuovo aiuto a suo padre, pregandolo di darle qualcosa per far sì che lui dimentichi la ragazza della spiaggia. Il padre la accontenta e le fa trovare sulla riva, ai suoi piedi, l’unica cosa che potrebbe togliere dalla testa del Principe la ragazza bruna: un pugnale. Chiaro messaggio.
La strega (vestita e acconciata come tutti gli altri abitanti del mare, ma in toni più scuri, sul viola) è interpretata da una donna molto avvenente, contrariamente alla tradizione. Una sorta di Malefica del mare. Non è nemmeno molto minacciosa e non sembra cattiva, in linea con la fiaba originale. Una mercenaria. Anzi, forse un filo più clemente (poco) perché sa già che quella sua scelta condurrà la Sirenetta alla rovina e la avverte del pericolo.
La trasformazione da sirena ad umana non è visibile, ma possiamo scorgere in lontananza, sulla superficie dell’acqua, la piccola sagoma in ombra della sirenetta che viene come spazzata via, ripudiata dall’acqua, espulsa dal mare (in una ripresa in rewind e sottosopra, che in origine non è altro che la sirenetta che si tuffa in mare).
La principessa bruna è interpretata da Libuše Šafránková, sorella dell’attrice che interpreta la Sirenetta (Miroslava Šafránková). La trama gioca sulla somiglianza tra le due: è proprio il principe a dircelo, quando le vede entrambe vicine, anche se la somiglianza è probabilmente solo percepita, dal pubblico in primis, poiché le due sorelle sono celebri in patria. La principessa bruna è stata infatti la Cenerentola del film precedentemente citato, uscito appena tre anni prima, e il principe di questa Sirenetta doveva inizialmente essere interpretato dal principe della suddetta Cenerentola.
Il film fu girato in due luoghi particolari, che sono tra le maggiori bellezze naturali della Repubblica Ceca: la Velká Amerika (enorme cava calcarea, per le scene in riva al mare) e presso le formazioni rocciose dette “Rocce di Prachov”, meravigliosa riserva naturale protetta e ricca di rocce chiare, molto alte e levigate, che una volta inondate di luce azzurra divennero un perfetto fondale marino. Il castello del Principe è invece il Castello di Veltrusy, costruito nel 1754 in Boemia. Castello che, non a caso, fu anche il luogo di nascita di Antonín Dvořák, celebre compositore ceco, famoso per aver scritto (fra le altre cose) un’opera lirica dal titolo Rusalka, che è ovviamente ispirata alla fiaba di Andersen.
Rusalochka (1976)
Il film
La quarta perla del nostro Mermaid Film Festival è di nuovo una produzione russa ed è una delle più celebri e amate versioni cinematografiche della fiaba di Andersen. È stata girata nello stesso anno della nostra precedente Sirenetta, il 1976, ma è uscita in Russia il 17 dicembre, poco più di un mese dopo la sua sorella ceca.
Il film è stato realizzato dallo Studio Gorky, rinomata casa di produzione cinematografica russa fondata nel 1915, che vanta una vastissima produzione (tra cui l’amatissimo Nonno Gelo, del ‘63), in collaborazione con la Bulgaria (Studija Za Igralni Filmi).
Nella scena d’apertura vediamo una carrozza che trasporta alcuni passeggeri: i loro abiti suggeriscono che ci troviamo alla fine dell’800. Fra questi c’è un personaggio che sembra rimandare ad Andersen, l’autore della fiaba originale (lo intuiamo subito grazie a una certa somiglianza e alla dedica fatta nel secondo cartello dei titoli di testa), insieme a una coppia di giovani innamorati, una signora mezzo assopita e una giovinetta bionda. Quest’ultima viene ripresa dalla signora adulta (che forse è la sua governante), poi fissa i due innamorati con un accenno di occhi lucidi e arrossati. Il nostro Andersen le rivolge la parola con un pretesto, poi cerca di intrattenerla (e di consolarla) nell’unico modo che davvero conosce: raccontare una storia.
Il prologo è un delicato omaggio alla tendenza dello scrittore danese di creare fiabe ricavandole dalla vita di tutti i giorni. Proprio ciò che questo suo alter ego cerca di fare con questa ragazzina incontrata per caso.
È chiaro sin da subito che, nella finzione cinematografica, i passeggeri della carrozza saranno anche i protagonisti della fiaba che viene narrata. «Prova a ricordare: forse ci vivevi anche tu, in quel mare…», racconta Andersen a quella che sarà la Sirenetta della storia. Come se si trattasse di una sua vita passata che lo scrittore intende far riemergere. Un’ipnosi regressiva.
Ci immergiamo in mare, all’improvviso, perché l’Andersen di questo film inizia a raccontarci la storia delle sirene, qui non troppo amate. “Quelle che affondano le navi”, come ci dice la giovinetta bionda. Ed è proprio quell’effetto ipnotico che ci fa nuotare in un mare dai colori non sgargianti, dove il verde è mescolato al blu, ma entrambi presentano poca luce, poca brillantezza in generale. Non stupisce che in Germania questo film si chiamasse Die traurige Nixe (la triste Nixe). L’intento di scenografo e compositore è ben chiaro: nel mare esistono queste creature particolari, temute e bellissime, molto pericolose, che si concedono momentaneamente alla nostra vista. A noi fortunati eletti, che le stiamo spiando mentre sono intente a giocare e a rilassarsi, poco prima della loro battuta di caccia, poiché di questo si tratta.
La ripresa sottomarina, meravigliosa e ipnotica, non concede dialoghi. Nessuna battuta, ovviamente. Le prime parole che sentiamo all’interno del racconto sono i canti dei marinai in festa. Una nave, verso sera, passa di lì. E forse queste sirene lo sanno bene e aspettano. È proprio su questa nave, vicino alla balaustra, che ci viene mostrata da vicino una di queste creature marine per la prima volta. La protagonista della storia abbandona momentaneamente le sorelle (che, sedute sugli scogli, aspettano di iniziare a cantare, per far naufragare la nave) e si arrampica sull’imbarcazione per guardare il Principe e tuffarsi in mare quando quest’ultimo sembra ricambiare. Poi si dà inizio al naufragio.
Dopo aver salvato il Principe, la Sirenetta si avvicina al castello e resta nel fossato, stringendo così amicizia con un viandante, Sulpicius, che le offre del pane e cerca di aiutarla.
A differenza degli altri umani, egli non ha paura della sirena, né cerca di farle del male: sa che sono entrambi degli emarginati, degli outsider, e che si devono aiutare a vicenda, se possibile. Così è proprio lui, interpretato dallo stesso alter ego di Andersen, che cerca qualcuno che possa aiutare la sua giovane amica, e trova una strega locandiera.
Questa Sirenetta pare essere totalmente umana, una volta attuata la trasformazione. Lo scambio è questo: i capelli per le gambe e un cuore. Non si parla di anima, né di schiuma, solo di cuore che si spezza e del terribile dolore che provoca il deambulare, come di consueto. Piccola nota aggiuntiva che crea quel pathos necessario a una rilettura non banale: se qualcuno fosse disposto a dare la propria vita per lei, la Sirenetta non morirebbe, ma sarebbe “eterna come un sogno” per citare la strega stessa. L’impressione è che il concetto di anima (acquisita grazie all’amore, al sacrificio di un’altra persona) sia comunque presente, senza esplicita menzione.
