“Somewhere, inside all of us, is the power to change the world”.

“Da qualche parte, dentro ognuno di noi, c’è il potere di cambiare il mondo”.

Questa citazione di Roald Dahl, riportata in una delle locandine del film Matilda (1996), trasposizione dell’omonimo romanzo del 1988*, ci riporta alla mente un’altra frase, della nota femminista Gloria Steinem:

«Il femminismo inizia come qualcosa di molto semplice, come l’istinto di una bambina che dice ‘non è giusto’ e ‘non sei il mio capo’ e finisce come una visione del mondo che mette in discussione l’intera gerarchia»**.

Come nei più celebri romanzi di Dahl, Matilda rappresenta il trionfo dei bambini sulle ingiustizie dei grandi, ma in questa storia c’è anche una sfumatura di genere: ad avere il potere di cambiare il mondo è infatti una bambina.

*L’analisi tiene conto dell’edizione originale del romanzo, di cui sono riportati stralci tradotti in italiano dall’autore dell’articolo, con la versione inglese fra parentesi o sotto forma di nota.
Il testo riprende la traduzione italiana di Salani solo ove riportato.
I nomi dei personaggi sono quelli dell’adattamento italiano del film di Danny De Vito del 1996.

** “Feminism starts out as being very simple, it starts out as being the instinct of a little child who says ‘It’s not fair’ and ‘you are not the boss of me’ and it ends up being a world view that questions hierarchy altogether”.

Contro il padre

Matilda viene poco considerata dai suoi genitori – Harry e Zinnia Wormwood – non solo perché è piccola (di statura e di età) e diversa da loro – è intelligente, riflessiva, con un forte senso di giustizia –, ma anche perché è una femmina, tanto che le viene detto che “le bambine sono fatte per essere guardate, non ascoltate”¹.
Matilda risponde a quest’imposizione cominciando a parlare già a un anno e mezzo, tanto che i suoi genitori le danno della “rumorosa chiacchierona” (“noisy chatterbox”), ripetendole costantemente che deve chiudere la bocca. Non sono in grado di accorgersi della grande intelligenza della bambina.

¹”little girls are meant to be seen, not heard”.

Il fratello maggiore Michael le viene preferito in quanto maschio: i genitori lo considerano più intelligente di lei solo in virtù del suo genere, eleggendolo automaticamente a futuro erede del truffaldino impero del padre, che intende modellarlo a sua immagine e somiglianza. Ciononostante appare evidente, per chi legge il libro o guarda il film, che Matilda sia più intelligente di entrambi. Lo vediamo benissimo nel dialogo fra padre e figlio in cui Matilda si intromette per dare la risposta a un complesso calcolo che il primo stava chiedendo al secondo di effettuare in relazione al profitto dell’attività commerciale di famiglia.

Nel romanzo, il padre le dice che “nessuno al mondo potrebbe dare la risposta giusta così velocemente, specialmente una ragazzina!”², incolpandola di aver barato.
Matilda viene ripetutamente umiliata dal padre perché più intelligente non solo del fratello, ma anche di lui stesso: “Come osava fare qualcosa che lui non riusciva a fare?”³, evidenzia Dahl. Nel film, la bambina chiede al padre se davvero intende punirla “per il fatto di essere intelligente” (“punished for being smart?”).

²”No one in the world could give the right answer just like that, especially a girl!”

³ “how dare she does something he couldnt do”

Il punto di non ritorno viene raggiunto quando il padre di Matilda distrugge le pagine di un libro che la bambina aveva preso in prestito in biblioteca.
Possiamo tracciare un parallelo con la scena in cui Tritone distrugge la collezione di Ariel ne La Sirenetta (1989), anche se ovviamente quest’ultimo pensa di farlo a fin di bene.

Come scrive Dahl, Matilda “non sopportava il fatto che le venisse costantemente detto che era ignorante e stupida quando sapeva di non esserlo. La rabbia dentro di lei cominciò a ribollire”⁴. La risposta di Matilda non tarda ad arrivare: capisce che è lecito “punire” i suoi genitori quando questi non si comportano bene con lei. Matilda è consapevole del suo valore e dell’ingiustizia perpetuata nei suoi confronti, quindi si ribella utilizzando l’unica arma che possiede, l’intelligenza. “Essendo molto piccola [di statura] e molto giovane, l’unico potere che Matilda aveva su chiunque nella sua famiglia era quello del cervello”⁵, spiega Dahl.

