La “cattiva” di Disney Channel viene rivalutata

Nei prodotti mediali degli ultimi anni si è assottigliata sempre di più la linea fra i “buoni” e i “cattivi”, fino al punto in cui viene naturale rivalutare i secondi a discapito dei primi.
È quello che è successo a Sharpay Evans, la villain di High School Musical, negli ultimi anni. Scopriamo come e perché…

Le ragazze cattive degli anni ’00

Viviamo in un’epoca in cui la rivalutazione (in positivo o in negativo) di personaggi e prodotti mediali è all’ordine del giorno.
Uno dei decenni maggiormente colpiti dal fenomeno è quello degli anni ’00, complice l’ascesa di una generazione di giovani donne che sono cresciute in quel decennio, magari ammirando Paris Hilton e Britney Spears, o giocando con le Bratz, senza capire perché il mondo degli adulti sembrasse avercela così tanto con i loro idoli.

Adesso, che le adulte sono loro, sono pronte a rimodellare la narrazione attorno ai personaggi della loro infanzia e adolescenza. Già nella seconda metà degli anni ’10, epoca di #Girlboss (giovani imprenditrici spesso criticate per il fatto di adottare i tratti della mascolinità tossica in ambito lavorativo), Miranda Priestly de Il diavolo veste Prada (2006) aveva cominciato a ricevere difese su più fronti, con frotte di video e articoli che sostengono che il vero villain del film fosse Nate, il fidanzato di Andrea che pretende di essere più importante della carriera di quest’ultima. Poi, fra la fine degli anni ’10 e l’inizio dei ’20, la moda degli anni ’00 torna in auge e il controverso decennio che ne ha fatto da sfondo comincia ad essere oggetto di una conversazione culturale in ottica revisionista. Si mettono in luce i pregiudizi, i doppi standard e la misoginia che hanno colpito diverse celebrità femminili, fra cui appunto Paris Hilton e Britney Spears.

Nel frattempo, la Quarta Ondata femminista comincia ad abbracciare l’iperfemminilità che ha caratterizzato queste celebrità.
E così anche l’archetipo della bimbo, ossia lo stereotipo della bionda stupida e superficiale, attenta solo alla moda e alla bellezza, va incontro non solo a una rivalutazione (che mette in luce come il vero problema non fossero le ragazze, bensì la società), ma anche a una riscrittura, una rivendicazione di quelle stesse caratteristiche in ottica femminista, socialmente responsabile e consapevole. Si veda il fenomeno del #BimboCore su TikTok, capitanato da Chrissy Chlapecka: un esercito di ragazze che, fra trucco e abitini rosa, lanciano messaggi intelligenti su tematiche importanti, di fatto rivoltando lo stereotipo su sé stesso.

In verità, questi non sono concetti nuovi: in Manifesta. Young Women, Feminism, and the Future (2000) Baumgardner & Richards rivendicano il fatto che una donna possa apprezzare il rosa, i trucchi, le Barbie e la moda ed essere comunque femminista, tirando le fila del lipstick feminism e del Girl Power degli anni ’90. Non sorprende, dunque, che l’anno dopo sia uscito La rivincita delle bionde (Legally Blonde, 2001), che non a caso è stato riscoperto e promosso a cult movie femminista (ne ho parlato qui).

La rivincita delle bionde: 10 curiosità sul film - Cinematographe.it

Tuttavia, questo messaggio che non risuonerà altrettanto forte nel resto del decennio, in cui le ragazze iper-femminili verranno sempre più spesso considerate stupide o cattive, complice anche l’ascesa di Paris Hilton.

Il 2001 costituisce infatti un primo spartiacque culturale fra gli anni ’90 e i ’00, con Legally Blonde che si pone esattamente a metà: Elle Woods anticipa per certi versi lo stile McBling (che farà la fortuna di Paris Hilton), e vive in una società che la sminuisce (come accadrà a molte bionde negli anni ’00), ma il film la presenta come un’eroina, mentre il resto del decennio tenderà invece a demonizzare le bionde che vestono di rosa, forse come contraccolpo al Girl Power anni ’90 e primi ’00, o come risposta alla libertà e dunque agli “eccessi” di bionde ‘famose per essere famose’, come appunto Paris Hilton.

