Il 5 novembre 2001 usciva in Italia Britney, il terzo album di Britney Spears. Un album di transizione nelle sonorità, nei testi e nell’immagine della cantante. Un album che racconta un periodo ben preciso della vita di Britney che, alle soglie dei 20 anni, vuole prendere il controllo della sua vita e della sua carriera.
Tutto questo ci fa venire in mente un genere letterario ben conosciuto, quello del romanzo di formazione, a cui Britney si ricollega incredibilmente bene. Ecco dunque la prerogativa del nostro articolo: costruire un ponte fra i tòpoi della narrazione letteraria e quelli della narrazione pop, dimostrando come tutte le storie più coinvolgenti si basino su esperienze universali.
L’articolo intende ricollegare Britney ai temi del romanzo di formazione analizzando i testi e i video dei brani più significativi dell’album, oltre a mettere in luce l’importanza che questo ha ricoperto nel contesto della carriera di Britney Spears e della cultura pop degli ultimi due decenni.
Per quest’analisi ho collaborato con Francesco Cappellano, co-autore di PopSoap.it, che ci parlerà del contesto discografico in cui l’album è uscito, oltre a fornirci qualche chicca (scritta in blu) nella sezione dedicata all’analisi dei testi.
Per la parte letteraria, ho avuto il piacere di consultarmi con Sara Boero, scrittrice, youtuber e insegnante di scrittura creativa, e con Angelo Serfilippi, a cui ho chiesto un consulto sulla simbologia presente nei videoclip di Britney.
Un ringraziamento finale per Giulia Abbate, che ha fornito molti spunti che non ho avuto modo di inserire, ma che potranno trovare spazio in un prossimo articolo.
Introduciamo il romanzo di formazione
A cura di Leone Locatelli
Cos’è il romanzo di formazione?
Studio83 lo spiega in pochissime righe: “il romanzo di formazione ha lo scopo di introdurre un personaggio ancora giovane o comunque inesperto o immaturo e mostrarne – attraverso una serie di vicissitudini – il percorso di crescita, che può passare per avventure, viaggi, amicizie, amore, drammi e concludersi con una profonda presa di coscienza della propria identità e l’inserimento a tutti gli effetti in un contesto sociale prima rifuggito”.
Nato sul finire del Settecento con Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (1797) di Goethe, il genere assume le sue peculiarità nel corso del secolo successivo con opere come Il Rosso e il Nero e La Certosa di Parma di Stendhal, Illusioni perdute di Balzac, L’educazione sentimentale di Flaubert, senza dimenticare I Promessi Sposi di Manzoni, per poi proseguire per tutto il Novecento.
È il romanzo della gioventù moderna e inquieta e della società che prima la rifiuta e poi l’accoglie. Queste opere descrivono il percorso di formazione del carattere e dell’identità di un’eroina/eroe, che riconosce sé stessa/o attraverso il rapporto con il mondo degli adulti. Il genere mette in luce il viaggio del personaggio verso l’età adulta attraverso una maturazione psicologica e affettiva, raccontandone pensieri, emozioni e sentimenti spesso in prima persona, attraverso dialoghi interiori e flussi di pensiero.
Ecco quali sono i tòpoi, ossia i motivi ricorrenti del genere:
- Il/la protagonista ha un’età solitamente compresa fra i 13 e i 20 anni; rifiuta il modello dei genitori o in generale degli adulti che lo circondano.
- Tendenzialmente, le opere di questo genere si aprono con una rottura dell’equilibrio socio-familiare: il/la protagonista deve riuscire a dimostrare qualcosa e per farlo deve allontanarsi dalla propria famiglia e/o dal proprio luogo d’origine, partendo per un viaggio alla scoperta di sé che, a fronte del superamento di varie prove, la/o condurrà verso l’età adulta.
- Nel corso del suo viaggio, il/la protagonista può imbattersi in una città intricata e labirintica: una metafora della confusione adolescenziale, delle difficoltà nel diventare adulti.
- Un altro dei luoghi che appare più frequentemente è la locanda, che costituisce al contempo un ambiente privato e uno pubblico, diventando metafora del mondo degli adulti e delle sue insidie.
