Quando la Walt Disney Company ha acquisito la 20th Century Fox si è fatto un gran parlare di una principessa, nata nel 1997, che aveva trovato una nuova casa.
Si trattava di Anastasia dell’omonimo film d’animazione di Don Bluth, per anni confuso per un Classico Disney dagli spettatori più ignari.
In quest’articolo, però, non parliamo di lei, ma di una “principessa” nata nello stesso anno, sempre nella scuderia della 20th Century Fox: Rose Dewitt Bukater, la protagonista di Titanic (1997) di James Cameron.
Titanic è una fiaba?
Titanic è una fiaba e, come tutte le fiabe, la morale può essere cliché, i personaggi possono essere stereotipati, la storia può essere prevedibile e la storia d’amore può essere sciocca. Può essere tutte queste cose, ed essere comunque amato sinceramente.
Tratto da Sentimental Garbage
Ecco come amo Titanic: come una storia che non mi stanco mai di riascoltare.
Quella del Titanic è sempre stata una storia dal forte impatto emotivo, le cui proporzioni sono state ingigantite dalla stampa fin dal giorno dell’affondamento. Dalla grandiosità del disastro alle incredibili storie di passeggeri e membri dello staff, la notizia si prestava fin da subito a essere narrata come una grande epopea da tramandare ai posteri sotto forma di romanzi, film, spettacoli teatrali. Come le più grandi fiabe, anche la storia del Titanic è stata raccontata tante volte, sempre in modo diverso.
Trasposizione dopo trasposizione, ci ritroviamo negli anni ’90: il regista James Cameron è affascinato dal Titanic e, sulla scia del documentario Titanica (1992) di Stephen Low, riesce a farsi finanziare una spedizione subacquea alla scoperta dei resti del transatlantico: “Non perché volessi per forza farci un film, volevo semplicemente esplorare il relitto”.
Un film, però, comincia a scriverlo, e lo presenta alla 20th Century Fox come “Romeo e Giulietta sul Titanic”.
Secondo Cameron, il modo migliore per far sì che il pubblico degli anni ’90 si sentisse emotivamente coinvolto di fronte ad una vicenda avvenuta quasi un secolo prima – e di cui già si conosceva l’infausto finale – era di mettere al centro una storia d’amore. Solo così, con la morte di Jack, il pubblico avrebbe potuto davvero percepire il senso di perdita, l’entità della tragedia.
Il legame di questa love story con la fiaba non ha a che fare solo con certi fairytale moments*, come la scena in cui i due giovani si incontrano alla fine della scalinata poco prima della cena, ma con la sua stessa struttura.
Si tratta di una storia semplice, che attinge ad archetipi, temi e messaggi universali, presentando un mondo in cui i confini fra bene e male sono perfettamente delineati. Non a caso, diversi critici hanno evidenziato come i personaggi, soprattutto il cattivo Cal, appaiano unidimensionali, con caratterizzazioni stock.
La stessa storia d’amore è stata criticata in quanto ritenuta stereotipata e irrealistica, a partire dalla sua breve durata (“tre giorni”), che ben si ricollega alle tempistiche della fiaba e dei Classici Disney, nonché dello stesso Romeo e Giulietta.
Come scrisse James Cameron al Los Angeles Times nel 1998, in risposta a chi definiva “cliché” la romance fra Rose e Jack:
[Titanic] incorpora intenzionalmente aspetti universali dell’esperienza e dell’emozione umana che sono senza tempo – e appaiono familiari perché riflettono il nostro tessuto emotivo di base.
Facendo uso di archetipi, il film riesce a toccare persone di tutte le culture e di tutte le età.
Insomma: Titanic fa tesoro della sua trama semplice, in cui il pubblico può facilmente immedesimarsi, sentirsi coinvolto. Non è un caso che il film attinga alle opere romantiche e al melodramma, che puntano sulle emozioni più che sulla trama, sui dialoghi o sulla caratterizzazione dei personaggi.
E non è un caso che, come succede con le fiabe, Titanic sia una storia che gli spettatori vogliono sentirsi raccontare più e più volte: il film restò nelle sale americane per quasi 10 mesi, facendo notizia per il grandissimo numero di persone che tornavano al cinema a rivederlo. È la stessa cosa che succede ogni volta che viene trasmesso in televisione: tutti lo riguardano.
Rose è una principessa?
Anche se Rose non è una principessa nel senso letterale del termine, il film ce la presenta come tale attraverso il dialogo fra lei e il suo “principe consorte”, l’ereditiere Caledon Hockley (Cal), figlio di un magnate dell’acciaio di Pittsburgh.
Il ricco fidanzato le porge in dono un gioiello chiamato il Cuore dell’Oceano:
Cal: “Avevo intenzione di conservarlo per il galà di fidanzamento della settimana prossima, ma ho pensato che stasera…”
Rose: “Dio mio!”
Cal: “Forse come summa dei sentimenti che provo per te”.
Rose: “È un…”
Cal: “Diamante? Sì. 56 carati, per essere esatti. Lo indossò Luigi XVI. E lo chiamarono Le Coeur de la Mer“.
Cal & Rose: “Il Cuore dell’Oceano”.
Cal: “Già”.
Rose: “È prodigioso”.
Cal: “Beh, è da reali. E noi siamo reali, Rose”.
Come spiega lo storico Don Lynch nel commento audio realizzato in occasione della riedizione di Titanic in DVD nel 2005, è realistico pensare che i grandi industriali americani dell’inizio del secolo si considerassero “i nuovi nobili”.
