
19 luglio 1995.
Circa un anno prima che le Spice Girls facessero irruzione sulla scena musicale, un “piccolo” teen movie faceva il suo debutto nei cinema statunitensi: Clueless (Ragazze a Beverly Hills, 1995), scritto e diretto da Amy Heckerling.
Il suo inaspettato successo contribuisce ad accendere i riflettori su una fascia demografica fino ad allora sminuita, trascurata e sottovalutata: quella delle ragazze. Da quel momento in poi, l’industria dell’intrattenimento inizia a riconoscerne e sfruttarne il potenziale. E così, mentre le Spice Girls conquistano il mondo a suon di girl power, il cinema e la televisione cominciano a proporre sempre più film e serie tv con protagoniste femminili per soddisfare la domanda di un pubblico che, sul piccolo e sul grande schermo, desidera trovare personaggi – ragazze come loro – in cui potersi identificare.

Clueless e l’ascesa delle ragazze
Circa un anno dopo l’uscita di Clueless, Peggy Orenstein scrive sul New York Times un articolo dal titolo emblematico: “The Movies Discover The Teen-Age Girl” (“Il cinema scopre la ragazza adolescente”, 11/08/96). La giornalista suggerisce addirittura che il 1996 potrebbe essere ricordato come “l’anno della teenager”.
“Prima che Clueless diventasse un successo […], guadagnando al botteghino quasi quanto la sua eroina [Cher] spende in una settimana al centro commerciale”, si riteneva che le protagoniste femminili non portassero successo al box office. Mentre i film incentrati su personaggi maschili portavano in sala spettatori di entrambi i generi, lo stesso non accadeva per quelli incentrati su personaggi femminili. In effetti, quando Clueless era nelle mani della 20th Century Fox, il più grande timore dello studio era il fatto che il film si focalizzasse troppo sulle ragazze. La Fox suggerì alla regista di concentrarsi maggiormente sui personaggi maschili o di sessualizzare quelli femminili per attirare l’attenzione del pubblico maschile, ma Heckerling era irremovibile. La vice-presidente esecutiva della Fox, Elizabeth Gabler, era dalla sua parte, ma questo non bastò: la 20th Century Fox rinunciò al progetto, che passò alla Paramount. Dopo che il film uscì ed ebbe successo, Gabler “bastonò” per bene i suoi colleghi della Fox per esserselo lasciato scappare. Alla Paramount, il film aveva fin da subito suscitato l’interesse e la fiducia di un’altra donna, Sherry Lansing, che dirigeva lo studio.
Come afferma la stessa Lansing, Clueless è stato “uno dei primi film che ha davvero saputo intercettare il target delle ragazze”. Quando i test screening avevano rivelato che il film riscuoteva particolare successo in quella fascia demografica, Amy Heckerling temeva che la sua opera non fosse abbastanza trasversale, ma Sherry Lansing non aveva dubbi: “Abbiamo trovato il nostro pubblico”.

Con un incasso di 56.6 milioni di dollari (contro un budget di 13 milioni), sarà proprio Clueless a mettere in discussione il vecchio adagio secondo cui “le ragazze andranno a vedere film che piacciono ai ragazzi, ma i ragazzi non andranno mai a vedere un film fatto per le ragazze” (Douglas, 2010), aprendo la strada non solo a un revival del genere teen (dopo la siccità dei primi anni ’90), ma anche al proliferare di film incentrati su ragazze. Orenstein cita Matilda (di cui ho scritto qui) e Harriet la spia, entrambi del 1996, ma esempi più in linea con Clueless sono Kiss Me, 10 cose che odio di te e Mai stata baciata del 1999: tre teen movie che, con Clueless, condividono anche l’origine letteraria. Grazie a Clueless, i film per ragazze diventano un vero e proprio business.
Questa tendenza non farà altro che amplificarsi nel decennio successivo, con Pretty Princess (ne ho parlato qui) ad aprire la strada a una serie di teen e tween movie quasi sempre incentrati su protagoniste femminili e rivolti a un pubblico di bambine e ragazze. Non dimentichiamo, poi, Legally Blonde (La rivincita delle bionde, 2001), che rimanda a Clueless nel modo in cui mette in scena un ritratto positivo (e femminista) dell’iper-femminilità (ne ho scritto qui).

Lo stesso avviene sul piccolo schermo: Clueless anticipa di qualche anno la serie tv di Buffy (1997-2003), pur arrivando a sua volta qualche anno dopo il film Buffy (1992), che non aveva tuttavia riscosso particolare successo.
In definitiva, si può dire che Clueless abbia acceso la miccia che porterà all’esplosione del girl power nella cultura pop.
Clueless e il girl power
Fra le Riot Grrrl e le Spice Girls
Uscendo perfettamente a metà degli anni ’90, Clueless si pone fra il girl power delle Riot Grrrl della prima metà del decennio e il girl power delle Spice Girls della seconda metà, fra il femminismo di Terza Ondata e il post-femminismo, in un momento in cui la parola girl stava acquisendo un nuovo valore (anche economico).
All’inizio degli anni ’90, si diffondono preoccupazioni riguardo alla condizione della giovani donne negli Stati Uniti: si riconosce il fatto che le ragazze subiscano un trattamento iniquo nella società, con tutte le conseguenze fisiche e psicologiche che ne derivano. Associazioni come l’AAUW (American Association Of University Women) affermano che è arrivato il momento di affrontare l’elefante nella stanza: la perenne svalutazione delle ragazze nella cultura statunitense, inclusa la cultura pop. Vengono presi di mira i modelli femminili proposti dall’industria dell’intrattenimento e da quella del giocattolo. Sono celebri le polemiche riguardo alla Teen Talk Barbie del 1992: fra le frasi che la bambola parlante ripeteva c’era “Math class is tough”, “la lezione di matematica è dura”. Secondo l’AAUW, questa affermazione reiterava uno stereotipo negativo, quello secondo cui le ragazze non sarebbero portate per le materie scientifiche. In generale, Barbie era vista come un coacervo di stereotipi: la tipica ragazza bionda, superficiale, interessata solo allo shopping (nonostante i suoi numerosi impieghi). Questi stereotipi, secondo l’associazione, avevano un impatto negativo sulle bambine.