- Ritorno a casa: il personaggio, dopo aver appreso la lezione, torna dalla propria famiglia e/o nel proprio luogo d’origine e viene riconosciuto come “maturato” e rispettato come tale.
Introduciamo Britney (2001)
A cura di Francesco Cappellano
Quello a cavallo tra 2000 e 2001 è un periodo pregno di cambiamenti in ambito musicale. Nei mesi che precedono la tragedia dell’11 settembre, l’affollata decappottabile della teen pop culture si spinge lungo il sentiero impervio e limaccioso della sessualità, in cui curve a picco sul mare si alternano a profonde pozze d’acqua torbida. Non è una strada agevole, quella dell’eros esplorato in un’età prematura, ma le giovani leve della musica mainstream sembrano infischiarsene. A colpi di extensions, piercing, bandane e top succinti che scoprono addominali e ombelichi, scatta ufficialmente la guerra tra stelle e stelline alla soglia dei 20 anni che vogliono dimostrare alla società contemporanea di essere cresciute e di avere sex appeal, mentre cantano e ancheggiano su batterie dal suono metallico, scratch e arpicordi di surrogati dell’R’n’b e del New jack swing dall’alto potenziale radiofonico. A spingere le ninfette del teen pop (e le loro major) verso generi musicali più urban e ‘da strada’ fu la Hot 100 del prestigioso settimanale Billboard, sempre più invasa da produzioni a cura di Timbaland, She’kspere, Darkchild, Tricky Stewart e Neptunes per gruppi, rapper e cantanti neri o d’origine latina. Forti dell’imponente airplay che ricevono sulle emittenti più ascoltate d’oltreoceano, pezzi come No Scrubs delle TLC, Say My Name delle Destiny’s Child, If You Had My Love di Jennifer Lopez, Try Again di Aaliyah e Case Of My Ex (Whatcha Gonna Do) di Mýa contribuiscono a plasmare e assestare nelle chart un vero e proprio trend, fatto di clavicembali, giri di chitarra sincopati e ritmi funky che si rivelano sonicamente calzanti per la fase transitoria delle pupille di MTV. L’acerrima nemicamica di Britney, Christina Aguilera, brucerà le tappe godendo per prima del successo commerciale di questo nuovo stile, uniformandosi alla Top 10 dei singoli più venduti negli USA con versioni riscritte e riarrangiate di What A Girl Wants e Come On Over (All I Want Is You), brani tratti dal suo album d’esordio.
E mentre le wannabe Jessica Simpson e Mandy Moore flirtano con il pubblico offrendo un’immagine ancora troppo pulita e patinata di sé nei video che accompagnano, rispettivamente, singoli come Irresistible e In My Pocket, la Spears si sente pronta a rendere il mondo partecipe della sua evoluzione come persona e come artista inscenando l’arte dell’erotismo con piglio più deciso, senza temere di sporcarsi.
Nel mondo discografico, spetta quasi sempre al terzo album innescare un punto di svolta nella carriera e nella crescita di un’artista femminile. Così è avvenuto con True Blue di Madonna e Control di Janet Jackson nel 1986, con Rhythm Of Love di Kylie Minogue nel 1990, e con Head Over Heels di Paula Abdul nel 1995. Tutti questi LP, pubblicati da nomi di spicco nel panorama pop di ieri e di oggi, sono accomunati dal medesimo scopo e denominatore, vale a dire affermare una nuova rappresentazione di sé sulla base di esperienze vissute e attraverso testi e contenuti visivi carichi di messaggi tali da provocare reazioni nel grande pubblico.
Rispettando alla lettera la tradizione, Britney sceglie quindi di plasmare il suo terzo disco con la volontà di renderlo un riflesso della fase transitoria che sta vivendo come giovane donna in odore di trasgressione.
Ci sono però dei freni che vengono spesso tirati contro la sua volontà e tendono a limitarla nel suo bisogno di esprimersi, come l’atteggiamento guardingo e vigile di chi la gestisce professionalmente e, non di meno, la sorveglianza della famiglia.
La voglia di indipendenza reclamata da Britney si palesa sotto forma di tre richieste ben precise, avanzate alla Jive Records (la sua casa discografica) fin dalle primissime riunioni tenute con il suo team per gettare le basi del terzo album in studio: possibilità di contribuire di proprio pugno ai testi e alle melodie del futuro disco, libertà di scegliere la direzione musicale del progetto e, soprattutto, voce in capitolo in merito alla reinvenzione della propria immagine.