Nello stesso commento, James Cameron si riferisce più volte a Rose come a una “principessa”. Prendendo in considerazione l’ambientazione storica (1912) e l’anno d’uscita del film (1997), la concezione di “principessa” a cui possiamo attingere è ampia e ingloba l’intero ‘900.
In tale cornice, non possiamo non prendere in considerazione i Classici Disney, che costituiscono l’incarnazione contemporanea della fiaba, luogo prediletto di ogni principessa. L’immaginario Disney ha coperto gran parte del XX secolo, dagli anni ’30 ai ’90, grazie a principesse come Biancaneve (1937), Cenerentola (1950), Aurora (1959), Ariel (1989), Belle (1991), Jasmine (1992), Pocahontas (1995).
La principessa (Disney) definitiva degli anni ’90
Le principesse non sposano gli sguatteri.
Dimitri in Anastasia (1997)
Nel 1997, quando Titanic esce nelle sale, la Disney si era già lasciata alle spalle i picchi più alti del suo Rinascimento, fra cui La Sirenetta (1989), La Bella e la Bestia (1991) e Aladdin (1992), con le rispettive principesse, per avventurarsi alla scoperta di nuovi lidi, con storie che si allontanavano dalla fiaba per abbracciare ora la storia (Pocahontas, 1995), ora la letteratura (Il Gobbo di Notre-Dame, 1996), ora la mitologia (Hercules, 1997).
I Classici Disney della seconda metà degli anni ’90 non sempre avrebbero incontrato il favore del pubblico, ma – nonostante i cali al botteghino – il successo delle fiabe musicali disneyane era ancora fresco nell’immaginario collettivo, tanto che si moltiplicarono i “cloni”, o presunti tali.
Tra questi, spiccavano i lavori dell’ex disneyano Don Bluth che, dopo il fiacco Pollicina (1994), firmò il suo più grande successo proprio nel 1997, con il già citato Anastasia.
Di fronte a una Disney ansiosa di differenziare la propria offerta (con risultati altalenanti), Don Bluth dimostrò che il pubblico voleva ancora sognare con una giovane orfana che scopre di essere una principessa (“una granduchessa, o che so io”), ma non si accontentava di una minestra riscaldata. E così, Bluth arricchisce il film di elementi che gli permettono di differenziarsi rispetto al Classico Disney-tipo, a partire da un’ambientazione insolitamente moderna per gli standard disneyani di quel periodo: gli anni ’20.
Nonostante questo, Anastasia risulta ben più “fiabesco” rispetto a qualunque Classico Disney realizzato dal ’95 al ’99, a partire da Pocahontas.
Il paragone con quest’ultimo casca a fagiolo: entrambi i film prendono spunto da fatti storici tragici, romanzati fino alla mistificazione, ma i risultati sono ben diversi.
Cosa cambia? Il tono della narrazione, prima di tutto, che in Pocahontas appare più grave, anche in virtù dei temi sociali trattati.
Lo spiega bene lo studioso Angelo Serfilippi, da me contattato per quest’analisi: “In Pocahontas c’è il tema dell’incontro fra culture diverse che è più centrale di altri elementi, anche della caratterizzazione della protagonista. Al contrario, le fiabe non mandano messaggi socio-politici, ma parlano dell’interiorità dei personaggi, della loro psiche, del loro inconscio”.
E Titanic?
L’abbiamo detto, e lo dice lo stesso Cameron: Titanic è una fiaba ispirata ad una tragedia. Sebbene sia presente un sottotesto socio-politico legato alla contrapposizione fra classi sociali, questo aspetto resta in secondo piano rispetto alla storia d’amore, nonché al “concetto di interiorità, di crescita individuale, di superamento delle proprie paure per ricevere una ricompensa”, che – come spiega Serfilippi – è un elemento caratterizzante della fiaba.
La conclusione, ai fini della nostra analisi, è chiara: se Titanic è una fiaba, Rose ne è indubbiamente la principessa. Debitrice, come Anastasia, a coloro che l’hanno preceduta, Rose non può che trovare terreno comune con le vicine Ariel, Belle, Jasmine e Pocahontas, che hanno scolpito il concetto di “principessa” alla fine del XX secolo.
È proprio a questo punto che Rose e le sue precorritrici si incontrano, andando a plasmare la principessa (Disney) definitiva degli anni ’90.
Perché Rose è una principessa Disney?
Prigionia
Per gli altri, era la nave dei sogni.
Rose Dewitt-Bukater in Titanic (1997)
Per me, era una nave carica di schiavi, che mi riportava in America in catene.
Il primo stadio della storia di ogni principessa Disney ha a che fare con una prigionia, fisica e/o psicologica, da cui liberarsi.
Questo topos deriva dalla tradizione orale, che a sua volta ridipinge la storia con i colori della fiaba. Non ci viene difficile pensare allo stereotipo della principessa, prigioniera in una torre, che viene salvata da un principe che la libera e la porta con sé. Questo “salvataggio” riflette la condizione femminile nel corso dei secoli: una donna apparteneva prima alla sua famiglia d’origine, generalmente guidata dal padre, poi al suo futuro marito. Per le donne, il matrimonio era l’unico modo per uscire dalla casa paterna, ma il prezzo da pagare era quello di finire sotto il controllo di un altro uomo, che spesso erano costrette a sposare contro la loro volontà.
Nei Classici Disney, questa risoluzione non viene connotata negativamente se a guidarla è il vero amore, ma possiamo notare come il concetto di base torni in Cenerentola (1950): il matrimonio rimane l’unico mezzo che permette alla giovane di uscire dalla casa di suo padre e, quindi, dalla sua prigionia.