Nel frattempo, sulla costa occidentale degli Stati Uniti, si stava formando il movimento delle Riot Grrrl, composto da gruppi di ragazze che suonavano in band punk e realizzavano zine femministe. Il loro obiettivo principale era quello di cambiare l’accezione negativa legata al termine girl, ragazza.
Volevano riappropriarsi della parola, considerata al pari di uno slur, per riconnotarla. “Come possiamo cambiare ciò che significa essere una ragazza?”, si chiedeva Tobi Vail, fondatrice della band Bikini Kill, “e come possiamo reinventare il femminismo per la nostra generazione?”.
Vail ha coniato il termine grrrl che poi ha dato il nome all’intero movimento: il senso era quello di annullare le implicazioni dispregiative legate al termine girl (stupidità, debolezza, incapacità) con un suono onomatopeico (grrr) che restituisce un senso di ferocia, evocando il ringhio di una belva.
Riguardo alla centralità delle ragazze, Vail dice: “Si può affermare che la tradizionale insistenza femminista sull’uso del termine ‘woman‘ abbia in parte ridotto il valore del termine ‘girl‘. Laddove ‘woman‘ è stato associato a un’adulta femminista emancipata, le ‘girls‘, definite dalla loro immaturità, sono state depoliticizzate. ‘Riot grrrl‘ era quindi una rivendicazione della parola ‘girl‘ e una rappresentazione della stessa come un termine completamente positivo. […] Il termine ‘grrrl‘ è stato investito di una nuova serie di connotazioni. Stava a indicare una ragazza […] esuberante e assertiva, che amava impegnarsi politicamente nelle questioni femministe”.
Nel loro manifesto, le Riot Grrrl si dichiarano “arrabbiate con una società che ci dice Ragazza=scema, Ragazza=cattiva, Ragazza=debole” (“angry at a society that tells us Girl=Dumb, Girl=Bad, Girl=Weak”). Cercano dunque di distruggere la percezione comune delle ragazze come passive, deboli, indifese, infantili e immature, affermando che le ragazze hanno il potere di “farcela da sole”.
Riappropriandosi del termine girl, le riot grrrl si sono riappropriate anche dell’estetica tipicamente associata alle girls, cioè alle bambine e alle ragazze. Le pagine delle loro zine contenevano messaggi di forte denuncia al sistema patriarcale espressi con cuoricini, stelline e illustrazioni graziose, talvolta ispirate ai cartoni animati (come nel caso di She-Ra: ne ho parlato qui).
Fra i look più iconici di Kathleen Hanna, la cantante delle Bikini Kill, ci sono gonne a quadretti e calzettoni (il tipico outfit da ‘scolaretta’ che ritroveremo in Clueless) e una t-shirt con Ariel de La Sirenetta (ne ho scritto qui).

Le Riot Grrrl tendevano a vestirsi ‘da bambine’ con un intento ironico, sovversivo: come lupi travestiti da agnelli, avevano l’aspetto di ‘brave bambine’, ma si comportavano in modo tutt’altro che mansueto.
Due rappresentazioni più “commerciali” della pratica di vestirsi e atteggiarsi da bambine negli anni ’90. A sinistra: Courtney Love non faceva parte delle Riot Grrrl (né voleva essere associata a loro), ma anche lei indossava abiti e accessori da bambina con un approccio ironico e sovversivo. Quest’estetica prende il nome di Kinderwhore: ne ho parlato qui, in relazione al baby-doll. A destra: Emma Bunton (Baby Spice) delle Spice Girls si veste da bambina con un approccio ironico, ma non sovversivo. Presumibilmente, più che alle Riot Grrrl, si ispira a Twiggy (di cui ho parlato qui) e alle altre icone ‘mod’ anni ’60.
Fra le altre cose, le Riot Grrrl promuovevano l’importanza di una “cultura fatta dalle ragazze per le ragazze”: è in quest’ottica che realizzavano zine, dischi e quant’altro. Si trattava di una produzione che restava al di fuori dalle logiche commerciali, e quindi dal capitalismo. Di lì a poco, però, quel girl power che loro stesse avevano coniato (dal nome della seconda zine delle Bikini Kill) diventa uno slogan commerciale. La versione ‘consumistica’ del girl power riprende la giustapposizione fra un concetto di empowerment ispirato al femminismo e un’estetica che prevede elementi iper-femminili (anche infantili). L’obiettivo non è solo quello di ‘aggiornare’ il femminismo (come volevano fare già le Riot Grrrl), ma di “commercializzarlo”. Il girl power, come diceva Geri delle Spice Girls, è una versione anni ’90 del femminismo: un modo per renderlo appetibile a bambine e ragazze, le consumatrici di fine millennio.