Britney è stufa di essere ‘venduta’ come la fidanzata birichina d’America dallo sguardo ingenuo, che esprime ingannevole pudicizia davanti all’obiettivo con pose da lolita e outfit scollati.
Il tempo di lanciar sassi e nascondere subito dopo la mano è finito.
Questo cambio di rotta provocherà delle ripercussioni anche e soprattutto nei photoshoot realizzati per la campagna promozionale dell’album: non più luminosi e multicolore, bensì incupiti dai filtri che hanno reso unico lo stile di Herb Ritts e distorti dall’editing di un allora poco noto Steven Klein, che trasformerà Britney in un murales per la copertina del disco.
Musicalmente parlando, Britney è permeato dal desiderio di esplorare le sonorità R’n’B e hip hop miste al funk-rock che nel 2000/2001 dominavano in radio e nei club frequentati dalla Spears.
Assistendo in prima persona alla creazione di album come Celebrity degli *NSYNC (la boyband capitanata dall’allora compagno Justin Timberlake), la popstar approccia più o meno gli stessi produttori, come l’inseguitissimo Rodney Jerkins, meglio noto come Darkchild, e la coppia dei N.E.R.D. (nome artistico dei Neptunes) che in quel periodo aveva cominciato a spopolare. A questo lato più sperimentale, si affiancano le collaborazioni con i mentori degli album precedenti, Max Martin e Rami Yacoub, che trattengono Britney nel limbo della comfort zone.
Il singolo scelto per lanciare l’album, tuttavia, parla chiaro: le sonorità con cui I’m a Slave 4 U si apre ex abrupto sono lontane anni luce da quelle dell’elettropop svedese di Max Martin e Rami Yacoub. Seguono un ritmo orientaleggiante, a metà strada fra hip hop e tribale, e sono accompagnate da synth volatili che imitano suoni da videogame, com’è nello stile dei Neptunes.
Precedentemente scartata da Janet Jackson (insieme a Boys, degli stessi produttori), la traccia viene offerta a Britney dopo una parziale revisione del testo, cucito addosso alla popstar con l’intento di ribaltare il pregiudizio legato alla sua giovane età e demolire quell’aspetto verginale che lei in persona era stata costretta a promuovere, soltanto un anno prima, con dichiarazioni in cui si professava illibata e disposta ad attendere il matrimonio prima di consumare un rapporto, per la gioia di tante famiglie americane.
Il singolo viene presentato ai Video Music Awards 2001: trasformando il palco in una giungla, Britney apre con decisione le sbarre della gabbia in cui è rinchiusa, dando inizio ad un’esibizione destinata ad imprimersi nella memoria collettiva. La performance raggiunge il suo picco quando la cantante accoglie sulle spalle un pitone albino della Birmania (da lei ironicamente battezzato Banana per via del colore giallastro) e prosegue con la sua danza flessuosa sorreggendo per alcuni minuti il rettile attorno al collo. Al di là del biblico legame tra donna e serpente, e tralasciando il fatto che l’idea fosse tutt’altro che originale (vedi Aaliyah nel video di We Need A Resolution, uscito qualche mese prima), quel frangente entrerà di diritto nella storia della pop culture, diventando iconico per la sua innegabile potenza visiva.
Esotico sarà anche il set allestito per il video che accompagna Slave, diretto da Francis Lawrence: una metropoli arsa dal calore in cui uomini e donne si aggirano sudati e smaniosi per le stanze di una sauna fatiscente in cerca d’acqua. Quell’ambiente viscoso, dall’aria rarefatta, simboleggia l’habitat della nuova Britney, fatto di sesso, spregiudicatezza e libertà di essere. Ansimando e contorcendosi, l’ex scolaretta di …Baby One More Time arriva a simulare un’orgia con il suo corpo di ballo nei frame finali della clip. Unta e bisunta, si tuffa nella mischia incurante delle conseguenze che quelle scene scateneranno.
Quella che appare sul palco e in TV è senza alcun dubbio una Britney diversa. Una ragazza, quasi donna, consapevole del proprio fascino, che sprizza carisma e domina la scena divertendosi a scatenare tempeste ormonali e mediatiche.