Cenerentola non è fisicamente imprigionata (lo diventa solo nella scena in cui la Matrigna la rinchiude nella sua camera), ma è psicologicamente e fisicamente vittima di costrizioni e abusi, oltre ad essere prigioniera di una società che non avrebbe accettato una donna indipendente, come spiegato nell’analisi a lei dedicata.
Le altre due principesse classiche, ossia Biancaneve e Aurora, ci vengono mostrate in stati di prigionia ora fisica, ora psicologica, ora reale e ora metaforica. La prima fa la sua apparizione mentre, vestita di stracci, compie faccende domestiche per conto della Regina: la prigionia di cui è vittima, in questo caso, è principalmente psicologica. Biancaneve non è fisicamente prigioniera, tanto che riuscirà a scappare non appena capirà di essere in pericolo. In seguito, sarà il principe a liberarla dalla prigionia in cui si trova alla fine del film, un “sonno simile alla morte”, avvicinandosi alla teca in cui i Nani l’hanno riposta (chiara metafora della sua duplice condizione di “morta” e di “prigioniera”) per baciarla, risvegliarla e portarla via con sé. In poche parole: salvarla.
Un discorso simile lo si può fare per La bella addormentata (1959). Inizialmente, Aurora è soggetta ad uno stato di prigionia imposto dalle Fate per proteggere la sua incolumità: non può uscire dal bosco e non può rivolgere la parola agli estranei, ma non è fisicamente prigioniera. Poi va incontro alla maledizione di Malefica e diventa una prigioniera in senso letterale, riprendendo appieno il pattern delle fiabe classiche: oltre a cadere vittima di un sonno eterno, viene confinata all’interno di una torre circondata da rovi, di modo che il principe Filippo non possa raggiungerla. La trasformazione di Malefica completa il quadro, riprendendo il topos delle prove che il principe deve superare per salvare la principessa, fra cui troviamo spesso la sconfitta di un drago.
Passando alle principesse del Rinascimento Disney (1989-1999), l’enfasi è decisamente su una prigionia di tipo psicologico-metaforico.
Ariel de La Sirenetta (1989) e Belle de La Bella e la Bestia (1991) sono prigioniere di una società che cerca di reprimere le loro passioni e i loro sogni, mentre Jasmine di Aladdin (1992) è prigioniera del suo status sociale, che le impone una vita da reclusa e l’obbligo di sposarsi con un principe.
Gli stati di prigionia non-metaforica sono comunque presenti in tutti e tre i Classici: in questi casi, le principesse non si salvano da sole. Ariel diventa prigioniera di Ursula a causa del contratto che ha firmato, e viene salvata dal suo principe, che uccide la strega; Belle si offre come prigioniera della Bestia al posto del padre e a liberarla è la stessa Bestia, ormai “umanizzata”, poi viene rinchiusa da Gaston nel suo seminterrato, ed è Chicco a salvarla; Jasmine viene rinchiusa da Jafar all’interno di una clessidra gigante, ed è Aladdin a liberarla.
È su quest’ultimo punto che ci ricolleghiamo direttamente a Rose di Titanic, prigioniera della sua gabbia dorata.
Non è un caso che Jack la veda per la prima volta mentre si affaccia dal piano superiore della nave, come se fosse una principessa rinchiusa nella torre più alta. Nel suo commento audio, il regista Cameron la definisce “una principessa al balcone”, il che ci porta alla mente anche Jasmine.
Rose non sente su di sé solo le limitazioni derivanti dalla sua classe sociale, con conseguente sensazione di noia, angoscia e solitudine, ma anche la pressione di mantenere tale status per mezzo di un matrimonio con un “principe” (leggi: uomo ricco), Caledon Hockley, che le dona quel Cuore dell’Oceano che, oltre ad essere “terribilmente pesante”, le cinge il collo come una catena.
Una componente determinante nella prigionia delle principesse Disney, a partire dagli anni ’90, è proprio quella di essere oggetto delle aspettative della propria società, spesso inerenti l’innamoramento e il matrimonio, considerati come concetti separati, in contrasto l’uno con l’altro.
E così, Ariel non può innamorarsi e sposare un umano, Belle non può innamorarsi e sposare una Bestia, Jasmine non può innamorarsi e sposare uno straccione, Pocahontas non può innamorarsi e sposare un uomo bianco.
Le pressioni della società si riflettono nella scena dell’allacciamento del corsetto,
metafora che ritroviamo anche in Via col Vento (1939).
Come la madre di Rose, anche Mami spinge affinché l’eroina (Rossella) si pieghi alle
convenzioni sociali.
Nella scena che precede il tentato suicidio, che è stata in seguito eliminata, Rose si sente oppressa dai suoi stessi abiti, che non riesce a rimuovere.
Non è un caso che la liberazione di Rose si rifletta negli outfit che indossa nel film, che diventano via via meno restringenti – per non parlare della scena del ritratto, in cui si denuda completamente.
Stesso discorso per le acconciature: Rose comincia il film con un chignon e lo termina con i capelli completamente sciolti e scarmigliati.
In questa scena eliminata, parte del suo sfogo si riflette proprio sui capelli.
È la società a proporre l’alternativa “accettabile”, che però risulta indigesta alla principessa: si tratta di personaggi socialmente in vista, ma per cui l’eroina non prova amore, siano essi cafoni e presuntuosi (come Gaston e il principe Achmed) o semplicemente indesiderati (Kocoum, che Pocahontas considera “troppo serio”).