«I’m just a girl»
Abbraccia lo stereotipo
È in questa cornice che va a inserirsi Clueless.
Dopo l’introduzione con Kids In America e il breve intermezzo di Fashion, a dare ufficialmente il via al film sono le note di Just A Girl dei No Doubt: non può essere un caso, in un’epoca in cui il termine girl era – come abbiamo visto – al centro del dibattito pubblico. Il testo della canzone, scritta da Gwen Stefani, veicola un messaggio molto simile a quello promosso dalle Riot Grrrl: è una forte critica al trattamento delle ragazze da parte di una società che le vede come deboli e stupide.
Il brano è stato inserito nel film diversi mesi prima che uscisse come singolo: Just A Girl fa quindi il suo (vero e proprio) debutto nella sequenza che vede Cher guidare in modo spericolato per le strade di Beverly Hills. Curiosamente, la scena rievoca il più recente utilizzo della canzone: ci riferiamo al trend di TikTok che ha portato migliaia di ragazze a giustificare le loro limitate capacità di guida o la loro scarsa propensione ai calcoli matematici con la frase “I’m just a girl”. Il trend è stato criticato per il fatto di rinforzare stereotipi negativi legati alle donne: la questione della matematica, tra l’altro, rievoca le polemiche relative a Teen Talk Barbie. Da un altro punto di vista, però, il trend può essere visto come una riappropriazione in chiave ironica di quegli stessi stereotipi.

Cher incarna molti degli stereotipi criticati dalle Riot Grrrl e dall’AUWW. All’apparenza è frivola, superficiale, immatura, svampita, ingenua. Lo dice perfino il titolo: clueless, sprovveduta.
Sembra che il film voglia accendere i riflettori sull’immagine più stereotipata delle ragazze, quell’immagine apertamente condannata nei primi anni ’90. Non lo fa necessariamente per riabilitarla, ma per mostrare la sua complessità e spingere le spettatrici a tifare per lei. Tifare per quella figura femminile stereotipata che tutti ci dicono essere un cattivo esempio. Non compierà grandi imprese (a differenza di Elle di La rivincita delle bionde), ma avrà la sua dignità e, soprattutto, la possibilità di raccontare in prima persona la propria storia. Una storia che, a sua volta, è raccontata da una donna, la regista e sceneggiatrice Amy Heckerling, insieme ad altre donne (fra cui la produttirce Kerry Lansing e la costumista Mona May) che hanno creduto fin da subito in questo progetto. E poi, a monte, c’è un’altra donna, Jane Austen: Clueless è un libero adattamento di Emma (1815).

Un film fatto da donne per donne e sulle donne: per ridere di quegli stereotipi, ma anche per abbracciarli, per giocarci, per trovare piacere in quella rappresentazione che tutti ritengono essere “negativa”.
Cher rappresenta quel modello di femminilità frivola che i misogini associano all’intero genere femminile e che le femministe di vecchio stampo sostengono sia la fonte di ogni male. Da un lato ti viene detto che, se sei una ragazza, sei così (o devi essere così), che tu lo voglia o no; dall’altro lato, ti viene detto che assolutamente non devi essere così, perché è un’immagine offensiva per le donne. La regista gioca con quell’idea di femminilità stereotipata sapendo che è ben lontana dalla realtà: è chiaro che non rappresenti una donna reale, né tantomeno l’intero genere femminile. “Noi non siamo davvero così”, sembra dire, facendo l’occhiolino alle spettatrici, ma allo stesso tempo quell’idea di femminilità è talmente radicata nella società che in fondo “un pezzettino di Cher fa parte di tutte noi”. Proviamo piacere nel vederla trionfare proprio perché sia i misogini che le femministe ci dicono che non combinerà mai niente. E invece perfino quell’immagine di donna così stereotipata può trionfare. C’è qualcosa di confortante in questo. Perché vedere Cher trionfare è come vedere trionfare la Barbie con cui si giocava da piccole. E infatti, all’inizio, godiamo della sua “vestizione” virtuale e – per il resto del film – dei suoi incredibili outfit. Sappiamo che è tutta finzione, siamo consapevoli che una figura come Cher non sarebbe presa sul serio nel mondo reale, sappiamo che va letta attraverso una lente di ironia, ma resta comunque un personaggio a cui si vuol bene. Forse proprio perché rappresenta una fantasia. E il nostro piacere passa attraverso la consapevolezza che è tutto un gioco.

Prospettiva femminile
Al di là dello stereotipo, il personaggio di Cher presenta una caratterizzazione più autentica e complessa di quanto ci si potrebbe aspettare. Una caratterizzazione che viene messa in luce dalla scelta di affidarle la narrazione della propria storia. In questo, Amy Heckerling si è ispirata al romanzo de Gli uomini preferiscono le bionde (1925), anch’esso scritto da una donna (Anita Loos), in cui la protagonista Lorelei è una narratrice ‘comica’ le cui falle logiche ed errori grammaticali servono a ridicolizzare la società in cui vive, più che lei stessa, ma che è comunque in grado di mostrare inediti momenti di lucidità che fanno sì che si distingua all’interno della suddetta società. Qualcosa di simile avviene nella già citata Emma di Jane Austen: nel raccontare la assurdità della società del suo tempo, la narratrice adotta un velo di ironia, instaurando con le lettrici una tacita complicità, come se facesse loro l’occhiolino.
Clueless mette a segno questa strategia, lanciando la convenzione del female voice over (come lo definisce Susan Douglas) che ritroveremo in diversi film e serie tv nel resto degli anni ’90 e nei primi anni ’00: Ally McBeal, Sex And The City, Bridget Jones… dopo Cher, sempre più donne hanno avuto la possibilità di essere narratrici della propria storia, talvolta interpellando direttamente il pubblico. In questo modo, hanno potuto esprimere i propri desideri, le proprie insicurezze, il proprio punto di vista, la propria visione del mondo.
Questa prospettiva fa sì che questioni come la sessualità femminile siano presentate come dati di fatto: Clueless, ad esempio, spinge chi guarda a non giudicare le protagoniste per i loro desideri sessuali. Una delle caratteristiche più peculiari del film è la franchezza con cui le ragazze parlano di sesso, con riferimenti anche all’organo sessuale maschile. La scena nel diner in cui Tai e Dionne parlano di peni anticipa clamorosamente le scene in cui le protagoniste di Sex And The City (quattro donne over 30) parlano di sesso mentre pranzano insieme: nel 1998, la serie aveva destato scandalo, ma già tre anni prima Clueless aveva osato tanto, e con ragazze adolescenti.