Britney e il romanzo di formazione
A cura di Leone Locatelli
Con cinque tracce co-scritte da Britney (Lonely, Anticipating, Cinderella, Let Me Be e That’s Where You Take Me), l’album risulta essere il lavoro più intimo, personale e introspettivo della popstar fino a quel momento, tanto che in fase di produzione il titolo originariamente concepito per l’album, ossia Shock Your Mind, lascia il posto all’eponimo Britney.
I testi delle canzoni, anche quelli non direttamente scritti da lei, riflettono il periodo di transizione che la cantante stava vivendo, tanto da nascere, in molti casi, proprio da confidenze fatte in sala d’incisione. Tale condizione si ricollega alla natura ibrida dell’album, a metà fra il bubblegum pop degli esordi e le sonorità dei Neptunes. Nei testi dell’album, la cantante afferma la sua identità e il bisogno di essere indipendente. Come in molti romanzi di formazione, è centrale l’aspetto della maturazione sessuale che diventa espressione-affermazione di sé, unita al desiderio di ribellione e alla volontà di prendere il controllo della propria vita (e della propria carriera).
Nell’album sono incluse anche le canzoni presenti nel debutto cinematografico di Britney, Crossroads, uscito negli Stati Uniti qualche mese dopo: si tratta di una coming-of-age story incentrata su un viaggio coast-to-coast che diventa metafora di crescita, maturazione (anche sessuale) e realizzazione di sé… niente di più associabile al romanzo di formazione.
Perfino il titolo stesso fa riferimento ad un incrocio, un crocevia di strade che rimanda ad uno stato transitorio, al passaggio dall’adolescenza all’età adulta.
A differenza di quanto si possa pensare, il film è stato fortemente voluto da Britney, che ha avuto voce in capitolo su molti aspetti della pellicola.
In un’intervista dell’epoca, la cantante dichiarava: “Ho parlato alla [sceneggiatrice Shonda Rhymes] e le ho detto di cosa volevo che il film parlasse e lei ci ha lavorato su. Era il mio piccolo progetto. Quando decidi di fare un film, penso debba essere una cosa che ti appassiona molto. Stavo ricevendo molte offerte, ma su questa ho messo il cuore”.
Alla luce di quanto affermato, si può dire che Crossroads restituisca una storia di formazione non troppo lontana da ciò che Britney stava vivendo sulla propria pelle in quel periodo: in questo senso, film e album risultano legati a doppio filo.
Come dichiarato da Joshua Schwartz in un episodio del podcast The Original Doll, la richiesta della casa discografica era quella di ispirarsi direttamente alle scene e ai dialoghi del film, tanto che al produttore era stato fornito il copione di Crossroads in modo che potesse prenderne direttamente spunto per i testi delle canzoni.
Analisi di testi e video di Britney
A cura di Leone Locatelli
Integrazioni di Francesco Cappellano
I’m a Slave 4 U
Ci ricolleghiamo al topos della locanda, qui rappresentata attraverso il club a cui Britney vuole accedere, che diventa metafora dell’ingresso nel mondo degli adulti.
Il primo verso della canzone lo esplicita alla perfezione:
I know I may be young
So che posso essere giovane / ma anche io ho dei sentimenti / e ho bisogno di fare / quel che mi sento di fare / quindi lasciami andare ed ascolta.
But I’ve got feelings too
And I need to do
What I feel like doing
So let me go and just listen
All you people look at me like I’m a little girl
Well did you ever think it’d be okay
For me to step into in this world
Always saying little girl don’t step into the club
Well I’m just tryin’ to find out why
‘Cause dancing’s what I love
(Now watch me)
Tutti voi mi guardate come se fossi una ragazzina / Beh, non avete mai pensato che sarebbe lecito per me entrare in questo mondo? / Dite sempre ‘ragazzina, non entrare nel club’ / Beh io sto solo provando a capire come mai / perché ballare è quello che amo. / (E ora guardami).
La maturazione a cui Britney sembra alludere è (anche) di natura sessuale, come possiamo notare dal videoclip.