Cal, il promesso sposo di Rose, ricorda decisamente Gaston: tratta Rose come se fosse una sua proprietà, una trophy wife (“moglie trofeo”), concetto ancora molto in voga negli anni ’90, tanto che lo stesso La bella e la bestia ne costituisce una critica.
“Pare che d’ora in poi dovrò badare a ciò che legge.
Dico bene, signora Brown?”
È chiaro che questo matrimonio senz’amore non costituisca per Rose una liberazione, ma uno stato di prigionia ancora più opprimente.
Per secoli, nella letteratura e purtroppo anche nella vita reale, l’unico modo che una donna aveva per sfuggire a un matrimonio combinato era la morte, tanto che perfino Rose, in un primo momento, sceglie questa strada.
Liberazione
Come dicevamo, Rose desidera liberarsi da una vita che la annoia e la fa sentire sola e oppressa, sensazioni che vengono amplificate dall’imminente matrimonio con Cal.
Sotto questo aspetto, Rose ricorda decisamente Jasmine, accodandosi ad una serie di principesse che traggono probabilmente le loro radici dalla principessa Anna di Vacanze romane (1953), personaggio che ha ispirato, non a caso, una buona parte delle principesse Disney da Aurora in poi.
Con Jasmine, la principessa Anna ha in comune l’insofferenza per le responsabilità legate al suo status sociale, che la portano a fuggire dal suo palazzo per avventurarsi in mezzo al popolo come fosse una di loro, alla scoperta della città, sia essa Roma o Agrabah.
Anna e Jasmine trovano il loro interesse amoroso uscendo al di fuori delle loro “gabbie dorate”: è ciò che succede anche a Rose, come vedremo.
È proprio grazie ad Anna, e alla letteratura fantasy dagli anni ’60 in poi, che il trope della principessa ribelle si è affermato nella cultura contemporanea. Sono riuscito a tracciarne un unico esempio nella fiaba tradizionale: parliamo di Pelle d’asino di Charles Perrault e delle sue varianti (Pelle d’orso dei Fratelli Grimm, Pelle di gatto di Joseph Jacobs, etc).
Al centro della storia c’è una principessa che rifiuta un matrimonio imposto, spesso di natura incestuosa, fuggendo e fingendosi una popolana grazie a un travestimento che prevede un abito fatto di pelle di gatto, d’asino o d’orso a seconda delle versioni. Ecco quindi chi è la più antica antenata di Anna e Jasmine, pronta a rinunciare al suo status per la libertà.
Negli anni ’80 e ’90, questo concetto è andato a sovrapporsi con la vita mediatica di Lady Diana, la “principessa del popolo”, annoiata e oppressa dalle limitazioni del protocollo, volenterosa di avvicinarsi alle persone comuni. A differenza della principessa Anna, Diana non riuscirà mai davvero a “fuggire”, andando incontro alla sua tragica fine proprio nell’agosto 1997, a qualche mese dall’uscita di Titanic.
L’episodio 146 di Sailor Moon è incentrato sulla principessa Rubina, un personaggio che costituisce un mix fra la principessa Anna di Vacanze Romane e Lady Diana.
Robert von Dassanowsky mette Diana a paragone con Rose, spiegando che entrambe le storie “si focalizzano su un’icona della donna repressa in un periodo in cui il femminismo è scomparso dal pensiero comune”.
Secondo Dassanowsky, le due “principesse” riflettono la condizione femminile degli anni ’90 facendo uso di anacronismi: Rose è una donna d’inizio secolo, Diana è un’aristocratica in un mondo largamente dominato dalla repubblica.
Queste due figure permettono alle donne di identificarsi nella lotta per l’ascesa sociale femminile nel passato, sfuggendo alla stasi nello sviluppo di tale aspetto nella società occidentale del presente.
Anche la stessa Rose, pur senza mascherarsi, si avventura in un mondo a lei sconosciuto. Nel film la vediamo recarsi in terza classe quando Jack la invita ad assistere a “una vera festa” al termine della cena in prima classe, ma esiste una scena eliminata in cui è la stessa Rose a oltrepassare i confini del suo mondo scendendo in terza classe – come una “principessa” che si mischia al “popolo” – per cercare Jack il giorno dopo il suo tentato suicidio.
Questa scena ci permette di aggiungere un ulteriore tassello al nostro discorso: è stata Rose a cercare per prima Jack.
È stata lei, quindi, a dare via al suo percorso di liberazione.
Spesso, nel contrapporre le principesse Disney classiche a quelle più moderne, si pone l’enfasi sul fatto che queste ultime si salvino “da sole”.
In verità, notiamo come anche le prime tre principesse facciano il primo passo per liberarsi dalla loro prigionia iniziale: Biancaneve scappa, Cenerentola va al ballo, Aurora parla con uno sconosciuto.
Parlando dell’incontro con la loro anima gemella, notiamo come Biancaneve e Aurora vengano “trovate” in quello che è il loro habitat naturale, mentre Cenerentola incontra il principe perché esce dalla sua zona di comfort, recandosi al ballo. È così anche per buona parte delle principesse del Rinascimento Disney: è solo Pocahontas ad essere “trovata” nel suo habitat, mentre le altre trovano il loro amato uscendo dalla loro zona di comfort – il fondo del mare per Ariel, il villaggio per Belle, il palazzo per Jasmine.
Per Rose, si tratta di una via di mezzo: viene “trovata” da Jack mentre sta per suicidarsi sulla poppa della nave, ma poi è lei a cercarlo il giorno dopo.
Rose fa quindi il primo passo verso la sua libertà scegliendo di approfondire la conoscenza con Jack.