In Clueless, ogni scelta che una ragazza compie in merito alla propria sessualità è considerata valida. La verginità di Cher è tuttavia la più controversa: il fatto che lei sia la protagonista potrebbe farla apparire come la scelta più desiderabile, in linea con lo spirito simil-puritano di cui diversi teen movie sono pervasi, ma allo stesso tempo è l’unica scelta che viene contestata dalle altre ragazze, prima con tono scherzoso, poi duramente nella scena in cui Tai le dice che è “una vergine che non sa guidare”. Possiamo ipotizzare che qui la perdita della verginità sia associata alla maturità, più che alla sessualità in sé, e la scena ha sicuramente un risvolto comico, ma lo stigma rimane. Tuttavia, il film mette in chiaro che questa è scelta più giusta per Cher. Allo stesso tempo, le altre ragazze non vengono giudicate per i loro diversi approcci al sesso: nella scena al diner, Dionne è ancora “tecnicamente vergine” (smetterà di esserlo dopo l’incidente in auto), mentre Tai sembra aver perso la verginità già da tempo.
Fra parodia e omaggio
Riprendendo le fila del discorso, potremmo dire che Cher è uno stereotipo, ma è anche più di questo. Pur mostrando una maggiore complessità nel corso del film, non è costretta cambiare radicalmente: resta sempre la Cher che conosciamo, e non viene “punita” per questo. Alla fine, perfino quel tipo di ragazza-stereotipo può farcela.
Come scrive Susan Douglas, Clueless è “una parodia e [allo stesso tempo] una lettera d’amore a un’adolescente ricca e viziata di Los Angeles”.
“La girlishness era sia celebrata, sia presa in giro”, continua Douglas, e questa contraddizione doveva essere calibrata con molta attenzione.

Clueless prende in giro i giovani privilegiati di Beverly Hills, ma allo stesso tempo non li guarda dall’alto verso il basso. “Il film è sia una satira sia, in un certo senso, una sorta di celebrazione di questi personaggi”, afferma Wallace Shawn, l’attore che interpreta il professor Hall nel film. Questa doppia natura accomuna nuovamente Clueless al romanzo de Gli uomini preferiscono le bionde.
Come scrive Kira Schneider, “anche se Heckerling prende in giro le convinzioni e i comportamenti di Cher e dei suoi amici attraverso l’ironia e l’esagerazione, il suo trattamento dei personaggi rimane affettuoso e il finale del film ristabilisce Cher come la ragazza caparbia, intelligente e sicura di sé che il pubblico ha conosciuto all’inizio del film”. In Clueless, “la ragazza popolare è presa in giro con delicatezza anziché uccisa come in Heathers“, scrive Lesley Speed. Nel corso del film, Cher è il bersaglio delle battute, ma è anche un agente comico attivo: ridiamo di lei, ma anche con lei. Ci fa ridere non solo perché è uno zimbello, ma perché è genuinamente divertente, con battute inaspettatamente argute e tempi comici perfetti.
Parlando di Emma, Jane Austen aveva detto che non sarebbe piaciuta a nessuno. Non è questo il caso di Cher: facciamo tutti il tifo per lei. All’interno del film non viene mai davvero punita per le sue azioni: pur essendo criticata, è costantemente protetta e difesa (anche dal film stesso), e noi spettatori la guardiamo con empatia e affetto.

Clueless e la moda
Il ritorno della femminilità
“Non volevamo rinunciare all’essere girly“, ha dichiarato Mona May, la costumista di Clueless, in merito al proprio lavoro sul film. In inglese l’aggettivo girly (o girlie) indica un tipo di iper-femminilità legata alla giovane età, un’estetica che può sfociare anche nell’infantilizzazione.

Perché avrebbero dovuto rinunciarci?
Perché la girlishness è spesso vista come qualcosa di artificiale, superficiale, stupido: non viene presa sul serio. In linea con la retorica del grunge (che privilegia la semplicità e l’autenticità), i trend di inizio anni ’90 erano molto lontani da quest’idea di femminilità estrema.
Amy Heckerling e Mona May se ne sono accorte dopo aver fatto diversi sopralluoghi nelle scuole superiori della Valley. Il grunge promuoveva un’estetica “da maschiaccio” se non addirittura “anti-femminile” (come la definisce Kimberley Gordon). “Io e Amy eravamo sconfortate”, ricorda Mona May, “Le ragazze e i ragazzi si vestivano allo stesso modo. C’erano solo t-shirt e pantaloni larghi, cardigan, jeans e camicie a quadri”.
La stessa Alicia Silverstone, prima di Clueless, era apparsa in diversi video degli Aerosmith con un look fedele ai trend dell’epoca.

La costumista decide quindi di non ispirarsi alla realtà dei teenager americani, ma di creare un nuovo look pieno di colore e femminilità: un’estetica che, all’epoca, non esisteva al di fuori delle passerelle europee (e del guardaroba di Francesca Cacace de La Tata).

“Stavamo creando un mondo completamente nuovo […]. Venendo dall’Europa, ho scelto di ispirarmi all’alta moda. Dimentichiamoci delle scuole superiori della Valley. Guardiamo davvero al futuro”.