L’ingresso nel mondo degli adulti trova una sua rappresentazione metaforica nella scena in cui Britney passa fisicamente attraverso una porta d’ingresso verso una stanza in cui hanno luogo coreografie e simulazioni di atti sessuali. I corpi dei ballerini si uniscono e si contorcono a ritmi vorticosi, portando alla mente un’immagine simile a quella della Città Labirintica.
In questo senso, non possiamo non citare anche la celebre esibizione di I’m A Slave 4 U ai VMAs, che sembra ricollegarsi al concetto di maturazione sessuale come perdita dell’innocenza, con il serpente che, oltre ad essere interpretabile come simbolo fallico, costituisce un riferimento evidente al mito di Adamo ed Eva. A questo rimanda anche l’ambientazione, degna del giardino dell’Eden.
Infine, anche in Crossroads è presente una “locanda”, se vogliamo: è quella in cui la protagonista vince la sua timidezza esibendosi sulle note di I Love Rock’n’Roll per sostituire l’amica Mimi, troppo emozionata per spiccicare parola, e poi viene molestata da un ragazzo: si tratta di una “prova” importante per la protagonista, che influenzerà il resto del suo percorso.
Overprotected
Il brano affronta un tema destinato a divenire una costante nella carriera e nella vita privata di Britney, costituendo una triste prefigurazione del suo futuro. Il primo accenno di ribellione nei confronti di chi impone la propria autorità e condiziona la vita della cantante al fine di salvaguardarla dal commettere errori e passi falsi, ma allo stesso tempo ne restringe la libertà di decidere cosa fare del proprio destino.
Nel testo, Britney dichiara di volere spazio (I need space) per sé, tempo per capire chi è (time), autonomia per prendere le decisioni che la riguardano e affermarsi come individuo (I need me).
Vuole riscrivere la sua narrative, vuole raccontarsi in prima persona:
Say hello to the girl that I am
You’re gonna have to see through my perspective
Ammette di aver bisogno di compiere errori per imparare chi è veramente, e per farlo ha bisogno di diventare indipendente smettendo di essere overprotected, tema cardine del romanzo di formazione:
I need to make mistakes just to learn who I am
And I don’t wanna be so damn protected
Britney ha dei dubbi, si interroga, si chiede se davvero può prendere queste decisioni per sé stessa e se può essere lei a stabilire “cosa una ragazza dovrebbe fare”, chiedendo a Dio di darle delle risposte:
There must be another way
‘Cause I believe in taking chances
But who am I to say what a girl is to do?
God, I need some answers
Britney si chiede cosa ne sarà della sua vita e la seconda voce le dice di non preoccuparsi, perché lo scoprirà se vivrà a modo suo.
È un dialogo che Britney intraprende con la sua voce interiore: chi ascolta diventa partecipe dei pensieri e dei dissidi interni della protagonista, come accade in molti romanzi di formazione:
What am I to do with my life?
(You will find it out, don’t worry)
How am I supposed to know what’s right?
(You just gotta do it your way)
I can’t help the way I feel
But my life has been so overprotected
Infine, Britney si oppone direttamente all’autorità (gli adulti), a chi le dice come dovrebbe vivere:
I don’t need nobody telling me just what I wanna
What I, what, what, what I’m gonna (I need) do about my destiny
I say no, no, nobody’s telling me just what I wanna do, do
I’m so fed up with people telling me to be someone else but me
Gli interrogativi sollevati dalla cantante nel ritornello del brano e le frasi pronunciate nelle strofe (“Dico loro cosa mi piace, cosa voglio e cosa non mi va / Ma ogni volta che lo faccio vengo redarguita”) suonano tremendamente attuali alla luce della custodia legale (conservatorship) che per 13 anni l’ha vista giuridicamente soggetta al padre, che ne controlla vita e finanze, rendendo Overprotected il manifesto definitivo di una popstar all’eterna ricerca del proprio riscatto.
Nel video di Overprotected ci sono pochi simboli davvero espliciti, ma vale la pena spenderci qualche parola.