La scelta di eliminare tutta quella porzione di intreccio che riguarda il ruolo delle sorelle, l’importanza del pugnale e il tentennamento della piccola sirena che si ritrova sul punto di uccidere il suo amato Principe ha una finalità ben precisa che, se non è politica, è certamente morale. I russi hanno sempre rifiutato l’espediente narrativo dell’autore danese, volto a creare nel lettore quel pathos dato dalla “discesa negli inferi” della Sirenetta. Poco importa che alla fine faccia la scelta giusta, ci ha messo un po’ prima di realizzarlo…
Ecco il perché di uno svolgimento diverso e di un denouement lontano dalla versione su carta.
Quel momento in cui la piccola sirena ha un certo istinto di sopravvivenza e decide di dirigersi lentamente verso il talamo della coppia di neosposi per procurarsi quel sangue che, una volta sui suoi piedi, le restituirebbe la coda e la salverebbe è un momento di follia, in cui quasi non la riconosciamo. Come può la dolce Sirenetta arrivare a tanto? Sapeva benissimo che avrebbe rischiato la vita, le è stato detto chiaramente. Possibile che ora cerchi una via di fuga e una così truce, per giunta? Sta davvero per uccidere il ragazzo che ama? Questo è vero amore, Sirenetta? No. Non per i russi. Non per questo film. Andersen lo ha fatto per intrattenere, la trama di Rusalochka mira piuttosto a commuoverci da subito e maggiormente.
Nella versione originale, lei lo ama al punto da preferire la sua morte a quella di lui. Qui cosa accade?
Qui c’è un torneo in cui il Principe rimane ucciso. A piangerlo amaramente, è chiaro, non è la Principessa bruna, ma la piccola Rusalka in lacrime, di nuovo china su di lui come quel giorno sulla spiaggia. E di nuovo la strega corre in suo aiuto, stavolta così rabbonita e compassionevole da non chiederle nulla in cambio. La Sirenetta la implora di farlo tornare in vita, anche se sa benissimo che così lui avrà modo di spezzarle il cuore, sposando la Principessa. La strega la accontenta. La Sirenetta balla allegra, nella sua ultima notte di vita, in attesa di quell’alba che la ucciderà, pur non trasformandola in schiuma come nella fiaba.
E poi, un colpo di scena finale. Un uomo mascherato rivendica il titolo del Principe, accusandolo di essere un impostore e lanciando una sfida finale a colpi di spada. Stavolta il Principe ha la meglio e, dopo lo scontro, scopriamo che dietro la maschera c’era Sulpicius. Il povero viandante ha deciso di sacrificare la propria vita per la piccola sirena (già prima, non a caso, aveva sottolineato questa condizione del patto con la strega), perché si è a sua volta innamorato di lei, come gli aveva detto la strega, quando ancora mentiva a sé stesso (o forse solo a noi spettatori).
Qui abbiamo dunque un duplice amore non corrisposto: quello della Sirenetta salva il Principe, quello di Sulpicius salva la Sirenetta. Lei si trasforma in un sogno eterno, un’anima che non muore mai e che adesso però, contrariamente a prima, porta fortuna e felicità a chi riesce a vederla. Come se ora fosse redenta, accontentata e riabilitata.
A questo punto il Principe stesso diventa vittima di un terzo amore impossibile, irraggiungibile.
La narrazione termina con le ultime parole che Suplicius rivolge al Principe, un estremo messaggio in cui gli dice che quella Sirenetta era il suo sogno, quello che ha cercato per anni, ma oramai l’ha persa e non la vedrà mai più. La vediamo infatti comparire furtiva qua e là, per poi scomparire ogni volta che il Principe (come in preda a una visione) la rincorre, evanescente e ormai incorporea, ma non così tanto da impedirle di lasciare qualche suo ricordo: le tre rose che Suplicius le aveva regalato durante il giro al mercato, uno dei rari momenti di tutto il film in cui lei sorride.
Ora la Sirenetta è ciò che non è riuscita ad essere mentre era in vita, quando aveva il mondo contro di lei, aspro e gonfio d’odio, pronto a tirarle sassate o bruciarla viva. Quando l’unica consolazione era passeggiare con un amico che amava la vita e sperava di farlo capire anche a questa piccola sirena appena conosciuta, giovane e sola, scappata di casa, che non si chiede nemmeno il perché di tanta cura da parte di uno sconosciuto. Dimostrando di avere una cecità simile a quella del suo Principe, questa Sirenetta ci lascia con il triste messaggio che, a certe condizioni, l’emarginato può emarginare e una vittima del mondo può anche far soffrire a sua volta, in modo inconsapevole.
Il tutto sempre fermo restando che “chi diceva che la vita è bella aveva ragione”.
Principessa e strega
Condividiamo in questo paragrafo ulteriori impressioni sulla particolarità di alcuni personaggi di Rusalochka, anche rispetto alla fiaba di Andersen.
La strega, in questa versione, è non soltanto imparziale, ma finisce persino per muoversi a compassione, toccata nel profondo dalla storia della Sirenetta. Non è solo la mercenaria che, magnanima, si accontenta dei capelli verdi della sirena, al posto della voce, per somministrarle l’incantesimo, ma verso la fine si rattrista e quasi si dispera per la fine imminente della dolce Sirenetta. Prima ancora, di fronte a tanto amore e tanta dedizione, cambia la propria personalità e, da locandiera commerciante di magie, dice che soffre per amore con una canzone e, vestendosi magicamente di un sontuoso abito, raggiunge la Sirenetta a corte, perché anche lei vuole innamorarsi, magari di un Principe.
Abbiamo dunque una donna imponente e brusca, materiale e burbera, che diventa nel corso della storia più morbida e comprensiva, triste… anche lei un po’ Sirenetta. Dopotutto, come pagamento vuole i capelli verde acqua della protagonista per indossarli come fossero una parrucca, come se volesse giocare a sentirsi un po’ sirena.
In mezzo a una folla ora indifferente e ora ostile, la strega e il povero viandante sono gli unici che aiutano e provano compassione per la piccola sirena.
Vale la pena dispensare qualche pensiero anche per la Principessa bruna, piuttosto inconsueta per l’economia della storia classica. Nel testo originale appare poco e parla nulla: non ha un carattere ben definito, è solo neutrale. Anzi, sotto certi punti di vista la si potrebbe quasi definire l’ennesima vittima amorosa del Principe, poiché non è altro che la vittima di un matrimonio combinato e descritta (o non descritta) come piuttosto indifferente. Al contrario, nell’adattamento ceco del ’76 e in quello tedesco del 2013 appare come una cara ragazza con cui non ci faremmo problemi ad empatizzare, se non conoscessimo la verità sulla Sirenetta, mentre in quello russo del ’68 ha una valenza allegorica, come fosse una personificazione della morte.
Qui, invece, la Principessa è un personaggio assolutamente terreno, una nobildonna superficiale, viziata e annoiata che si mette subito in cattiva luce quando racconta di come ha salvato il Principe, ricamando una storia inverosimile in cui si è persino gettata in acqua. Regalerà un suo cameo sia al Principe che al Cavaliere inglese, così da poter sposare uno dei due, perché per lei uno vale l’altro. Mentirà anche quando, vedendo il Principe tornare al castello dopo il torneo, sosterrà di non aver mai smesso di pregare da quando è tornata dall’arena (mentre invece rifletteva sul da farsi, se organizzare o meno un nuovo torneo). È dipinta a suon di cattive azioni, non c’è dubbio, ma si ravvede momentaneamente quando confessa al Principe la verità, mostrando infine un lato di sé, forse più autentico e umano, che avevamo già intravisto quando si confida con la Sirenetta in riva al mare (e ammette di essere pettegola, fra le altre cose).