Per il primo look di Cher, nel suo primo giorno di scuola, Mona May ha pensato di rielaborare il tipico completo da scolaretta (schoolgirl), con giacca e gonna in plaid: è una versione high-fashion dell’uniforme delle scuole private cattoliche. Il completo è di Jean Paul Gaultier.
Nella scena in cui Cher cammina da sola, notiamo che c’è un enorme contrasto fra lei e la “folla” di giovani (soprattutto ragazzi) che si vestono come si vestivano davvero i liceali all’epoca, e da cui lei è infatti disgustata. Nonostante il plaid/tartan costituisca un territorio comune col grunge, tutto il resto del look non potrebbe essere più lontano. “Gli abiti da schoolgirl in plaid che Cher e Dionne indossano il primo giorno di scuola segnalano l’intenzione del film di discostarsi dai prevalenti stili grunge maschili”, come scrivono Stefania Marghitu e Lindsey Alexander. Secondo le due studiose, questa è una “riappropriazione femminile” del plaid utilizzato nelle camice di flanella dell’estetica grunge e alt-rock.
Alicia Silverston suggerisce che anche l’audace scelta del contrasto fra nero e giallo possa ammiccare al grunge, ma Mona May dichiara che l’accostamento rimanda all’idea di Cher come “ape Regina” (queen bee) e “sole” della scuola (nel senso che tutto gira intorno a lei). La costumista rivela invece che l’utilizzo delle spille da balia sugli outfit di Cher e Dionne è un effettivo richiamo al grunge. Tuttavia, “anche i tradizionali kilt scozzessi hanno delle spille”, aggiunge, “fa molto punk rock”.

Fra le protagoniste, Tai è l’unica ad essere in linea con la realtà dei tempi: con la sua maglia nera oversize, i pantaloni scuri larghi e l’immancabile camicia di flanella, aderisce perfettamente all’estetica grunge. Un’estetica tendenzialmente unisex: non esisteva una vera alternativa per le ragazze.

Dopo la morte di Kurt Cobain, la moda adolescenziale ha cominciato a muoversi in una direzione diversa, ponendo maggiore enfasi sulla femminilità: l’insofferenza di Cher nei confronti del grunge suggerisce che il cambiamento è imminente. Come scrive Alice Leppert, “quando Cher e Dionne decidono di rifare il look a Tai, il film suona la campana a morto per il grunge”.
Mona May sostiene che Clueless abbia permesso alle ragazze di essere di nuovo girly, dando inizio a una nuova era caratterizzata da colori brillanti e accessori vezzosi: “Essere una ragazza è una cosa fantastica. Puoi giocare con la moda. Come con le tue bambole. Ma puoi farlo ora [come] te stessa”. Lo dichiara anche Bonnie McAllister, fashion editor di Teen Magazine, in un articolo del Los Angeles Times del 12 ottobre 1995: secondo la giornalista, il ritorno all’iper-femminilità “ha molto a che fare con il film Clueless. Le ragazze girlie sono tornate in grande stile. I capelli e il trucco sono curati e i vestiti sono femminili. Il grunge se n’è andato”.

Nell’epoca del grunge, era cool mostrare disinteresse nei confronti della moda.
Con Clueless, la moda torna ad essere “divertente” e “girly”, ma viene anche presa molto sul serio (dalle ragazze e dal film stesso).
Il ritorno alla girlishness promosso da Clueless può sicuramente essere ricollegato alla retorica del girl power, in cui potere e femminilità vanno a braccetto. Victoria Newsom definisce il girl power come una «forma di empowerment” che permette alle ragazze di “raggiungere l’empowerment personale mantenendo uno stile ‘girlish’”, ossia “uno stile di espressione personale che promuove e si riappropria degli stereotipi tradizionali femminili, cooptandoli come luoghi di empowerment“.
In questo contesto, come scrive Susan Douglas, “il vero empowerment deriva dal comprare le cose giuste e usare i giusti prodotti per apparire irresistibilmente attraente”. Con la sua enfasi apolitica sull’immagine, Clueless sembra abbracciare pienamente questa visione.
Bisogna notare, tuttavia, che nel mondo di Cher la moda è un piacere da condividere con le altre ragazze, più che uno strumento per attrarre i ragazzi. Il makeover di Tai dovrebbe (in teoria) attirare l’attenzione di Elton, ma sembra più che altro volto a compiacere Cher e Dionne, attirando poi l’attenzione di altre ragazze popolari che l’accolgono come una di loro. Elton, invece, non è interessato alla moda. A dirla tutta, l’unico ragazzo interessato alla moda è Christian, che si rivela essere gay: potrà quindi essere attratto dagli outfit di Cher, ma non si tratta sicuramente di un’attrazione di tipo sessuale.

Inoltre, Cher suggerisce che curare i propri outfit non dovrebbe essere una prerogativa esclusivamente femminile, tant’è che lei stessa è attratta da Christian proprio per come si veste, arrivando addirittura ad ammettere che si veste meglio di lei. Si tratta, purtroppo, di un’eccezione: è la stessa Cher a farlo presente, in una scena che inverte le gerarchie di potere in relazione allo sguardo. Tradizionalmente, nel linguaggio cinematografico, sono le donne a essere oggetto dello sguardo maschile (rappresentato dalla cinepresa), che ne valuta l’avvenenza. In questo caso, la cinepresa inquadra invece una sfilata di ragazzi vestiti “male” mentre la voce di Cher (che li osserva senza essere vista) critica apertamente la sciatteria dei maschi della sua generazione: una scena che ha suscitato grida di approvazione da parte del pubblico femminile durante le prime proiezioni del film.
Nei video di Cryin’ degli Aerosmith, Alicia Silversone appariva vestita come ‘uno dei ragazzi’, in pieno stile grunge, ed era presentata come un silenzioso oggetto del desiderio per il pubblico (prevalentemente maschile) della band. Come scrive Ben Aslinger, la regista di Clueless ha preso quell’oggetto del desiderio e l’ha trasformato “in un personaggio complesso, vivo e parlante all’interno di un film che sfida il discorso rock e le sue idee sul gender“.
Con il suo look iper-femminile, Cher non cerca il consenso maschile, anzi: si prende gioco della cultura iper-mascolina del rock alternativo, definendolo “complaint rock” (“rock lagnoso”) e “cry-baby music” (“musica da piagnoni”).
Non più un’ancella del grunge, quindi, ma l’emissaria di una nuova cultura che mette al centro le ragazze.