Da quel momento, la nostra “principessa” intraprende un percorso che la porterà a rifiutare il pretendente che la società ritiene più accettabile (Cal) in favore di quello meno accettabile (Jack), come già successo a Belle, Jasmine e Pocahontas.
Curiosamente, notiamo come il rifiuto definitivo di Rose nei confronti di Cal coincida con uno sputo in faccia, come quello di Esmeralda nei confronti di Frollo nel Classico Disney Il Gobbo di Notre-Dame, uscito l’anno prima.
Si tratta di un trope già piuttosto diffuso all’epoca: lo sputo in faccia è naturalmente espressione di un profondo disgusto nei confronti dell’altra persona; in queste scene, il gesto riflette una riluttanza ad arrendersi anche in condizioni di evidente svantaggio, ad esempio se si viene fisicamente immobilizzati e/o trattenuti (come accade sia ad Esmeralda, sia a Rose).
Tale gesto, quando associato ai personaggi femminili, risulta spesso correlato al rifiuto di un avance di tipo sentimentale e/o sessuale.
Possiamo citare, anche in questo caso, Shakespeare, con la sua opera Riccardo Terzo: Lady Anne sputa in faccia al Re quando lui cerca di sedurla. Lo sputo costituisce spesso l’unico mezzo, per una donna in condizioni di inferiorità fisica (spesso legata o comunque soggiogata dalla forza maschile), di esercitare non solo il proprio disgusto e la propria riluttanza ad arrendersi, ma più generalmente il proprio libero arbitrio.
Preferisco essere la sua puttana piuttosto che tua moglie.
La scelta di Rose è naturalmente guidata dal concetto di romance, sviluppatosi a partire dal Medioevo, secondo cui l’amore romantico è slegato dal matrimonio, soprattutto se combinato. Secondo questa concezione, il Vero Amore, doloroso e contrastato, trova la propria realizzazione solo nella morte. Lo vediamo benissimo in Tristano e Isotta e nel già citato Romeo e Giulietta di William Shakespeare, una delle maggiori fonti d’ispirazione dietro a Titanic.
Non è un caso, quindi, che fra questi amori contrastati possano trovare posto anche relazioni fra uomini e donne appartenenti a classi sociali differenti.
Il trope della principessa o, più generalmente, della ragazza ricca che sposa un ragazzo povero, non è nuovo.
È presente in diverse fiabe, ma l’enfasi non viene mai posta sulla scelta della principessa. Nella maggior parte dei casi, la principessa non è altro che un “premio” che il ragazzo povero riceve dimostrando il proprio valore a seguito del superamento di una o più prove, che possono avere a che fare con l’ostentazione di una ricchezza che non possiede realmente.
È esattamente ciò che succede nella fiaba originale di Aladino.
Per questo motivo, è importantissima la scena del Classico Disney in cui Jasmine ribadisce:
Io non sono un trofeo da vincere!
In barba alle dichiarazioni dell’attrice e del produttore del remake in live action del 2019, il percorso della Jasmine del 1992 è quindi fondamentale, perché costituisce una risposta a secoli e secoli in cui le donne erano trattate come merce di scambio.
Tornando al tema del rapporto fra amanti di classi sociali diverse, possiamo evidenziare come spesso la ragazza ricca venga caratterizzata come presuntuosa, viziata e snob, “punita” per non aver apprezzato le avances di un uomo povero (o finto tale), come accade ne Il guardiano di porci (1841) di Hans Christian Andersen e in Grandi speranze (1860-61) di Charles Dickens.
Nei secoli, viene presentata più frequentemente la situazione opposta, con l’uomo ricco che sposa la donna povera, rinforzando l’idea che debba essere “lui” a mantenere “lei”: lo vediamo nella fiaba di Cenerentola e nelle sue innumerevoli varianti, ma anche in Pamela, o la virtù premiata (1740).
Sarà il cinema, soprattutto negli anni ’30, a presentare con più frequenza entrambe le situazioni, con film come Montecarlo (1930), Amami stanotte (1932) e Accadde una notte (1934).
Si tratta generalmente di storie in cui un personaggio ricco incontra un personaggio meno ricco del sesso opposto: nasce una relazione grazie alla quale entrambi – ma soprattutto il più abbiente – imparano qualcosa, fino ad innamorarsi. Questa storia d’amore permette al personaggio più ricco di ricevere una lezione di vita al di fuori della sua “gabbia dorata”, assaporando le piccole cose di ogni giorno.
Secondo me la vita è un dono, non ho intenzione di sprecarla.
Jack Dawson in Titanic (1997)
Non sai mai quali carte ti capiteranno nella prossima mano.
Impari ad accettare la vita come viene.
Così ogni singolo giorno ha il suo valore.
Peter Warne (Clark Gable) insegna all’ereditiera Ellen Andrews (Claudette Colbert) come inzuppare la ciambella in Accadde una notte, mentre Jack insegna a Rose a sputare in Titanic.
La relazione sentimentale fra persone di classi sociali differenti si lega direttamente al diffondersi dell’ideale dell'”amore disinteressato” all’inizio del XX secolo, concetto che viene comunque premiato dalla mobilità sociale per l’amante meno abbiente (come vediamo in Aladdin, ma non in Titanic e in Anastasia).
Un esempio più vicino agli anni di realizzazione di Titanic è La storia fantastica (The Princess Bride, 1987), in cui Bottondoro (Buttercup) non si innamora del principe Humperdinck, ma del contadino Westley, che poi diverrà un pirata. La protagonista preferisce l’amore al titolo regale e alla ricchezza, come poi dimostrerà di voler fare Jasmine, anticipata già da Aurora.