Un altro aspetto peculiare è il fatto che la vediamo spesso in compagnia della protagonista. Le premesse su cui si basa il loro rapporto sono superficiali, dopotutto la Principessa le rivolge la parola solo perché pensa che lei sia una nobildonna che nasconde un segreto, ma quel che è certo è che la Sirenetta riesce ad entrare nelle sue grazie anche e soprattutto per la sua dolcezza e sincerità, elementi quasi infantili che attirano l’attenzione e la tenerezza della sovrana, che le si rivolge con tono affettuoso, la consola, le promette di organizzare un torneo tutto per lei, affinché trovi un nuovo amore, etc.
Il Principe, dal canto suo, è simbolo del nobile buono, senza macchia e senza paura (ma anche senza polso, silhouette di tanti film fiabeschi russi e cechi). Sente un obbligo morale e il dovere regale di sposare la Principessa, perché crede che lei gli abbia salvato la vita e, per il suo codice morale e per il suo onore, questo lo rende debitore al punto che il suo animo nobile quasi trasforma la sua stoica accettazione in amore. Non è un bel ritratto, anche il suo, ma di certo non è cattivo, né egoista. Solo molto triste. Forse è l’unico personaggio che sorride meno della Sirenetta stessa.
Un personaggio che sorride davvero molto spesso invece è la già citata Principessa bruna, che guarda caso è anche l’unica di cui non conosciamo il nome.
Al netto di una caratterizzazione mediamente sfaccettata, la Principessa resta comunque il simbolo di una nobiltà affettata, che si ritiene migliore degli altri, e la cui cupidigia è superata soltanto dall’altezzoso orgoglio, perché quando il cavaliere vincerà il torneo contro il Principe con un colpo altamente sleale (sorprendendolo alle spalle) lei sarà sinceramente inorridita e non accetterà più di sposare il vincitore della sfida, nonostante i numerosi possedimenti e le ricchezze che vantava. C’è un veloce accenno anche all’eredità del triste Principe (poco prima che lo ripeschino dalle acque), però è una sua dama di compagnia a proferirlo. Evidentemente conosce bene la sua signora.
Folklore russo: la Rusalka
Questo film, come il secondo della nostra rassegna, presenta il titolo Rusalochka, ossia ‘piccola rusalka’, l’espressione che da sempre viene utilizzata per tradurre La Sirenetta in Russia.
Introduciamo dunque la figura della Rusalka del folklore russo, nota anche in Ucraina e Polonia. Per certi versi è simile alla Vila del folklore ceco, ma è legata in modo più specifico all’elemento acquatico. Anche lei, in origine, non possiede la coda di pesce e, come una ninfa, può essere nuda o indossare leggere e candide vesti, come quelle indossate dalla nostra protagonista anche in versione sirena.
Come le Villi, le Rusalki hanno una naturale predisposizione per la danza: nel film le vediamo ballare sugli scogli, e vediamo la protagonista danzare a corte con movenze che, come la sua voce (forse ispirata alle rappresentazioni teatrali di Campanellino in Peter Pan), mettono in luce la sua natura fatata, soprannaturale.
Nel folklore russo, le Rusalki affondano le navi, ammaliando i marinai: notiamo che infatti qui è proprio la Sirenetta, insieme alle sue sorelle, a causare l’affondamento della nave del Principe.
In questa versione della storia, le sirene sono fortemente ostracizzate, viste come la causa di ogni male: pestilenza, carestia, grandine, incursioni saracene…
Fra i film che vi abbiamo presentato, è l’adattamento che più mette in luce come una concezione negativa della sirena possa sfociare nell’emarginazione e nella persecuzione.
Nella scena in cui la protagonista viene presa di mira dai pescatori, la vediamo aleggiare sulla superficie del mare come uno spirito che infesta le acque, come una Rusalka.
La gente ha paura: una nave è appena affondata a causa delle sirene e la protagonista non lo nega perché non mente mai. E così, in un’escalation di odio e terrore, passano dal lanciarle pietre (i pescatori, quando emerge dal mare), al lanciarle fiaccole accese (il cavaliere inglese appena giunto al castello, quando lei è nel fossato), al tentare di bruciarla sul rogo come una strega.
A ricollegare questa Sirenetta alla figura della Rusalka c’è poi il colore dei suoi capelli, verde acqua come vuole il folklore russo, e il fatto che la si veda nuotare anche al di fuori del mare. Questo perché le Rusalki non sono necessariamente legate all’ambiente marino, anzi: è facile trovarle in corsi d’acqua dolce – fiumi, laghi, sorgenti, stagni, etc.
Forse è per questo che all’inizio della narrazione Sulpicius, alter ego di Andersen, chiede alla protagonista se conosca “le sirene (rusalki) del mare”, specificandone l’habitat.
Inoltre, questa Sirenetta non ottiene un’anima nel senso cristiano del termine, ma diventa lei stessa un’anima, uno spirito che si aggira per la Terra in eterno. Non a caso, secondo alcune versioni, le Rusalki sono spiriti di giovani donne che sono state tradite dal loro amato e si sono tolte la vita annegandosi. Trattasi di figure inquietanti e minacciose, fantasmi vendicativi che non trovano pace. Non è certo il caso di questa Sirenetta che al contrario, come ci viene ribadito in chiusura, trasmette gioia a chiunque riesca a vederla.
Il film sembra sovrapporre la storia di Andersen alle principali credenze legate alle Rusalki, volgendole perlopiù in positivo: e così, nel folklore russo la Rusalka affoga gli uomini mentre qui salva un Principe che sta per annegare; nel folklore è tramite la vendetta che la Rusalka riesce a liberarsi dalla sua condizione, mentre qui la vendetta che può renderla libera (l’uccisione del principe) non è neanche contemplata. Sembra che storie di amori impossibili fra Rusalki e umani fossero già presenti nel folklore russo, ma quando nel 1901 debutta la Rusalka di Antonín Dvořák ormai la Sirenetta danese di Andersen è già celebre.
Rusalochka contestualizzata
Una delle possibili chiavi di lettura attraverso cui analizzare Rusalochka (1976) consiste nel prendere in considerazione tempo e luogo della sua produzione: parliamo sicuramente di un contesto particolare, quello della Russia pre-caduta del Muro. In quel frangente, le proposte cinematografiche autoctone potevano essere o filmati di propaganda esplicita (evitati perché non piacevano) o adattamenti di classici della letteratura. Qualsiasi altra storia avrebbe potuto veicolare messaggi sovversivi, minando quell’artificioso concetto di felicità imposto dal regime. Tuttavia, adattare romanzi e racconti esteri era concesso e questa scelta permetteva al cinema sovietico di trattare – anche solo di sfuggita – tematiche “proibite” o, al contrario, rafforzare le politiche di regime.