She resented being told constantly that she was ignorant and stupid when she knew she wasn’t. The anger inside her went on boiling and boiling”

⁵”Being very small and very young, the only power Matilda had over anyone in her family was brain-power”

Il potere dell’intelletto si rivela efficace anche laddove la giovane età e il fisico minuto di Matilda potrebbero ostacolarla. La sua forza di volontà è fondamentale, come evidenziato fin dalle prime scene in biblioteca, quando dice alla bibliotecaria che può cavarsela da sola nel cercare i libri e nel leggerli, anche quando questi sono fisicamente più grandi di lei e rivolti a una fascia d’età ben più elevata.

Matilda presenta una forza che prescinde dal suo aspetto fisico.
È il trionfo dell’interiorità sull’esteriorità, con l’intelligenza che vince sull’apparenza.

Riprendendo in mano la lente del genere, non dovrebbe sorprenderci il fatto che la prima ribellione di Matilda sia quella contro il padre, più volte descritto come il “capofamiglia”, in linea con la lotta femminista al patriarcato che opprime le donne fin dall’infanzia.
Matilda architetta piccole punizioni per il signor Wormwood attaccandolo su ciò che più lo preoccupa, ossia l’apparenza. Notiamo infatti come i genitori di Matilda, per quanto siano descritti come esteticamente repellenti, risultino votati all’esteriorità, a testimonianza della loro superficialità. Allo stesso modo, le auto che il padre rivende sembrano nuove e scattanti, ma si rivelano essere una fregatura.
Al contrario, l’intera esistenza di Matilda contraddice ogni apparenza: sembra una bambina come tante, ma non lo è; sembra piccola e indifesa, ma possiede una forza più “grande” di lei.

Il fatto che Matilda sia “piccola” di età e di statura viene spesso rimarcato in modo negativo da suo padre, che nel romanzo la chiama “ignorant little twit” (“ignorante piccola scema”) e nel film le dice “I’m big, you’re little” (“Io sono grande, tu sei piccola”) per ribadire la sua presunta superiorità.

Fra i vari dispetti con cui Matilda punisce il patriarca, citiamo il momento in cui la bambina mescola la tinta bionda della madre con la brillantina del padre: quest’ultimo si ritroverà ad avere i capelli di un colore platino/argento sporco. La scena, soprattutto nel romanzo, sembra volta a de-mascolinizzare la sua figura, tanto che più volte il suo aspetto viene associato a quello della moglie (“I just look like you gone wrong”), ridicolizzando e sminuendo il suo ruolo di capofamiglia al punto che perfino la signora Wormwood si prende gioco di lui, in un inedito momento di complicità con la figlia: “Gli uomini non sono sempre così intelligenti come credono⁶”. Anche qui, come ne La rivincita delle bionde (2001), viene valorizzata l’importanza di un sapere stereotipicamente femminile, legato alla cura dei capelli, nel momento in cui la moglie si scaglia contro quella che percepisce come un’incompetenza da parte del marito, colpevole (ai suoi occhi) di essersi conciato in quella maniera.

⁶ “Men are not always quite as clever as they think they are”.

Il padre si ritrova inoltre a dover ascoltare il consiglio di Matilda per rimediare alla tinta: oltre al danno, anche la beffa. Evidenziamo il fatto che egli fosse convinto che “avere capelli buoni e forti significa avere un cervello buono e forte lì sotto”⁷: ancora una volta viene messa in luce la fallacia del giudizio basato sull’esteriorità che accompagna l’illusorio autocompiacimento del signor Wormwood, convinto della propria intelligenza.

⁷ “Good strong hair […] means there’s a good strong brain underneath”.