Di tutti i Classici Disney, Aladdin è sicuramente quello più vicino a Titanic proprio per il tema dell’amore fra persone di classi sociali diverse, che culmina in un percorso di liberazione per la “principessa”.
Jasmine e Rose non si impressionano davanti alla ricchezza, ma davanti a ciò che manca nella loro vita, cose che i loro ricchi pretendenti non possono dar loro. Vogliono partire all’esplorazione di un mondo nuovo, emozionante e ignoto. Sono disposte a fare “un salto nel buio” fidandosi di uno sconosciuto pur di provare un brivido, pur di sentirsi vive.
Non è un caso che la domanda “Ti fidi di me?” ricorra in entrambi i film, in scene molto simili fra loro.
“Ti fidi me? Allora salta!”.
La scena romantica più celebre, sia in Aladdin che in Titanic, parte proprio da questo invito a fidarsi, a cui segue la realizzazione del desiderio più profondo di entrambe le principesse, che riescono a “spiccare il volo” almeno per un attimo, assaporando uno spiraglio di libertà.
“Sto volando!”
Il volo come metafora di libertà è decisamente presente nella storyline di entrambe le principesse.
Per Jasmine si ricollega al topos, antico di millenni, della gabbia d’uccello come metafora per la donna vittima di un matrimonio combinato, nonché alla proverbiale “gabbia dorata” che, in quanto principessa, la opprime.
Per Rose si lega all’altrettanto celebre trope della metamorfosi da bruco a farfalla, come ripreso dal fermaglio che indossa nella scena in questione e in quella subito successiva, quando si spoglia per essere ritratta da Jack, disfandosi delle sue vesti come un bruco che si trasforma in farfalla.
Christopher Vogler suggerisce anche un parallelismo fra Rose e Wendy: Jack Dawson e Peter Pan insegnano loro a “volare”, cioè a vivere appieno.
L’autore si riferisce al romanzo di J. M. Barrie, ma il discorso vale anche per il Classico Disney.
Aladdin è il mezzo attraverso cui Jasmine riesce a trovare la libertà, che non sta solo nell’aver scelto chi sposare, ma anche nella possibilità di scoprire il mondo insieme a lui: non è un caso che il primo film non termini con un matrimonio, ma con i due amanti sul tappeto volante. Questo aspetto si ricollega ai due Classici Disney precedenti, in cui la liberazione della principessa non ha direttamente a che fare con il matrimonio, ma ha sempre a che fare con un principe: Ariel sperimenta la vita degli umani grazie ad Eric, Belle vive un’avventura nel castello della Bestia, Jasmine scopre il mondo sul tappeto volante di Aladdin. Questo è, appunto, anche il caso di Rose Dewitt-Bukater: è l’incontro con Jack a dare vita a un percorso di liberazione che, tuttavia, non può che dipendere da lei.
Decisamente rivelatorio è il seguente dialogo:
“Non spetta a te salvarmi, Jack”.
“Hai ragione. Solo tu puoi farlo”.
È Rose, insomma, a decidere di salvarsi, diventando l’eroina della sua storia.
Il viaggio dell’eroina
Il Titanic era chiamato “la nave dei sogni”.
E lo era, lo era davvero.
C’è un aspetto fondamentale che distingue Jasmine da Rose: la prima è un personaggio secondario, mentre la seconda è la protagonista della sua storia. Come sappiamo, non tutte le principesse Disney si possono definire “protagoniste”: riguardo a La bella addormentata nel bosco (1959), ad esempio, abbiamo parlato di come le vere protagoniste siano le tre Fate, non Aurora.
Ma quali aspetti definiscono, davvero, chi è l’eroe della sua storia, o meglio l’eroina?
Il concetto è simile a quello di “protagonista” e la sua definizione può aprirsi a diverse varianti, ma per tracciare un profilo dell’eroina-tipo possiamo prendere in considerazione le 12 tappe del Viaggio dell’Eroe, descritte da Christopher Vogler sulla base degli studi di Joseph Campbell sulla mitologia classica. Vogler dimostra come tali archetipi siano ben presenti anche nel cinema hollywoodiano: in fondo, si tratta di topoi profondamente radicati alla base di qualunque narrazione.
Si parla di “Viaggio dell’Eroe” perché, nella loro definizione più classica, eroine ed eroi intraprendono un percorso assimilabile ad un viaggio, reale o metaforico, che porta a un cambiamento profondo nel personaggio.
Se pensiamo al fatto che Rose compie un viaggio letterale a bordo del Titanic, mettere a paragone l’immagine della sua partenza con quella del suo arrivo risulta decisamente efficace ai fini del discorso.
La liberazione di Rose appare evidente anche dagli outfit che indossa nel corso del film: essi riflettono la sua condizione, risultando rigidi e pomposi all’inizio, morbidi e leggeri verso la fine. Stesso discorso per i capelli: la vediamo per la prima volta con i capelli perfettamente raccolti, li scioglie per sfogarsi nel momento del tentato suicidio, poi tornano raccolti quando la madre la spinge a lasciare Jack e, quando posa per il ritratto di quest’ultimo, vengono nuovamente sciolti.
Christopher Vogler descrive la Rose dell’inizio del film come una “damigella in difficoltà”, associandola direttamente a personaggi come Biancaneve e Aurora.
Vogler spiega che questo “è un archetipo semplice con cui identificarsi ed empatizzare”, dato che “rappresenta i sentimenti di chiunque si sia sentito impotente, intrappolato o imprigionato” e quindi “crea un’identificazione immediata nel pubblico, incrementandone il coinvolgimento emotivo”.