Fra le fiabe più amate in Russia ci sono Cenerentola e La Sirenetta. La prima è una ragazza comune che diventa principessa, mentre la seconda è l’emblema dell’emarginato sociale, un simbolo degli ultimi. In una società, come quella dell’URSS, in cui tutti dovevano essere considerati “alla pari”, sono storie che fanno presa su diversi livelli. Da un lato è un modo per pensare ai disadattati, per empatizzare con loro e fare in modo che non siano “invisibili” e/o discriminati dalla società, in linea con il pensiero comunista, ma dall’altro è proprio attraverso la loro unicità che Cenerentola e la Sirenetta riescono ad ergersi sopra agli altri. Da un lato viene meno il principio d’uguaglianza, dall’altro viene evidenziato come le due siano più buone, giuste e meritevoli di governare rispetto ai ‘veri’ nobili, ritratti come superficiali e incapaci.
La Sirenetta non nega di aver affondato la nave, quindi non nega ciò che ha contribuito a creare uno stigma (seppur spropositato) nei confronti delle sirene, ma allo stesso tempo cerca di redimersi rispetto al resto della sua “specie”. Purtroppo, però, viene compresa e sostenuta appieno solo dagli ultimi, dagli emarginati come lei. L’insofferenza nei confronti della nobiltà è evidente nel personaggio del viandante, Sulpicius, che – come evidenziato da Victoria Bachina, consulente madrelingua per SubClassics – dà del tu a tutti, compresi Principe e Principessa, perché non ne riconosce l’autorità. Anzi, il film mette in luce come la “classe dirigente” sia composta da persone superficiali, finanche stupide, tanto che perfino Sulpicius riesce a manipolarle, facendo loro credere che la protagonista non sia una sirena, ma una “nobildonna avvolta nel mistero”.
La facilità con cui Sulpicius attua il proprio raggiro evidenzia la superficialità (nonché la pochezza o la stupidità) della nobiltà, nello specifico della Principessa, in favore delle altre categorie (classi?), in particolare del viandante.
Si tratta di un atteggiamento sicuramente riconducibile ai valori della Russia comunista: Sulpicius parla ai reali senza mezzi termini ed è interessante che Principe e Principessa ne apprezzino l’audacia, legittimandone l’approccio.
Sempre in quest’ottica, c’è poi il rifiuto della religione. Il film non è ambientato in Russia, ma in un Regno immaginario in cui il cristianesimo è ben presente, ma il personaggio più religioso, ossia la Principessa bruna, è anche il più negativo, subdolo e superficiale. È l’unico personaggio che parla di Santi, di preghiera, di confessione e di sacralità, ma appare ipocrita e manipolatoria anche e soprattutto nell’ostentazione del suo credo, quando finge di aver pregato per il Principe a seguito della sua sconfitta. Lei è anche l’unico personaggio a menzionare “l’anima” in senso cristiano (quella di cui parlava Andersen), mentre qui la Sirenetta non sa neanche cosa sia una chiesa.
Alla sirena è concesso di distinguersi, nel bene e nel male. Come nella scena in cui balla in solitaria, attirando l’attenzione degli astanti che più che esserne incantati (come nella fiaba) appaiono straniti, quasi impauriti, mentre il Cavaliere inglese sembra deriderla. Eppure la protagonista riceve, poco dopo, i complimenti della Principessa…
Ricordiamo che questa è una Sirenetta che rischia la vita ogni volta che tira fuori la testa dall’acqua. Da un lato, il fatto che dica la verità sempre e comunque mette in luce la sua purezza d’animo, dall’altro rivendica l’impossibilità di allinearsi alla norma, perfino quando rischia la vita (senza accorgersene). Finisce perfino per essere la voce della ragione quando, prima del torneo, avverte la folla (“Non è un semplice gioco, si rischia la vita!”), ma tutti ridono di le. Questa Sirenetta disadattata appare invero più “umana” degli umani stessi.
Come dicevamo, comunque, questa Sirenetta si distingue non solo rispetto ai nobili, ma anche rispetto alla gente comune: è chiaro nella scena in cui visita il paese, accompagnata da Sulpicius che intona una canzone che recita “colui che ha detto che la vita è bella aveva ragione”. Si tratta probabilmente di una citazione della riga conclusiva del testamento politico del rivoluzionario Leon Trotsky («La vita è bella. Invito le generazioni future a purificarla da ogni male, oppressione e violenza e a goderla a pieno»), che racchiude perfettamente lo spirito dell’Unione Sovietica. E infatti vediamo la gente comune che lavora ed è felice, una scena che sa molto di regime socialista, vecchio comunismo. I popolani sono tutti uguali e poco interessanti: rimangono sullo sfondo, mentre la Sirenetta brilla di luce propria.
Con il tempo, Rusalochka e gli altri film dell’URSS incentrati sulle fiabe hanno perso qualsivoglia connotazione socio-politica. Non sono considerati film di regime e probabilmente non lo erano nemmeno nella stessa URSS, in cui determinati concetti erano inseriti a prescindere in qualsiasi prodotto mediale. Si tratta di film che la Russia odierna si è lasciata alle spalle, ma che continuano a trovare successo nel mercato tedesco, da sempre impegnato ad esaltare il valore della fiaba, con un approccio assolutamente apolitico. Allo stesso modo, anche il canale di SubClassics intende mettere in luce l’incanto estetico e narrativo di questi film separandoli da una possibile lettura politica che risulta però interessante da compiere nel momento in cui li si contestualizza, come stiamo facendo qui.
È possibile effettuare una contestualizzazione di Rusalochka anche dal punto di vista della moda: il professor David Roberts del Marist College, da noi consultato per questo articolo, suggerisce una possibile influenza dell’estetica vittoriana/edwardiana e preraffaellita in voga nei primi anni ’70, una reinterpretazione fiabesca di un passato non troppo lontano che potrebbe aver influenzato costumi e pettinature di questo film. Quella della protagonista, ad esempio, è un’acconciatura mossa, con riga al centro, tipicamente anni ’70. Qui sopra vediamo la locandina di Fratello sole, sorella luna (1972) a confronto con quella di Rusalochka, uscito quattro anni dopo. Nell’Unione Sovietca, come spiega Roberts, le tendenze dall’Occidente arrivavano con qualche anno di ritardo: e così, mentre negli USA c’era già il capello gonfio e mosso di Farrah Fawcett e l’estetica disco, ciò che vediamo in Rusalochka sembra appartenere di più alle tendenze di fine anni ’60/inizio ’70.
Sicuramente le possibili connotazioni politiche non sono state prese in considerazione quando il film è andato incontro a un’inaspettata fama sul social network Tumblr, attorno al 2014. Qui urge un’altra contestualizzazione: siamo nei primi anni ’10 e Tumblr è la piattaforma prediletta da milioni di adolescenti, soprattutto di genere femminile. Le ragazze colgono l’occasione per esprimersi, pur con tutti i limiti del caso, su temi a loro cari.
È l’occasione per parlare dei propri problemi su più fronti, anche rispolverando il buon vecchio femminismo. Un’occasione per esprimere la propria tristezza, parlare di pensieri suicidi e problemi mentali con una franchezza prima inaudita, e un’ironia che potrebbe anche risultare catartica, purché non sfoci nella romanticizzazione del dolore, o nella sua banalizzazione.
Possiamo ipotizzare che i fotogrammi di Rusalochka abbiano attirato le Tumblr Girls per almeno 2 motivi. La drammaticità di determinate battute, sicuramente over-the-top, e quindi interpretabile anche in chiave ironica (tongue-in-cheek), è abbinata a un’estetica ‘pastel’ caratterizzata da quei toni delicati che andavano forti sulla piattaforma. Pensieri suicidi in colori pastello: un buon sunto della poetica-estetica della Sad Girl di Tumblr. Completano il quadro, naturalmente, i capelli di quegli stessi colori.