In Clueless, la moda è divertente, ma è anche presa molto sul serio.
Clueless e il femminismo
Il femminismo dato per scontato
Di primo acchito, verrebbe da pensare che Clueless non abbia niente a che fare con il femminismo. In effetti, Clueless fa lo slalom fra il femminismo di Seconda Ondata (quello più classico, degli anni ’60-’70) e quello di Terza Ondata (che stava sorgendo a inizio anni ’90, a partire dalle riot grrrl), collocandosi nella pista del post-femminismo. In poche parole, in Clueless il femminismo è dato per scontato: la storia è ambientata negli anni ’90, un’epoca in cui i principi base del femminismo sono ormai dati per assodati.
Il film evita dunque di assumere una posizione politica esplicita, ma riflette valori che possono essere identificati come femministi. Un aspetto che distingue Clueless da altri prodotti post-femministi è il fatto che Clueless non si fa problemi a mostrare un mondo in cui c’è ancora bisogno del femminismo, anche se nessuno lo dice apertamente. E così, Cher detiene un certo potere all’interno del suo microcosmo, ma non è esente dalle problematiche a cui tutte le donne vanno incontro. Primo fra tutti: il fatto di essere molestata da ragazzi che si prendono troppa confidenza con lei. Questo avviene per la prima volta poco dopo l’inizio del film, quando un ragazzo comparso dal nulla le si avvinghia e lei lo spinge via con forza per poi pronunciare la sua frase più iconica: “Ugh! As if!”.
Oggi la scena potrebbe essere connotata in ottica femminista, ma all’epoca questa era semplicemente la reazione di una ragazza che si libera delle attenzioni indesiderate di un ragazzo viscido e appiccicoso. Una scena in cui sicuramente molte ragazze potevano (e possono) immedesimarsi. Clueless, tuttavia, non invoca l’azione collettiva femminista per sovvertire il sistema patriarcale, ma tutt’al più premia la forza della singola ragazza che riesce a reagire. Come afferma Devoney Looser, “Clueless trasmette quest’idea che il sistema patriarcale fa schifo, ma se diventi più forte, riuscirai a farti strada”. Il messaggio non è intrinsecamente negativo, ma presenta le sue criticità: anziché pretendere che il sistema cambi, si sposta la responsabilità sulla singola donna, che deve farsi forza. Si tratta di un approccio fin troppo ottimista.
Il femminismo liberale degli anni ’90 tendeva a rigettare il concetto di “donna” come “vittima”: il power feminism nasce proprio dal concetto che le donne forti possano farsi strada in un mondo patriarcale. Cher riesce a farlo egregiamente nella scena che abbiamo citato prima, ma ha più difficoltà nel momento in cui è il suo amico Elton a “provarci” con lei mentre la accompagna a casa in macchina: per rifiutare le sue avances, è costretta a rimanere a piedi, mentre lui riparte senza di lei. Avrà bisogno di un altro uomo, Josh, per tornare a casa: lui arriva, come un principe, per salvarla. La scena evidenzia implicitamente il fatto che Cher ha bisogno della patente per essere davvero indipendente, incrementando la posta in gioco nel momento in cui, più tardi, non riesce a superare l’esame di guida.
In linea con la sensibilità post-femminista, Clueless non trasmette chiari messaggi politici (femministi), ma tratteggia un mondo in cui il femminismo degli anni ’60-’70 ha comunque lasciato un segno. Lo vediamo, ad esempio, nel fatto che Dionne riprenda Murray per il fatto che la chiami “donna”, un appellativo che evoca scenari sessisti (“Zitta, donna! Torna in cucina!”). La risposta del ragazzo, tuttavia, complica la questione: dice che è un’espressione dello street slang e che, come altri appellativi rivolti alle donne, ha un tono canzonatorio, ma non necessariamente misogino. Ecco, quindi, che le rivendicazioni delle femministe di un tempo si scontrano con un contesto più complicato, pieno di sfumature.

Un’altra delle scene che maggiormente evoca concetti di matrice femminista è quella in cui Cher dichiara di non essere interessata a uscire con ragazzi del liceo, affermando che “è una scelta che ogni donna deve fare per sé stessa”. Pur non essendo un concetto estraneo alla Seconda Ondata, è soprattutto la Terza Ondata ad essere sensibile all’idea di “scelta personale” come base del pensiero femminista. Da qui derivano anche buona parte delle critiche al femminismo liberale, visto come eccessivamente focalizzato sull’individualismo. Queste critiche si rivolgono, allo stesso modo, ai coevi fenomeni del girl power e del post-femminismo.
Sebbene il girl power possa essere ricollegato alla Terza Ondata femminista, la sua enfasi sull’immagine lo rende un territorio soggetto a “colonizzazione post-femminista”, come scrive Rebecca Munford. Il consumismo è una componente fondamentale di entrambi: l’acquisto di beni è visto come una forma di empowerment.