Nella prima scena vediamo Britney che apre una porta come in Slave, ma facendolo viene quasi travolta da uno stuolo di paparazzi: è come se la stampa volesse ostacolarla nel suo passaggio all’età adulta, impedendole di esprimersi (come dimostrano le critiche sulla sua immagine più adulta e sensuale). Poi sale su un automobile, simbolo del coming-of-age per antonomasia, come spiegheremo più avanti. Poi vediamo Britney in groppa a un cavallo da giostra, simbolo dell’innocenza e della spensieratezza dell’infanzia; immagine che sembra contrapporsi alle pose languide che la cantante assume sulla chaise longue nelle scene che vi si alternano. Il video sembra giocare con questi contrasti, anche se non in modo palese. La metafora più evidente è probabilmente l’oppressione che i media (ma anche il suo team, se non addirittura la sua famiglia) esercitano nei suoi confronti, rappresentata dalle mura che si restringono attorno a lei.
Lonely / Cinderella
In Lonely c’è la volontà di prendere la situazione in mano a fronte di una relazione abusiva. Torna il desiderio di autonomia, di decidere per il proprio destino a discapito di quello che gli altri vorrebbero che lei facesse. Una risposta a chi addirittura pretende di dettare come lei si debba sentire (“Don’t tell me how to feel”). Questa canzone si può ricollegare retroattivamente alla situazione della conservatorship: a pochi giorni dall’udienza di fine giugno 2021, fondamentale ai fini del caso, il fidanzato di Britney ha caricato una storia su Instagram in cui la cantante afferma di essere stata molto soddisfatta di aver scritto questa canzone.
Un caso simile è quello di Cinderella: ne ho parlato in questo post, associandola alla Cenerentola disneyana.
I’m Not A Girl, Not Yet A Woman
Qui si parla in modo didascalico della transizione dalla giovinezza all’età adulta (Feels like I’m caught in the middle), con tutti i dubbi che questa fase di passaggio porta con sé (I used to think / I had the answers to everything / But now I know / That life doesn’t always / Go my way).
Come in Overprotected, Britney chiede tempo, un momento per sé (All I need is time / a moment that is mine / While I’m in between), e ribadisce che non ha bisogno di protezione (There is no need to protect me): per crescere ha bisogno di essere indipendente e autonoma (It’s time that I /Learn to face up to this on my own). Non è più una bambina a cui devi “tappare gli occhi”, può benissimo affrontare il mondo così com’è (I’ve seen so much more than you know now / So don’t tell me to shut my eyes), non devi dirle in cosa credere (I’m not a girl, don’t tell me what to believe)
Alla fine ribadisce che sta cercando di trovare la “donna” che è in lei (I’m just tryin’ to find the woman in me, yeah), ma alla fine riuscirà a trovare la sua strada, anticipando il tipico finale del romanzo di formazione (This girl will always find / Her way).
Il video, come suggerisce Angelo Serfilippi, gioca molto sui contrasti: “luce e ombra, vette altissime, spazi immensi e poi la soffocante fenditura nella terra che sembra inghiottirti”. Britney si trova in mezzo a corridoi stretti, a simboleggiare la sua condizione transitoria, poi su una rupe di fronte ad un orizzonte che pare infinito, forse una metafora del mondo degli adulti che le si staglia davanti, come nella celebre scena de Il Re Leone: “Tutto questo un giorno sarà tuo”. Il trait l’union è l’ambiente naturale e sconfinato, che sembra voler connotare la crescita come elemento imprescindibile del “cerchio della vita”.
C’è poi una seconda versione del video che risulta più legata a Crossroads (di cui la traccia costituisce il leitmotiv), in cui vediamo Britney su un letto matrimoniale (quello del primo motel in cui il personaggio alberga nel film) e alla guida di un’automobile, simbolo di indipendenza e maturazione sessuale fin dagli anni ’50, con i drive-in a caratterizzare i primi rapporti intimi dei teenager dell’epoca.
Anche il concetto del viaggio coast-to-coast (post-diploma) come mezzo di scoperta di sé sembra derivare sempre dagli anni ’50 (a questo proposito, Serfilippi cita On The Road di Jack Kerouac), corredato dal tipico momento intimo-confessionale di fronte al falò (che appare sia nel video, sia nel film).
Boys / Anticipating / I Love Rock’n’Roll / Bombastic Love
In queste tracce, Britney sperimenta con il sesso occasionale mostrando autonomia, sicurezza in sé, desiderio sessuale.