Kylie Jenner, influencer che ha acquisito particolare rilevanza proprio a partire dal 2014, indossava spesso parrucche azzurre e verde acqua, proprio come quelle della nostra Sirenetta.
Sul web si trovano diversi screenshot con sottotitoli in inglese che derivano proprio da Tumblr. I più diffusi sono caratterizzati da un’enfasi iper-drammatica su amore, dolore e morte.
A sinistra: «Perché sei così felice? Morirai oggi».
A destra: «Se non vedo il principe, morirò».
In senso orario: “Chi sei?”/”Una sirena”; “Cosa è una chiesa?”, “Non è niente in confronto al dolore che il tuo cuore dovrà sopportare”, “Sarai eterna come un sogno!”.
Extra
Quando discendiamo negli abissi, il tono cupo e pensieroso della Sirenetta della fiaba emerge malinconico dalle note tranquille di un pianoforte lontano, da un leggero coro di sirene che ancora non vediamo perché l’acqua è blu cobalto, piena, non torbida, ma carica, quasi opprimente. Vediamo la ripresa sottomarina di un vero fondale, grandi scogli, coralli, delfini, un’infinita distesa di meduse e poi…Poi? Una sirena che timidamente procede, in lontananza, nuotando a filo della roccia, come fosse un dettaglio di poca importanza, inserito nel quadro nel modo più naturale possibile. È estremamente realistico. La scelta cinematografica più vicina a un reale avvistamento di sirene avvenuto in mare aperto, in profondità. Senza contare che l’attrice (o nuotatrice, perché il campo lungo la rende irriconoscibile) si muove attraverso reali meduse, abbastanza grandi e minacciose.
Un realismo che non si vede spesso, in un film di fiabe.
Notiamo, dalle scene in cui si arrampica sulla barca del principe, che questa Sirenetta ha una qualche forma di vestiario, forse volta a evitare la totale nudità del busto: si tratta di maniche fatte di veli bianco-argentati, decorati con alcune perle. Più tardi noteremo che questo indumento (che sembra assente nelle scene in cui nuota sott’acqua) presenta del morbido tulle, sul davanti, che riproduce un pattern simile alle squame di pesce. Quando la sirenetta si tuffa in acqua all’improvviso, perché il Principe l’ha vista, vediamo bene anche la coda. Come già intuito dalle precedenti riprese sottomarine, la coda è resa con un telo non troppo aderente, che lascia ben intravedere la forma delle gambe, ma di un vivido colore azzurro. Le pinne, invece, che ricordano per forma e dimensione le normali pinne da sommozzatore, sono lucenti e argentee.
Dopo che la Sirenetta ha condotto il suo Principe sulla spiaggia, la cosa su cui si sofferma di più è il battito del suo cuore, poiché in questa versione lei ne acquisisce uno solo dopo la trasformazione. Non si parla di anima, la parola compare un’unica volta e in bocca alla Principessa bruna, personaggio tutt’altro che positivo.
Prima che la gente del villaggio (e i nobili, di rimando) si accorgano della Sirenetta, Sulpicius le fa sperimentare quei pochi attimi di vita felice che proverà sulla terra. Le fa fare un giro (con tanto di canzone cantata) di una specie di mercato cittadino molto semplice. L’allegro vagabondo, Sulpicius, cerca di farle capire quanto sia bella la vita, mostrandole quello che le mani umane sanno creare (le regala 3 rose, una vera, una di metallo e una di legno), parlandole di ideali di pace e armonia, parlando della guerra, delle falsità umane (gli attori, i commedianti) anticipando il suo stesso tragico destino.
La nostra Rusalochka non canta mai in tutto il film, anche se la sua voce è così melodiosa che anche la strega lo nota (una chiara nota ironica da parte degli sceneggiatori) e non manca di esprimerlo. La maga vorrebbe anche la voce, ma è grazie a Sulpicius (che fa da avvocato alla sua sirenetta) che la strega si accontenterà dei capelli. È vero, non canta mai, ma di certo si distingue per il grande talento nella danza, in linea con la sirenetta letteraria. Vengono spesso inquadrati i suoi graziosi piedini sulle punte ed è dedicata una variegata scena, sempre molto ipnotica come le scene sottomarine, in cui si esibisce nell’arte del ballo di fronte a tutta la corte. Ballerà di nuovo solo un’altra volta, la sera delle nozze del Principe, quando (con gli occhi lucidi di pianto) deciderà sorridente e senza alcun pentimento di godersi la sua ultima ora di festa.
Da quando la Sirenetta arriva al castello, assieme al suo fidato Sulpicius (accettato a corte dalla Principessa proprio per la sua sfacciataggine) la trama prende una piega che si distanzia notevolmente dal ben più noto intreccio che ci arriva dalla fiaba letteraria, perché scivola lentamente verso gli stilemi più antichi del romanzo eroico e cavalleresco di matrice rinascimentale. Non dimentichiamo infatti che l’epoca in cui di solito è ambientata la comune trasposizione filmica della fiaba di Andersen è divenuta qui soltanto l’epoca della storia di cornice. In carrozza siamo nell’800, ma nella narrazione incassata siamo in tempi molto più antichi. E nella seconda parte del film acquisiamo una decisa percezione di questo, perché l’elemento centrale nello sviluppo della fabula è un torneo, di quelli classici, che si organizzavano anche come semplice forma di spettacolo dal medioevo al seicento. Perché un torneo? Perché al castello è giunto un cavaliere inglese (tra l’altro è proprio colui che lancia fiaccole ardenti contro la Sirenetta, quando la vede nel fossato) che intende ottenere la mano della Principessa dai capelli scuri. Sempre della seconda parte del film fa parte quello stile comunicativo che lascia emergere una retorica cavalleresca quasi stereotipata, con temi ben noti quali l’amor cortese (c’è il torneo, ma non è intrattenimento, è per la mano della Principessa), nonché la forte componente “Eros e Thanatos” (dal greco, amore e morte). Un tòpos letterario all’apparenza fortemente classico, ma che in realtà è tematica anche cinquecentesca (troviamo esempi celebri in Tasso, con la sua Gerusalemme liberata o anche la sua Aminta) e le cui radici passano per il basso medioevo (perché già Cavalcanti e anche padre Dante ne mostrano esempi, “Amor condusse noi ad una morte”, dice Francesca da Rimini nel V canto), fino ad arrivare al Romanticismo letterario italiano e tedesco (Leopardi, con la sua Saffo, ci parla del suicidio come unico rimedio all’amore non corrisposto). Il tema della morte che fa nascere l’amore e dell’amore che porta alla morte è già concretamente uno dei fondamenti del racconto di Andersen, ma in questa pellicola gli sceneggiatori (con lo stratagemma del torneo) hanno decuplicato il messaggio.
Die Kleine Meerjungfrau (2013)
Il film
Per l’ultimo film della rassegna facciamo un bel salto in avanti, dal 1976 al 2013, ma geograficamente ci spostiamo solo leggermente, dall’Est Europa verso il centro: il viaggio non è lungo perché si tratta della Germania, vicina alla Repubblica Ceca, alla Russia e alla loro tradizione di film fiabeschi.