Invece Elle Woods è ancora figlia di un ingenuo ottimismo anni ’90, di quel Bill Clinton che solo qualche mese prima aveva terminato il suo mandato, mentre le successive bionde dovranno fare i conti con l’America conservatrice, tossica e misogina di George W. Bush, in un oscuro mondo post-11 settembre.

Sharpay di High School Musical (2006-2008), Burdine di Bratz (serie, 2004) e Meredith di Bratz (film, 2007) sono bionde, ricche, vestono di rosa e amano agghindare i loro cagnolini: le stesse caratteristiche di Elle Woods, ma lei è l’unica ad essere connotata positivamente, fra queste.
Sono anche le stesse caratteristiche di Paris Hilton, non a caso, che negli anni ’00 è stata particolarmente demonizzata dai media: la rappresentazione di queste bionde stupide e/o cattive potrebbe derivare da questo. Il design di Burdine, ad esempio, sembra quasi una caricatura di Paris, con tanto di tiara.

Sharpay di High School Musical

Una delle figure a giovare maggiormente di questo revisionismo pop è Sharpay, villain di High School Musical, che prende lo stereotipo della ‘mean girl‘ vestita di rosa e lo porta all’estremo. Il fatto che sembri diventare buona alla fine di ogni film della trilogia, per poi tornare cattiva all’inizio del successivo, è un delizioso controsenso che non va tuttavia ad intaccare la vera coerenza di Sharpay: a differenza di altre ‘ragazze cattive’ di quel decennio, lei non abbandona mai rosa, strass e paillettes.

C’è anche da dire che, a differenza di quanto vediamo in Mean Girls (2004), la sua iperfemminilità non la pone in cima alla ‘catena alimentare’ della scuola (la sua vanità, ad esempio, è oggetto di scherno da parte dei Wildcast), tanto che la sua trionfale entrata in scena nel terzo film sembra rispecchiare la percezione del pubblico che l’ha amata più che quella dei suoi effettivi compagni di scuola. Nella realtà del film, Sharpay appare più come un’outsider: con i suoi eccessi, trasgredisce alle norme che regolano il microcosmo di cui fa parte. Non può essere buona in quell’universo perché non ne condivide i valori. Il fatto di essere la villain le concede la libertà di trasgredire e per questo viene sempre punita, ma il gioco vale la candela.

Di Sharpay vengono oggi elogiate la sicurezza di sé, l’ambizione e la professionalità (in ottica #Girlboss). In qualità di villain, si contrappone a Gabriella Montez, la “brava ragazza” che nella storia riesce ad ottenere tutto ciò che desidera, dal lieto fine romantico (è di lei che si innamora Troy, che viene “puntato” invano anche da Sharpay) al successo accademico (matematica, scienze, giurisprudenza), facendo faville anche sul palcoscenico, nonostante Sharpay abbia dalla sua una maggiore preparazione ed esperienza.
Fra le due, la serie di film sembra premiare il modello femminile più naturale e spontaneo, meno artefatto: Gabriella presenta sicuramente un abbigliamento più modesto e un look più ‘acqua e sapone’ rispetto a Sharpay. La vediamo alcune volte in rosa, ma più spesso in azzurro e in altri colori tenui, in netto contrasto con l’assordante palette di Sharpay, spesso in (quasi) total pink.

Chi sostiene che Sharpay fosse solo una vittima e che i villain del film fossero Troy e Gabriella è fuori strada: Sharpay si comporta in modo egoista, scorretto e dispotico per quasi tutta la trilogia, non c’è dubbio che sia lei la “cattiva”. Partendo da questo assunto, possiamo tuttavia pensare che il film intenda demonizzare un determinato “eccesso”, sia di femminilità (nel senso più artificiale del termine) che di teatralità (non solo su palco, ma anche nella performance di genere), in linea sia con lo stereotipo della donna iperfemminile (in questo caso cattiva, più che stupida), sia con quello della theater kid o drama queen disposta a tutto per il successo.