Anticipating
Gotta really let me know if you want me
You gotta turn me on and make me feel sexy
You gotta show me you’ve got everything that I need
I Love Rock’n’Roll (cover di Joan Jett)
He smiled, so I got up
And asked for his name
“But that don’t matter” he said
“Because it’s all the same”
I said: “Can I take you home
Where we can be alone?”
Bombastic Love
When I wake up everything is still the same
And you don’t even know my name
Let Me Be
Qui Britney ribadisce di potercela fare da sola, a discapito di quanto pensano gli altri (gli adulti?), che pensano di conoscerla (Think that you know me now, but you don’t / Think that I can’t stand on my own), e vuole affermare la sua identità/individualità, vuole il controllo sulla sua vita (This is my show).
Non è una ragazzina debole (I won’t be falling, you won’t have to pick me up) e non si arrende (Think that I might back down, but I won’t), non ha dubbi né insicurezze, si fida del suo istinto e invita gli altri a fare lo stesso (Trust in my instincts, trust that I know what’s right) perché sa che la strada che sta percorrendo è quella giusta e vuole semplicemente che le permettano di essere sé stessa (Won’t you just let me, let me be?). Vuole essere presa in considerazione come adulta, essere vista per quello che è veramente (Baby, it’s time that you’ve see me for real). La sua sicurezza risulta minacciosa agli occhi degli altri (These are the reasons that keep you up at night (At night) / Tell me, “Go slow, this is my flow”), ma Britney continua ad andare per la sua strada (Letting you know, gotta go the way I go).
Interessante è un retroscena, rivelato da Joshua Schwartz, in merito alla genesi di Let Me Be, che pare sia stata scritta traendo spunto dal cattivo umore con il quale Britney era entrata in studio quel giorno, a causa di non meglio specificati problemi personali, e da una scena del copione del film Crossroads in cui la protagonista del film, interpretata da Britney, ha un diverbio con il padre. La canzone, dunque, nasce sulla base di uno scontro generazionale, sotto forma di sfogo a sette note che una teenager in cerca del proprio spazio rivolge al padre (anche qui possiamo notare un riferimento retroattivo alla conservatorship), prima di essere ridimensionata e divenire la classica lite tra fidanzati in cui lei chiede a lui di starle meno addosso e di lasciarla respirare.
La discussione a cui ci si riferisce potrebbe essere quella a cui assistiamo verso la fine del film: il personaggio interpretato da Britney pone fine al diverbio affermando con assertività il diritto di fare le sue scelte sia a livello amoroso, sia professionale: “Just let me go, ok? I don’t wanna be like her [qui si riferisce a sua madre, che ha abbandonato la famiglia proprio perché vittima di un marito troppo assillante], don’t make me run away”. Secondo Schwartz, il testo della canzone sarebbe passato ad indicare una relazione amorosa, anziché una fra padre e figlia, sotto richiesta del team di Britney (e qui ci si ricollega nuovamente al presente, ai limiti che il padre della cantante pone sulla libertà – anche d’espressione – della figlia).
That’s Where You Take Me / When I Found You
Le due tracce costituiscono l’ideale conclusione del viaggio dell’eroina nel romanzo di formazione: tutto torna al proprio posto (All things fall into place), la protagonista torna a casa (That’s where you take me) e trova sé stessa (I found myself when I found you).
Built these walls up so high
Needed my room to breathe
Oh baby, oh baby
You tear them down
Can’t believe you’ve changed my mind
[…]
All things fall into place
My heart, it feels so safe
You are my melody
That’s where you take me
***
I found myself when I found you
I found the closest thing to heaven
Yes, in you, I found the deepest love I knew
What It’s Like To Be Me
L’edizione standard dell’album si chiude ancora con un’affermazione dell’identità di Britney, un aspetto che la cantante mette prima di qualsivoglia relazione sentimentale.