Non è un caso che lo stesso Walt Disney, nell’avventurarsi per la prima volta nel territorio del lungometraggio d’animazione, abbia scelto la storia di una ragazza in difficoltà. Gli spettatori degli anni ’30 erano abituati a cartoni animati di qualche minuto, come si poteva fare a tenerli incollati allo schermo per vedere un film d’animazione di un’ora e mezza? Coinvolgendoli emotivamente, come Disney ha fatto con Biancaneve e i sette nani (1937).
La “fanciulla in difficoltà” era presente anche nel corto La Dea della primavera, realizzato da Disney nel 1934 per permettere ai suoi animatori di imparare ad animare la figura umana femminile in vista di Biancaneve, che sarebbe uscito tre anni dopo.
È interessante notare come Vogler paragoni Rose anche alla figura di Persefone, che ha ispirato il corto in questione, associando Cal alla figura di Ade (duro, freddo e ossessionato, come lui, dal denaro – d’altronde è anche il dio della ricchezza), che rapisce la Dea per portarla nell’oltretomba. Jack, in questa reinterpretazione, sarebbe Adone, il bellissimo giovane che, durante la prigionia, ricorda a Persefone le gioie della vita.
Sempre attingendo alla mitologia classica, Vogler associa Rose anche a Elena di Troia, strappata al suo brutale marito da un sensuale giovane ammiratore, e ad Arianna, che Dioniso salva da un matrimonio infelice.
Da qui parte il percorso di Rose, esemplificato dalle 12 Tappe di Vogler.
Mondo ordinario
L’eroina ci viene presentata all’interno della sua quotidianità.
Anche se si sta imbarcando sulla nave più grande del mondo, Rose non appare impressionata (“Non capisco il motivo di tutto questo gran chiasso. Non sembra più grande del Mauretania”). Capiamo che Rose è abituata al lusso, alle cose grandiose, tanto che niente più la colpisce.
La vediamo in trappola, imprigionata nell’ambiente della prima classe, che riflette la sua vita da “ragazza di buona famiglia”.
Richiamo all’avventura
È l’evento che spezza l’equilibrio iniziale, in cui l’eroina riceve un invito che la porterà ad uscire dal suo mondo ordinario per avventurarsi in un mondo straordinario. Nel caso di Rose, questo avviene quando Jack le compare alle spalle per impedirle di suicidarsi. Assistiamo anche a un Rifiuto della Chiamata quando Rose esita prima di accettare l’aiuto di Jack.
Un altro esempio di Rifiuto della Chiamata può essere costituito da una scena del loro incontro successivo, quando Jack chiede a Rose se ama Cal e lei, stizzita, cerca di congedarlo, ma poi cambia idea.
Incontro con il mentore
Il mentore di Rose è Jack, quindi il loro primo incontro può coincidere con il Richiamo all’Avventura. Tuttavia, possiamo anche pensare di identificare questa tappa con il loro secondo incontro, quando parlano sul ponte e si conoscono meglio: in questa fase, lui le fornisce l’ispirazione e gli strumenti per procedere nel suo Viaggio.
Superamento della Prima Soglia
Questa tappa coincide con il primo accesso dell’eroina nel mondo straordinario: da qui in poi, non si può più tornare indietro.
In Titanic, possiamo far coincidere questa tappa con la partecipazione di Rose alla festa in Terza Classe, che ha maggiore rilevanza rispetto alla scena (eliminata) in cui Rose ‘scende’ a cercare Jack la mattina dopo il tentato suicidio.
Prove, alleanze, nemici
Il Superamento della Prima Soglia permette all’eroina di conoscere il mondo straordinario e comprenderne le regole per mezzo di sfide, alleati e nemici. Le conseguenze dell’aver partecipato alla festa in Terza Classe delineano Cal e la madre di Rose come “nemici” nel momento in cui le pongono il divieto di rivedere Jack: questa è una prova da superare, per l’eroina.
Avvicinamento alla caverna più recondita
La “caverna più recondita” è il posto più pericoloso del mondo straordinario, quello dove l’eroina trova quello che stava cercando. Nel caso di Rose, l’avvicinamento alla caverna parte dal momento in cui, liberandosi da ogni resistenza, si reca da Jack sulla prua (“Sto volando, Jack!”) per poi farsi ritrarre nuda e in seguito fuggire con lui nei locali delle caldaie (che ricordano appunto la “caverna”, anche definita “pancia della balena”), dove avverrà il loro primo e unico rapporto sessuale. La caverna simboleggia il punto di non ritorno, il definitivo accesso dell’eroina nel mondo straordinario, nonché la sua volontà di trasformarsi e, in questo caso, di liberarsi. La scena-cardine è quella del ritratto: posare nuda è il gesto più estremo che Rose potesse fare per disfarsi, insieme agli abiti, anche dell’immagine di “ragazza di buona famiglia” che le era stata imposta, presentandosi esattamente per quella che è di fronte a Jack, che ritraendola ne ridefinisce l’immagine.
Prova centrale
L’eroina guarda in faccia il nemico, la sua paura più grande.
Questo è il momento più buio del suo Viaggio, la prova più importante che dovrà superare. Nel caso di Rose, il superamento della Prova Centrale ha a che fare con la fiducia che deve riacquistare nei confronti di Jack nel momento in cui Cal le fa credere che abbia rubato il Cuore dell’Oceano.