«I need a little fabulous, is that so wrong?»

Quel che è certo è che ciò che rende Sharpay così deliziosa è proprio l’eccesso. Un eccesso che appare distintamente camp, aderendo agli elementi individuati da Susan Sontag in Notes on camp (1964), ossia: “artificio, frivolezza, ingenua pretenziosità […] e scioccante eccesso”.

Relive Sharpay Evans's Best Moments from 'High School Musical' | Teen Vogue

Sharpay è quasi una parodia della tipica “cattiva” da teen movie.
Tutto in lei è sopra le righe: le espressioni, i gesti, le battute, le azioni. Tutto in lei è da leggersi attraverso un velo di ironia. A uno sguardo adulto, non è altro che una gustosa caricatura, anche più di certi personaggi Disney animati. Forse è per questo che non riusciamo a fare i conti con il fatto che sia la cattiva del film. La sua non-aderenza alle norme estetico-comportamentali a cui tutti gli altri personaggi sono soggetti diverte sia in senso letterale (fa ridere), sia etimologico: dal latino de-vertere, ossia volgere altrove, deviare dallo standard.

Fin dai suoi primi momenti sullo schermo, Sharpay ci regala una fantasia liberatoria: in un mondo beige, in cui puoi essere femminile (ma non troppo!) e ambiziosa (ma è meglio se al teatro accosti qualcosa di “serio”, come la scienza o la giurisprudenza), lei è rosa shocking. E vuole prendersi tutto il meglio. I want fabulous!

«I want it all!»

I due numeri musicali in cui Sharpay celebra l’opulenza dei suoi desideri coincidono curiosamente con due momenti chiave della crisi economica di fine anni ’00. Nell’agosto 2007, mentre il mercato finanziario USA è nel panico per la crisi dei mutui subprime, Sharpay canta: “I want fabulous / That is my simple request”, “All things fabulous / Bigger and better and best”, “I need a little fabulous / Is that so wrong?” e “I want more!” nel suo brano Fabulous all’interno di High School Musical 2. A ottobre 2008, ormai nel pieno dell’emergenza globale, Sharpay canta “I want it all” e “I want the world, nothing less” nel brano I Want It All da High School Musical 3, in una sequenza in cui lei stessa, accompagnata dal fratello Ryan, si perde in un sogno ad occhi aperti fatto di scenografie grandiose e luci al neon in cui, peraltro, quasi tutti i suoi compagni lavorano in funzione del suo successo (in barba alla disoccupazione!): Monique è una hostess di volo, Kalsey è una taxista, l’odiata Gabriella è la nuova domestica.

Here's What Makes 'I Want It All' One of the Best High School Musical  Numbers in the Franchise
Se facciamo un confronto con Gabriella, che ottiene tutto ciò che vuole (amore e università di prestigio), ma canta (con Troy) “I just wanna be with you” (“Voglio solo stare con te”), sentire Sharpay cantare “I want it all”, ossia “Voglio tutto quanto”, senza vergogna e ipocrisia, è una boccata d’aria fresca. Anche nella coreografia, Sharpay prende spazio…

La sequenza costituisce una fantasia liberatoria e quasi trasgressiva non solo per Sharpay, ma anche per gli statunitensi, in un momento di grave recessione economica.

Se quella proposta da Sharpay poteva sembrare una fantasia irresponsabile e quindi insostenibile ai tempi della crisi del 2008, tanto che la moda degli anni ’10 opterà per il minimalismo, nel periodo post-pandemico è sorta una tendenza contraria: la moda, e in generale la cultura, si immerge nel massimalismo, a partire dai colori brillanti, fra cui il rosa (#Barbiecore).
C’è tanta voglia di osare, divertirsi e vivere al massimo la vita (e la moda), concedendosi anche qualche trasgressione. È l’era perfetta per immergersi senza vergogna nello scintillante mondo di Sharpay, passando da “Less is more” a “A little bit is never enough!“.

Sharpay Evans: Villain or Victim?! | Young Hollywood

Dedicato ai cattivi, che poi così cattivi non sono mai…

Loredana Bertè, Dedicato