Britney è sicura di sé e del proprio valore, affermato con assertività, e quindi esige rispetto. Non si mette insieme ad un ragazzo se quest’ultimo non fa lo sforzo di conoscerla, capirla e mettersi nei suoi panni:
Baby, take the time to realize
I’m not the kind to sacrifice the way I am
So, if you wanna be my man, baby
Walk a mile in my shoes
Do me right, or I’m through
Can’t you see that if you want to stay around
(I’m telling you), you’ve got to figure me out, boy
Torna la volontà di prendere le redini del “gioco” e della sua vita in generale:
Take your time, or you lose, this is my game, my rules
And I can see, obviously, baby
You don’t know what it’s like to be me
Notiamo poi anche l’affermazione di un desiderio sessuale (in linea con la maturazione di cui parlavamo), che qui risulta soggetto all’amor proprio che le impedisce di lasciarsi andare senza prima essere sicura di ottenere rispetto:
Don’t you get it twisted, boy, I want you too
But you got my heart to win before I let you in
And this deceives you, baby
I’m not the average lady
Nel 2001, Britney compare due volte sulla copertina di Rolling Stone, a settembre e a dicembre. Alla nuova immagine iper-sensuale si accompagnano headline che mettono in luce ora la volontà di non essere trattata come una bambina (Don’t treat me like a little girl), ora l’autonomia nel gestire la sua vita, la sua musica e il suo futuro (Britney takes charge, ossia Britney prende il controllo).
Post-Britney
A cura di Leone Locatelli
È innegabile l’impatto di I’m A Slave 4 U su quelle che all’epoca erano bambine e poco più di dieci anni dopo sarebbero diventate popstar.
“Ricordo quando il video di Slave uscì, mio padre scosse la testa e disse: ‘di questo passo mia figlia diventerà una spogliarellista, sono spaventato'”, spiegava Miley Cyrus nel 2013, nel pieno della sua ribellione giovanile, che le ha permesso di scrollarsi di dosso l’immagine candida e disneyana di Hannah Montana.
“Volevo essere hot come Britney, e questo è ancora quello che le ragazze vogliono nell’industria pop”, affermava, citando la popstar come fonte d’ispirazione per il singolo We Can’t Stop e per l’intero album, Bangerz (Britney duetta con lei nella title track).
Sempre nel 2013, Selena Gomez creditava la musica e lo stile di Britney ai tempi di I’m A Slave 4 U come fonte d’ispirazione per Come & Get It e per l’album Stars Dance, mentre il disco successivo, e il suo singolo apripista, risulteranno maggiormente influenzati da Stripped (2002) di Christina Aguilera, anch’esso nato sulla scia di Britney (e di P!nk, ma questa è un’altra storia).
Nei casi citati, è l’espressione sessuale a costituire il mezzo attraverso cui le ragazzine del pop affermano la propria identità, liberandosi da un’immagine che sta loro stretta, e quindi prendendo il controllo della propria storia. In questo senso, Britney risulta essere una pioniera.
Appena dieci anni prima, Madonna aveva esplicitato la stretta correlazione fra sesso e immaginario pop (pagandola cara), con l’album Erotica (1992) e il libro Sex, ma si trattava pur sempre di una donna di 34 anni.
Con Britney assistiamo per la prima volta alla maturazione sessuale di un’adolescente su scala globale: non una teenager qualunque, ma quella che nei tre anni precedenti aveva costituito la massima rappresentazione della “fidanzatina d’America” che, dopo essere stata obbligata a sbandierare la propria verginità ai quattro venti, finalmente esprime il desiderio di scegliere per sé come mostrarsi e cosa cantare.
A vent’anni dalla sua uscita, Billboard ha nominato I’m A Slave 4 U come terza migliore canzone del 2001, evidenziando il suo impatto: “ha […] aperto una nuova strada per le popstar del futuro, facendo sapere al mondo che il modo in cui gli artisti scelgono di esprimersi dipende interamente da loro, che ti piaccia o meno”.
Tuttavia, il desiderio di Britney di ottenere il controllo della sua vita e della sua carriera si è rivelato essere soggetto ad una battaglia più lunga del previsto, che dallo slut shaming si è trascinata verso le vicende legali che la vedono sottoposta al padre e al suo stesso team. Una battaglia che solo adesso, dopo oltre vent’anni, l’ha vista trionfare (perlomeno in tribunale).
Ideazione e co-realizzazione: Leone Locatelli
Consulenza e co-realizzazione: Francesco Cappellano
Consulenza (letteratura): Sara Boero
Consulenza (letteratura, simbologia): Angelo Serfilippi