Ricompensa
Sopravvissuta alla Prova centrale, l’eroina trova la sua ricompensa, un dono con cui procedere nel suo viaggio. Spesso si tratta di una spada magica, in questo caso si tratta di un’ascia con cui Rose riesce a liberare Jack. Ironicamente, la scena ricalca quella di un cavaliere che libera una donzella in difficoltà, rinchiusa nella sua torre. La vera ricompensa, per Rose, non è la “spada”, ma la libertà di poter stare con la persona che ama.
Via del Ritorno
L’eroina esprime la volontà di tornare al suo mondo ordinario: per Rose non si tratta solo della terra ferma, ma della promessa di tornarci insieme a Jack. Per tornare a casa, l’eroina deve affrontare nuovi pericoli, una lotta finale per la sopravvivenza che spesso include un inseguimento (presente anche in Titanic, quando Cal insegue Jack e Rose con la pistola).
Resurrezione
Si tratta dell’ultima prova contro il nemico, l’esame finale in cui l’eroina deve dimostrare cosa ha imparato: per Rose può coincidere con la scena in cui salta dalla scialuppa alla barca, rifiutando definitivamente Cal e tutto il suo mondo. Oppure potrebbe coincidere col momento in cui, anziché lasciarsi morire in mare, segue l’insegnamento di Jack e combatte per sopravvivere, oppure ancora il momento in cui, a bordo della Carpathia, si ribattezza “Rose Dawson” (una vera e propria resurrezione). Quest’ultima scena potrebbe indubbiamente costituire anche l’ultima fase del Viaggio, ossia il Ritorno con l’Elisir: l’eroina ritorna alla sua vita ordinaria (la terra ferma), ma cambiata per sempre. La ricompensa/elisir che porta a casa è la lezione che ha imparato da Jack.
Eroina della propria storia
Come abbiamo visto, la storia di Rose coincide alla perfezione con lo schema proposto da Vogler.
In questo contesto, Jack assume certamente più le vesti di un mentore che di un eroe, nonostante sacrifichi la sua vita per Rose.
L’amore come forza salvifica, tema che caratterizza fiabe e Classici Disney, è sicuramente presente in Titanic. Lo stesso Vogler, riferendosi al finale del film, associa Rose alle principesse Disney, “intrappolate fra la vita e la morte e salvate da un bacio”.
Tuttavia, l’elemento fondamentale del percorso di Rose è il fatto che decida di salvarsi anziché morire insieme al suo amato, come avevano fatto Giulietta con Romeo e Isotta con Tristano. Rose rifiuta il concetto di liebestod, dell’amore nella morte, per rincorrere la vita, seguendo gli insegnamenti di un uomo che è stato il suo “principe”, ma soprattutto il suo mentore.
Insomma, Rose sopravvive alla morte di Jack, la persona grazie a cui ha trovato la libertà, intraprendendo un percorso che non abbiamo ancora visto in nessun Classico Disney.
Eppure, secondo Angelo Serfilippi, “trovare l’amore, crescere grazie a lui e poi vederlo morire è riconducibile a un tòpos delle storie narrate oralmente, quello del ‘fior di tomba’, presente in Elisabetta da Messina del Boccaccio, ne L’elfo della Rosa di Andersen, ma anche in Bella ciao“.
Il messaggio, come spiega Serfilippi, è semplice: “‘Io vivo e godo della vita sopra la morte del mio amore’. Nelle storie sopracitate c’è proprio la testa del cadavere dell’innamorato che viene piantata in un vaso da cui poi cresceranno fiori o basilico: la morte che viene dall’amore e la vita che viene dalla morte”.
Notiamo infine come l’anziana Rose, al termine del film, affermi che Jack l’ha salvata “in tutti i modi in cui una persona può essere salvata”.
Una persona, non una donna. Questo perché il viaggio che Rose compie viene ripreso allo stesso modo da eroine e da eroi, a prescindere dal genere sessuale. L’incontro con il mentore è, per tutti, fondamentale. A differenza di quanto dice Rose, tuttavia, il mentore non può salvare l’eroina o l’eroe, ma può solo fornire loro gli strumenti per salvarsi. Rose supera il lutto, dimostra di saper andare avanti, di aver imparato una lezione importante per la sua vita e di volerla mettere in pratica. È la principessa (Disney) definitiva degli anni ’90 perché inizia il suo percorso di liberazione grazie a un principe, ma lo completa nel momento stesso in cui sceglie di vivere anche senza di lui, salvandosi da sola.
L’illustrazione è stata realizzata in esclusiva per heroica
da Daniele Uboldi (UboDan).
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Per la consulenza, si ringraziano:
– Angelo Serfilippi, studioso di letteratura, fiabe, miti e culti.
Sentirete ancora parlare di lui, qui su heroica!
– David Roberts, esperto di fiabe, Opera, cinema.
Felice di poter collaborare ancora con lui dopo Principesse del loro tempo!
Bibliografia
Lubin, David M. Titanic, 1998
Sharot, Stephen. Wealth and/or Love: Class and Gender in the Cross-class Romance Films of the Great Depression, 2012
Stewart, Cindy. The Implications of Space and Mobility in James Cameron’s Titanic, 2013
Vogler, Christopher. The Writer’s Journey: Mythic Structure For Writers, ed. 2007
Von Dassanowsky, Robert. A mountain of a ship: locating the Bergfilm in James Cameron’s Titanic, 2001
Wilhelm Kapell, Matthew. McVeigh, Stephen (a cura di). The Films of James Cameron: Critical Essays, 2011
Winn, J. Emmett. The American Dream and Contemporary Hollywood Cinema, 2007