La Germania ha sempre felicemente importato film fiabeschi da ogni Paese, distribuendoli assieme alle loro produzioni, senza per forza sentirsi legata esclusivamente ai Grimm. Tuttavia, sebbene abbiano doppiato (e pubblicato in DVD) la Sirenetta ceca e quella russa degli anni ’70, ne hanno girato una loro versione solo in tempi più recenti. La storica produzione tedesca di film di questo filone, i märchenfilme, ha adottato negli ultimi decenni un formato più agevole e al passo con i tempi: quello delle serie TV. Sechs auf einen Streich nasce nel 2008 come esperimento di una sola stagione e il titolo rimanda alla fiaba dei Grimm “sette in un colpo”, anche se significa letteralmente “sei in un colpo” poiché la prima stagione contava soltanto 6 fiabe. Le prime due serie arrivarono anche in Italia, su Rai3, col titolo Le più belle fiabe dei fratelli Grimm, perché all’inizio venivano selezionate solo le loro fiabe. Sarà però proprio grazie a questa serie TV che la Germania produrrà la sua primissima Sirenetta, trasmessa il 26 dicembre del 2013, come terzo episodio della sesta stagione.
Fra i film della nostra rassegna questo è l’unico ad essere stato prodotto dopo La Sirenetta (1989) e l’influenza disneyana si percepisce in qualche aspetto, a partire dal carattere della protagonista Ondina (Undine), che entra in contrasto con quello del padre, scostante e occasionalmente burbero, e quello delle sorelle, più tranquillo e convenzionale. Come Ariel, Ondina è curiosa, ribelle e anticonformista. Curiosamente, il film mette in luce una sua somiglianza con la Strega del mare, che qui si chiama Mydra.
Il film è del 2013 e nella rappresentazione della “cattiva” intravediamo quella tendenza che si sarebbe manifestata in Frozen (uscito lo stesso anno) e in Maleficent (l’anno successivo). La Strega cattiva non è così cattiva come sembra, dipende da chi racconta la storia: «Sei diversa da come raccontano», le dice non a caso la protagonista. La trama sembra quasi suggerirci che ci siano dei trascorsi fra lei e il padre di Ondina, forse una storia d’amore come quella che coinvolge Maleficent e Re Stefano nel retelling disneyano del 2014. Come Maleficent con Aurora, Mydra finirà per prendere Ondina sotto la sua ala.
Qui Mydra cerca di far ragionare il padre di Ondina, convincendolo che sia giusto che la figlia prenda la propria strada. Poi, quando il Principe la rifiuta, questa Sirenetta non si trasforma in spuma di mare, né diventa una figlia dell’aria come nella fiaba, ma riesce comunque a salvarsi ed è proprio la Strega a spiegarle il motivo: ha rifiutato di uccidere il Principe, sacrificando la propria vita per amore, ed è proprio l’amore che le ha permesso di ottenere la salvezza.
Ondina ricorda così una frase pronunciata da una delle sue sorelle, che a sua volta l’aveva sentita dagli umani: «Chi ama davvero, possiede un’anima».
La scelta di chi ha redatto la sceneggiatura è stata quella di essere persino più clementi del nostro Andersen, ancora così religioso (romantico, in senso letterario) e cristiano, da non concepire una Sirenetta che acquisisce un’anima solo perché ha dato prova del suo amore, senza bisogno di altra buona azione. Questo è romanticismo in senso non semplicemente letterario, senza le convenzioni ottocentesche di cui parlavamo, ma più vicino all’amore cortese rinascimentale: la salvazione (l’anima immortale) viene dalla sola capacità di amare.
Quale sarà, dunque, il destino di questa Sirenetta?
Non ci viene svelato: sappiamo solo che ha acquisito un’anima immortale e che, riottenuta la voce, parte per un viaggio “verso ciò che è nuovo e immenso” insieme alla Strega, ma quest’ultima l’accompagnerà solo per un pezzo di strada. A questo punto vediamo che il padre, sott’acqua, sorride sereno, forse perché è conscio di cosa sta accadendo e sa che Ondina sta bene. Notando che il padre e Mydra sono gli unici abitanti del popolo del mare ad avere le gambe, e che ora le ha anche Ondina, possiamo chiederci se quest’ultima abbia seguito un percorso simile al loro. Forse, al termine di questo misterioso viaggio, tornerà in mare come strega? O come Regina?
Sarà sempre un outsider incapace di integrarsi in un mondo umano che la incuriosiva, ma che senza il suo Principe ha perduto un po’ di senso? Diventerà forse, al ritorno dal suo viaggio, la nuova strega del mare, visto che è la stessa Mydra a dirle che lei è diversa dalle altre sirene e che loro due hanno molto in comune? L’immaginazione si arroga quello spazio che la semplice interpretazione di dati e fatti non riesce a raggiungere. Senza dubbio abbiamo conosciuto, con questa trasposizione, una terza opzione tra le due note finora. Ecco cosa accade alla sirenetta quando non si trasforma in schiuma, ma nemmeno riesce a coronare il suo sogno d’amore.
C’è poi un altro aspetto interessante da mettere in luce: sulla terraferma, questa Sirenetta si veste quasi sempre come un uomo, perché gli abiti femminili sembrano darle fastidio. Si tratta di uno dei pochissimi adattamenti ad aver puntato su questo aspetto, che nella fiaba si riduce a una scena (quando il Principe porta la Sirenetta a cavalcare), ma che oggi può suscitare interesse perché sembra ricollegarsi perfettamente alle più recenti interpretazioni queer della storia, secondo cui Andersen si sarebbe lasciato ispirare, mentre scriveva la fiaba, dalla propria infatuazione non corrisposta per un uomo.
Più volte ci viene fatto intendere che il Principe e i suoi amici non vedano questa bizzarra ragazza come una ‘vera donna’. Il Principe la considera un fratellino, le insegna ad andare a cavallo e a duellare con la spada. Lei, cercando l’attenzione di lui, cerca di aderire ad una visione più stereotipata della donna, mettendosi a ricamare e indossando un abito lungo, ma a nulla servono i suoi sforzi: il Principe le dice che le cose ‘da femmina’ non le si addicono, e che addirittura la preferisce in abiti maschili, per quanto ovviamente il suo desdierio amoroso sia rivolto altrove, alla misteriosa principessa che l’ha salvato.
Questa Sirenetta viene sicuramente dipinta come una ragazza particolare, diversa dalle altre in positivo (il Principe la considera “speciale”) e in negativo (i suoi amici hanno perfino che il dubbio che si tratti di una strega). La dualità maschile/femminile viene messa più volte in luce da diversi personaggi, anche in un’ottica di coesistenza, come evidenziato dal padre del Principe («Indossi i pantaloni, ma sei una ragazza»), che la prende in simpatia, ma è evidente a tutti che lei non possa essere la futura sposa del Principe. Così come Andersen non poteva essere visto come interesse amoroso da parte degli uomini, presumibilmente eterosessuali, di cui si invaghiva.
Folklore tedesco: L’Ondina, la Nixe, la Lorelei
Die kleine Meerjungfrau, l’ultimo film della nostra rassegna, ci permette di dare uno sguardo alle sirene che nuotano nell’immaginario germanico.
I collegamenti partono dal nome della protagonista, che in originale è Undine, chiaro riferimento all’Ondina (‘undine’), spirito acquatico del folklore tedesco.