Privilegiando il piacere del consumo rispetto all’impegno politico, Il post-femminismo promuove i valori di base del femminismo, ma tende a considerare irrilevante l’esistenza di vincoli sociali sulle ragazze e sulle donne. Di fatto, il post-femminismo tende a sottovalutare l’esistenza di una discriminazione sistemica nei confronti del genere femminile. Invece dell’attivismo collettivo, il post-femminismo favorisce la scelta individuale e valorizza la femminilità e la sensualità. In definitiva, il film si allinea all’ottimismo e all’umorismo (spesso self-deprecating) che caratterizzano il post-femminismo e abbraccia l’importanza del consumismo, della femminilità e della giovinezza, continuando ad alludere alla continua rilevanza dei principi femministi di base.
Una ragazza degli anni ’90
Cher non è una “femminista” in senso stretto, ma è una ragazza degli anni ’90: in questo decennio, il femminismo è un set di valori ormai dato per scontato. Cher è caratterizzata come una ragazza assertiva, sicura di sé, determinata a raggiungere i propri obiettivi: è un agente attivo, che mira ad avere il controllo sulla propria vita. Il discorso è complesso perché, per gran parte del film, sembra che Cher non abbia una vera e propria ‘direzione’ nella propria vita: com’è in fondo giusto che sia, a 16 anni si preoccupa della propria quotidianità, anziché fare grandi progetti per il futuro. Questo non significa, tuttavia, che la ragazza non abbia degli obiettivi, nella propria vita di tutti i giorni. Nell’orchestrare piani per convincere i professori ad alzare i suoi voti, si può dire che Cher “gestisce la sua vita come se fosse un business”, come suggerisce Alicia Silverstone.

All’interno della scuola, Cher esercita e mantiene il suo potere attraverso “social skills” tipicamente femminili, come il matchmaking, ossia far sì che i suoi professori, Mr. Hall e Mrs. Geist, si mettano insieme, o il makeover, il “cambio look” di Tai che “le dà un senso di controllo in un mondo pieno di caos”.

Fra gli strumenti tipicamente femminili attraverso cui Cher esercita il controllo sulla percezione che gli altri hanno di lei ci sono sicuramente la moda e lo slang, nonché la “parlantina” che le permette di coltivare i rapporti sociali e di cavarsela in tante situazioni: anche questa capacità di intrattenere le pubbliche relazioni può essere associata alla dimensione femminile (vedi Holly Golightly o la stessa Emma di Jane Austen), ma nel caso di Cher è “ereditata” dal padre avvocato, che infatti si dichiara orgoglioso di lei per il fatto che sia riuscita a negoziare con i professori in modo da ottenere voti più alti. La capacità oratoria di Cher deriva quindi da una fonte maschile, ma la ragazza ha preso qualcosa anche dalla madre: il fatto di prendersi cura degli altri, a partire dal padre. È proprio quest’ultimo a farlo presente in uno dei momenti risolutivi del film. Questa caratteristica, tradizionalmente femminile, deriva sicuramente dall’affetto per il genitore, ma tradisce anch’essa un desiderio di controllo.
La sua perdita di controllo, nella parte finale del film, non è volta a svalutare le capacità da lei dimostrate fino a quel momento, ma è piuttosto un’opportunità di crescita, un’occasione per vedersi dal di fuori e riconoscere la propria inesperienza e il proprio potenziale di apprendimento. Le qualità di Cher rimangono tali: deve semplicemente aggiungervi qualcosa, imparare alcune cose su sé stessa e sulla vita per fare un passo verso l’età adulta, ma le sue capacità sono ancora presentate come valide, e rimangono tali alla fine del film.

“Divento intelligente quando mi serve”
Cher è inscrivibile in una tradizione di” bionde stupide” che si rivelano più intelligenti di quanto si possa pensare, da Lorelei di Gli uomini preferiscono le bionde a Elle di La rivincita delle bionde, con cui Cher condivide la penna rosa col pelo. Recensendo Clueless sul New York magazine del 7 agosto 1995, David Denby riconduceva Cher a questo filone: “Mi ricorda le bionde stupide interpretate da Judy Holliday [negli anni ’50]: più blatera, più sembra intelligente”. Sul Los Angeles Times del 19 luglio 1995, Kenneth scriveva che Clueless è “una farsa adolescenziale della scrittrice e regista Amy Hecklerling che, come la sua eroina, si rivela avere più di quanto si possa prevedere”. Secondo Devoney Looser, “Clueless ha rielaborato molti di questi stereotipi in modo che avessero un maggiore potenziale femminista”.
Si può parlare perfino di feminist camp per il modo in cui la femminilità è presentata come una messinscena, una performance: lo capiamo dalle istruzioni di Cher per sedurre un uomo, che presentano aspettative legate alla femminilità che perfino lei stessa fatica a rispettare (come quando brucia i biscotti nel forno, rivelandosi fallimentare come “donna di casa”, anche perché è sempre stata abituata ad avere una domestica).

Femminilità e femminismo
Se le femministe di Seconda Ondata tendevano a rigettare la femminilità tradizionale, vista come uno strumento di oppressione, le femministe di Terza Ondata se ne riappropriano. Come scrivono Jennifer Baumgardner e Amy Richards in Manifesta: Young Women, Feminism, and the Future (2000), “per rendere potente il femminile non è necessario renderlo maschile o ‘naturale’: è una dichiarazione femminista rivendicare con orgoglio cose che sono femminili”.
Clueless esce nel pieno di questo processo di riappropriazione della femminilità in ottica femminista. Come scrive Susan Douglas, il film ha portato alla ribalta una “nuova girliness – girl power in minigonna e boa di struzzo rosa”, permettendo alle ragazze e alle donne d’America di riscoprire il piacere della femminilità. Quella della ragazza iper-femminile è tornata ad essere una figura accettabile in cui rivedersi e per cui tifare.
Hilary Radner associa Clueless a Legally Blonde, scrivendo che i due film “rappresentano come i valori femministi dell’indipendenza e dell’istruzione siano popolarizzati e depoliticizzati nei film hollywoodiani mainstream incentrati sulle donne, mantenendo in ultima analisi un atteggiamento post-femminista (o femminista di Terza Ondata), poiché Cher ed Elle conservano il loro fascino femminile […] mentre raggiungono i loro obiettivi”. Entrambi i film, secondo la studiosa, sono esempi di “cinema neo-femminista” in quanto “sfidano la percezione che gli spettatori hanno delle donne giovani, femminili ed alla moda, suggerendo che bellezza e intelligenza non si escludono a vicenda”.

Kira Schenider sostiene che Clueless riesce a “esplorare la figura della girly girl in un modo che sovverte gli stereotipi e crea uno spazio per l’agency femminile”, ma mette anche in luce “i dolori e le contraddizioni che circondano la girlhood“, dimostrando “una profonda comprensione di cosa significhi crescere come femmina”. “La regista evita abilmente di mettere in scena rappresentazioni piatte e stereotipate delle ragazze adolescenti, ma allo stesso tempo non le priva degli aspetti tradizionalmente girly della loro personalità e della loro vita, spesso criticati dalle femministe [di Seconda Ondata], semplicemente perché fanno parte della vita delle ragazze […] nel bene e nel male”, conclude la studiosa.
In questo contesto, la moda è uno strumento per esprimere individualità e sicurezza in sé, femminilità e potere. Come scrivono Stefania Marghitu e Lindsey Alexander, Clueless celebra “la moda e la bellezza tanto quanto la realizzazione individuale e la crescita personale”.

Clueless non mette in discussione l’identità di genere come costrutto sociale, ma sceglie invece di celebrare la femminilità e i modelli di consumo femminili come fonte di empowerment per le sue protagoniste. Tuttavia, il film afferma che nella vita c’è molto di più, e Cher ha spazio per crescere e diventare un’adulta realizzata che si interessa a questioni più importanti. Nell’ultima parte della storia, la ragazza è meno preoccupata del suo aspetto e più interessata alle sue cause e ad aiutare nel processo di suo padre, ma mantiene comunque la sua bellezza e il suo stile.

Come scrivono Marghitu e Alexander, “Nel suo percorso verso l’autorealizzazione, Cher non perde il suo stile personale, ma diventa meno superficiale e più interessata a diventare un membro consapevole e attivo della società, pur mantenendo la sua femminilità”. Dà via alcuni abiti che non usa più, ma non rinuncia al suo intero guardaroba.
In fondo, come dice lei stessa, il suo è solo un makeover dello spirito!
Bibliografia

Abbey Bender, “On Mona May, the Queen of ‘90s Movie Fashion”, Roger Ebert, 10 marzo 2020.
Jen Chaney, As If!: The Oral History of Clueless as told by Amy Heckerling and the Cast and Crew, Touchstone, 2015.
Susan Douglas, The Rise of Enlightened Sexism: How Pop Culture Took Us from Girl Power to Girls Gone Wild, St. Martin’s Griffin, 2010.
Rebecca Munford, “‘Wake up and smell the lipgloss’: Gender, generation and
the (a)politics of girl power”, in Gillis Stacey – Howie Gillian – Munford Rebecca (a cura di), Third Wave Feminism: A Critical Exploration,
New York, Palgrave Macmillan, 2004, pp. 142-151.
Peggy Orenstein, “The Movies Discover The Teen-Age Girl”, New York Times, 11 agosto 1996.
Pamela Robertson, Guilty Pleasures: Feminist Camp from Mae West to Madonna, Londra, Tauris, 1996.
Kimberley Roberts, “Pleasures and Problems of the ‘Angry Girl'” in Frances Gateward, Murray Pomerance (a cura di), Sugar, Spice, and Everything Nice: Cinemas of Girlhood, Detroit, Wayne State University Press, 2002, pp. 217–33 [217].
Gaile Robinson, “Into the Generation Gap: Fashion: At the Mart, California designers took a cue from the movie ‘Clueless’ and proved the girlie girl look is back, while grunge is in the grave”, Los Angeles Times, 12 ottobre 1995.
Kira Schneider, Reclaiming girlishness. Images of young
women in contemporary American cinema, Master’s Thesis, 2018.
Chelsea Sanchez, “There Will Never Be Another Clueless“, Harper’s Bazaar, 18 luglio 2025.
Karen Schoemer, Yahlin Chang, “The Cult of Cute”, Newsweek, 27 agosto 1995.
Frances Smith, Timothy Shary, ReFocus: The Films of Amy Heckerling, Edimburgh University Press, 2016.
Lesley Speed, Clueless: American Youth in the 1990s, Routledge, 2018.
Leone Locatelli, “Fashion Action. Sailor Moon e il girl power negli anni
Novanta”, in Specchio Anna (a cura di), Nel nome della Luna. Origini,
rivoluzioni ed identità di Sailor Moon, San Marco Evangelista (CE), Società Editrice La Torre, 2025, pp. 125-149.
Victoria Newsom, “Young Females as Super Heroes: Super Heroines in the Animated Sailor Moon”, Femspec., Vol. 5, n. 2, 2004, pp. 57-81.
Sarah Spelling, “Creating Clueless’s Iconic Wardrobe”, Vogue, 17 luglio 2020.
Bernard Weinraub, “Who’s Lining Up At Box Office? Lots and Lots Of Girls; Studios Aim at Teen-Agers, A Vast, Growing Audience”, New York Times, 23 febbraio 1998.
Videografia

“Alicia Silverstone Tells the Story Behind Her Yellow Plaid Outfit from ‘Clueless'”, Vogue, 27 agosto 2020, https://www.youtube.com/watch?v=0GqdlZyWtrg
“Alicia Silverstone Breaks Down Her Best Looks, from ‘Clueless’ to ‘Batman and Robin'”, Glamour, https://www.youtube.com/watch?v=2-D_wGLO2tQ
“analyzing the outfits in clueless”, ModernGurlz, 2 luglio 2021, https://www.youtube.com/watch?v=-pJy8R5sG_0