La natura spirituale dell’Ondina viene messa in luce da un amico del principe, secondo cui le sirene sono “spiriti dell’acqua senza anima“. Queste parole turbano la protagonista, che ne parlerà con padre e sorelle, esprimendo il desiderio di ottenere un’anima. Questa componente si ricollega alla fiaba di Andersen, ma era già presente nel folklore germanico: secondo la tradizione, l’Ondina non ha un’anima, ma può ottenerla sposando un umano e dando alla luce suo figlio.
Dalle acque di questo stesso mito emerge il racconto Undine (1811) di Friedrich de la Motte Fouqué, unica fonte d’ispirazione dichiarata da Hans Cristian Andersen per la sua Sirenetta: in una lettera privata, lo scrittore danese scrisse a un amico di volerne creare una versione con un finale migliore, un po’ più clemente per la protagonista. Darà quindi vita ad una fiaba dal sapore più romantico, oltre che profondamente influenzato dalla morale cristiana.
Entrambe possono ottenere un’anima immortale grazie al matrimonio, ma la differenza sta nella loro reazione al rifiuto. Davanti a un sentimento non corrisposto, l’amore della Sirenetta di Andersen prevale rispetto al dolore, spingendola a risparmiare l’amato, mentre Undine lo annega con le sue lacrime per averla tradita. Andersen concede poi alla sua Sirenetta di conquistare un’anima immortale grazie alle buone azioni, alla pazienza e all’amore che ha dimostrato e che dovranno dimostrare anche i piccoli lettori.
Ed è qui, probabilmente, la vera grande rivoluzione della Sirenetta di Andersen. Con questa fiaba, la sirena non solo smette ufficialmente di essere la temibile creatura degli abissi che porta alla morte per annegamento, ma diviene in grado di aspirare alla condizione spirituale umana.
Tornando al film, notiamo che nel corso della pellicola vengono citate tutte le parole tedesche che possono essere tradotte con “sirena” e sono ben tre. “Undine”, come abbiamo detto, ma anche “meerjungfrau” (termine che viene utilizzato per tradurre il titolo della fiaba) e “nixe“.
Infatti, la protagonista cita, nella sua canzone, la “coda da sirena” con l’espressione “Nixenschwanz” (lett. coda di Nixe). Una e trina: diverse parole, concetto simile, se non identico.
La Nixe e il Nix (la sua controparte maschile) sono spiriti acquatici di cui si trova corrispondenza letteraria in Jacob Grimm (1835) e che compaiono anche nell’epica tedesca, nel ciclo dei Nibelunghi. Si tratta di creature di fiume con caratteristiche simili alle ondine e ai loro corrispettivi est-europei: cantano, ballano e attirano gli umani per annegarli. Grimm li inserisce nella categoria dei “folletti acquatici”: presentano orecchie a fessura e indumenti bagnati che suggerirebbero la capacità di mutare forma acquisendo sembianze umane, di pesce o di serpente.
La sirena tedesca più celebre è la Lorelei, chiamata ‘undine’, ‘nixe’ o ‘meerjungfrau’ a seconda dei casi, e protagonista di una famosa leggenda in cui rischia la vita per aver annegato il figlio di un nobile, ma viene salvata da un cavallo di schiuma che la conduce negli abissi. Di lei non resta che una grande roccia che si erge sul Reno, sulla quale si dice fosse solita sedersi. Come la Lorelei della tradizione orale, anche l’Ondina del 2013 ama cantare al chiaro di luna su di una grande roccia, sulla quale più tardi verrà trovata dal Principe e dai suoi amici dopo aver bevuto la pozione della strega.
La canzone che Ondina canta sulla roccia nella prima parte del film sembra anticipare il finale, quando dice: “Mi viene voglia di partire”.
Extra
Il mondo sottomarino è rappresentato in maniera molto realistica perché ci sono varie riprese subacquee in cui sono inquadrate molte creature marine reali (probabilmente si tratta di una grande piscina/acquario) e assieme ad esse sono già visibili le sirene, intente a nuotare tra molti pesci. Si vede anche un piccolo di squalo balena, che da adulto raggiunge notevoli dimensioni (forse per contribuire all’illusione che si tratti dell’oceano e non di una vasca).
Le sirene che vediamo sono tutte bionde e con lunghe chiome, ma si distinguono da altre iconografie per una complicata acconciatura (comune a tutte le sorelle principesse) costituita da una specie di intreccio di perle la cui forma ricorda vagamente una corona. La sirenetta protagonista, Ondina, lo perderà una volta giunta sulla terra da umana.
In questo adattamento, il Principe rischia di annegare perché decide di farsi una nuotata, non perché festeggia il suo compleanno a bordo di una nave. Decide di intrattenersi sulla spiaggia, lasciando andare avanti i suoi due amici fidati, ma la corrente lo trascina via e lo fa affondare, proprio nei pressi della roccia di Ondina.
Tra le tante cose terrestri che incuriosiscono la Sirenetta, una delle prime è un fiore di un blu intenso. Si tratta di un fiordaliso, lo stesso fiore che viene citato da Andersen per descrivere il colore delle profondità marine nella fiaba, che viene nominato dal Principe per spiegarlo alla trovatella muta. Vedremo poi un grande mappamondo, su cui si soffermano Ondina e il Principe, identico a quello che possiede Ariel nella grotta. Di quelli molto grandi, che poggiano a terra e hanno asse inclinato. In una scena successiva, Ondina indossa un cappello a tricorno, la cui silhouette ricorda il cappello che Ariel indossa mentre è sul carro con Eric, quando per qualche istante scorgiamo le cose che hanno comprato (pane, fiori rossi e stivali).
Il discorso del cibo è trattato in maniera alquanto dettagliata, in questa versione. Se la Vila del ’76 cedeva infine al pesce (invogliata dal principe), qui invece le sirene mangiano solo vegetale e durante la notte Ondina libera un grande pesce che sarebbe stato il pasto reale del giorno dopo.
Se il nome della protagonista rimanda all’Undine di de la Motte Fouqué, le sorelle si chiamano invece Melusina e Aquarella. La prima fa riferimento a una leggendaria donna-serpente, spesso considerata un tipo di sirena, mentre l’altra ha solo un nome che riprende la parola latina “aqua”.
Mydra è una strega poco comune, con il suo abito verde petrolio un po’ settecentesco e la svettante acconciatura a crocchia, con ciocche rosse e nere. E se i suoi colori fossero scelte mirate per farci venire in mente un’altra famosissima Sirenetta?
Sulle tracce di Ariel
Passiamo ora brevemente al vaglio tutti gli elementi che, in queste cinque Sirenette, possono aver avuto un peso o un’influenza sul classico Disney del 1989 e in che modo, invece, la Sirenetta disneyana può aver influenzato l’adattamento tedesco del 2013.
La Sirenetta russa (Rusalochka) del ’68, la prima versione animata in assoluto, potrebbe aver contribuito, con qualche dettaglio estetico, a forgiare la tanto amata Ariel del film d’animazione disneyano. Intanto, in questa trasposizione abbiamo sirene che rispettano l’immaginario comune, poiché hanno il corpo metà donna e metà pesce, come descritto da Andersen. La coda di pesce è bianca ed è un tutt’uno col corpo, ma la pinna è bipartita e con striature: ricorda molto quella delle sirene disneyane, siano esse del film La Sirenetta o del precedente Peter Pan (1953). Se consideriamo che le sirene di Peter Pan sono comparse per prime, fra tutte, l’influenza può essere stata vicendevole.
Sempre in questa versione c’è una strega molto stilizzata e caratteristica, perché il suo essere un pesce antropomorfo la rende tozza e un po’ buffa, con qualche possibile affinità con l’Ursula Disney.
Dal suo calderone emerge poi una grande bolla magica in cui è visibile la silhouette della Sirenetta, proprio come nel Classico Disney, per illustrarle cosa le accadrà sulla terra e la sofferenza che le causeranno le sue nuove estremità.
Nella Sirenetta ceca del ’76 abbiamo poi un discreto ammontare di elementi condivisi con la Sirenetta Disney.
Come abbiamo già accennato, troviamo qui un Re, il padre della protagonista, che ama collezionare oggetti umani. Nella sua collezione sono presenti anche diversi tridenti che ricordano quello di Re Tritone.
Sappiamo inoltre che la madre della Sirenetta è morta e il padre ne conserva una statua, come Tritone nel prequel La Sirenetta – Quando tutto ebbe inizio (2008).
Sul finale, inoltre, il mare è totalmente piatto, segnale che il padre della Sirenetta ha cambiato idea e ha deciso di non uccidere l’uomo che sua figlia ha amato. Un certo modo di ravvedersi che troviamo, come è chiaro, anche nel Classico Disney, dove Tritone ha mutato la sua opinione circa gli umani, alla fine della storia.
Quando la Sirenetta va dalla strega, la trasformazione non è certo plateale e ben visibile come nel Classico Disney, ma alcuni tratti comuni ci sono. La strega ceca ha un calderone decisamente più piccolo, ma che causa (all’inserimento degli ingredienti) delle esplosioni di luce, similmente a quello che accade nel Classico Disney con Ursula. Entrambe le Sirenette (la Vila ceca e la Ariel Disney) cantano poco prima di bere la pozione o di trasformarsi, per far sì che la strega possa appropriarsi della loro voce.
Quando la Sirenetta è in forma umana (o ‘simile agli umani’, per usare le parole della strega) è una ragazza con i capelli rossi, anche se è un rosso ramato, più realistico rispetto al rosso fuoco di Ariel. Ad ogni modo, in alcuni momenti può ricordarci la pettinatura della controparte disneyana.
Infine, qualche piccola somiglianza anche nel rapporto fra il principe e la Sirenetta: lui viene attratto dal canto di lei, anche se qui non sa da chi provenga, mentre nel precedente Rusalochka (1968) sapeva che era il canto della sua salvatrice.
La bella voce della Sirenetta protagonista, che si sente più volte nel film cantare una triste canzone d’amore, viene infatti udita anche dal giovane Principe umano che, incuriosito, decide di avvicinarsi agli scogli del Re del Mare. I marinai lo avvertono del rischio, ma a lui non importa, vuole sapere a chi appartiene la bellissima voce. Un po’ come nel film Disney, dove Eric ha già sentito la voce di Ariel, quando la conosce.
Una volta che i due si incontrano sulla terraferma, lui cerca di indovinare il nome di lei, facendo vani tentativi improbabili, proprio come fa Eric con Ariel sulla barca, e ancora prima Allen con Madison in Splash – Una sirena a Manhattan (1984).
Passando invece alla sirenetta russa (Rusalochka) del ’76, troviamo qualche ‘assonanza’ interessante e di certo non casuale sia nel comportamento della strega, che in un particolare gesto che compie la dolce Sirenetta di questa versione.
La strega è interpretata da Galina Volchek, che è una donna imponente e robusta, anche se non predilige i colori scuri e freddi come la nostra Ursula, anzi: la vediamo indossare parrucche coloratissime. A un certo punto del film, forse toccata nel profondo dall’incontro con la piccola Rusalka, decide di presentarsi a corte, travestita, per trovare l’amore: la situazione di Ursula/Vanessa è ben diversa, anche perché la strega russa non intende nuocere alla Sirenetta (né rubarle l’amato), ma entrambe di fatto si infiltrano a corte con uno stratagemma magico.
In questo film russo, se stiamo molto attenti, notiamo anche lo stesso, dolcissimo gesto di Ariel quando “tocca” la fiamma del quadro La Maddalena Penitente (1640 ca) di George de La Tour. Le differenze sono che qui la piccola Rusalka bionda è già umana e si trova al mercato, dove una brace ardente la incuriosisce fino a scottarla sul serio.
Passiamo infine alla Sirenetta tedesca fatta nel 2013 e quindi l’unica che è stata realizzata dopo il Classico animato di casa Disney. Pur essendo molto più fedele alla fiaba originale, ci sono certamente vari piccoli ammiccamenti al noto film d’animazione americano.
Mentre è ancora una sirena, Ondina fa ‘m’ama-non m’ama’ con le perle, mentre è seduta su una grande roccia. Proprio quel che faceva anche Ariel, su una roccia (qui sommersa), ma con dei fiori.
Appena arrivata sulla terra, più tardi, vede un grande mappamondo su cui si soffermano lei e il Principe e che appare simile a quello che possiede Ariel nella grotta: è uno di quelli molto grandi, che poggiano a terra e hanno l’asse inclinato.
In una scena successiva, Ondina indossa un cappello a tricorno, la cui silhouette ricorda il cappello che Ariel indossa mentre è sul carro con Eric, quando per qualche istante scorgiamo anche le cose che hanno comprato (pane, fiori rossi e stivali) e Ariel sta per prendere le redini del carro. In questa trasposizione tedesca stanno semplicemente facendo due passi lungo la riva.
Troviamo similitudini anche nell’espressività e nella gestualità, quando si tocca la gola per far intendere di non avere la voce, proprio come fa Ariel al primo incontro con Eric.
Infine, un curioso elemento presente anche nel live action La Sirenetta, uscito quest’anno. Anche qui, come nel remake disneyano, il Principe fa un commento del tipo “Ci sono fin troppe chiacchiere inutili al mondo” quando apprende che la Sirenetta è muta. Eric, nel film del 2023, fa un discorso molto simile quando la incontra in biblioteca. E sempre in biblioteca lei gli mostra la funzionalità di alcuni “oggetti” marini, mentre nella versione del 2013 gli fa ascoltare il mare attraverso una conchiglia.
Ed ecco qui. Queste sono le “tracce di Ariel” rilevate lungo i film del nostro Mermaid Film Festival: alcune palesi ed evidenti, altre più nascoste e ragionate, altre ancora appena accennate e forse casuali, ma tutte indubbiamente cariche di interesse filologico.
Nell’oceano degli adattamenti filmici de La Sirenetta, sicuramente la versione Disney è il faro più visibile, un punto di riferimento da prendere in considerazione sia in relazione alle versioni precedenti che a quelle successive: questo è un approccio che continueremo ad adottare nella seconda edizione del nostro Festival, che salperà a maggio 2024.
Nel frattempo…
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Articolo a cura di:
Angelo Serfilippi (Ricerca, stesura, selezione immagini)
Con la supervisione di:
Leone Locatelli (Editing, layout, integrazioni*)
* Relative in particolar modo al paragrafo ‘Rusalochka contestualizzata’
Bibliografia essenziale
Skye Alexander, Sirene, Venexia 2014.
Elisabetta Moro, Sirene, il Mulino, 2020.
Alessandra Simonetti, Orbs e altri fenomeni luminosi inspiegabili, Roma, Mediterranee, 2008, p. 65.
Maria Tatar, The annotated Hans Christian Andersen, W. W. Norton & Company, 2007.