L’intelligenza di Matilda si trasforma gradualmente in un vero e proprio potere che prende vita dalla rabbia legata alle ingiustizie perpetuate non più solo da suo padre, ma anche dalla sua preside, la signorina Trinciabue. Non a caso, il romanzo utilizza il verbo “to boil”, “ribollire”, sia in relazione al cervello di Matilda, sia in riferimento alla sua rabbia, quello stesso sentimento che – come sostiene Gloria Steinem – sta alla base della lotta femminista, ossia “l’istinto di una bambina che dice ‘non è giusto’ e ‘non sei il mio capo’”.
Ancora una volta l’apparenza gioca brutti scherzi, dato che il potere di Matilda – in grado di spostare gli oggetti senza toccarli – si manifesta attraverso il suo pensiero, mentre il suo corpo può rimanere fermo o compiere altre attività. Matilda viene inoltre descritta come una ragazzina come tante. Una bambina che, all’apparenza, esegue gli ordini di genitori, maestra, preside: “A livello di pura intelligenza li superava tutti, ma restava il fatto che una cinquenne all’interno di qualunque famiglia era sempre obbligata a fare come le veniva detto”⁸, scrive Dahl, per cui Matilda fa buon viso a cattivo gioco, un po’ come Samantha in Vita da Strega.
All’esterno sembra una brava bambina, dolce, pacata e modesta, mentre all’interno ribolle di rabbia e ha sete di vendetta.

⁸ “For sheer cleverness she could run things around them all. But the fact remained that any five-year-old girl in any family was always obliged to do as she was told”.

Contro lo stereotipo

Come scrive Kristen Guest, diverse ricerche mostrano come le bambine dai 5 ai 7 anni siano restie a collocarsi autonomamente all’interno di ruoli di genere rigidamente divisi e normati.
Infatti, notiamo come le principali compagne di scuola di Matilda non aderiscano necessariamente a una visione tradizionale e stereotipata di femminilità, con l’eccezione forse di Amanda Thripp, la bambina con le treccine che viene lanciata in aria dalla Trinciabue, configurandosi come una “damigella in pericolo” che riuscirà comunque a gestire il pericolo a modo suo. Sono altre, tuttavia, le figure ad essere connotate in modo eroico, prima fra tutte Hortensia, la studentessa di quinta elementare che Matilda incontra al suo primo giorno di scuola, che racconta di aver affrontato molte delle angherie della signorina Trinciabue, fra cui la permanenza nello strozzatoio, uscendone indenne: agli occhi di Matilda appare come un’eroina. Poi c’è Violetta (Lavender), che “desiderava compiere un atto davvero eroico” (“longed to do something truly heroic”), seguendo l’esempio di Hortensia e della stessa Matilda.

Tuttavia, come scrive Guest, più le bambine si avvicinano all’adolescenza e più questa capacità di resistenza ai ruoli di genere comincia a erodersi.
Non a caso, tutti i personaggi femminili adulti del romanzo e del film risultano – chi più, chi meno – prigionieri di schemi prestabiliti in relazione alla loro performance di genere. Questo non significa, però, che rappresentino tutti lo stesso modello di femminilità, anzi: tutt’altro!

Se prendiamo in considerazione la signora Wormwood e la Trinciabue, abbiamo davanti due modelli negativi, ma ben diversi fra loro.
Da un lato c’è la caricatura della casalinga americana (la mamma di Matilda), dall’altro quella della donna che detiene il potere sul posto del lavoro, mascolinizzata e demonizzata (la preside). Guest scrive che “sia la mostruosa Trinciabue […], sia la narcisistica signora Wormwood […] indicano gli effetti sfiguranti dei copioni di genere disponibili per le donne verso la fine del XX secolo”.
Nella ricerca di un modello femminile a cui potersi ispirare, Matilda esclude i due estremi citati, optando per la giusta via di mezzo: la signorina Honey, donna di cultura e di spirito che lavora, ma non ha perso il senso materno, la dolcezza e la delicatezza tipiche della femminilità tradizionale. Si può dire che sia la madre di Matilda che la Trinciabiue abbiano interiorizzato il patriarcato: la prima è contenta di farsi mantenere dal proprio marito; la seconda – desiderosa di farsi strada in un mondo di uomini – incarna i tratti più tossici della mascolinità: non a caso, è il personaggio più simile al padre di Matilda, configurandosi di fatto come l’antagonista della seconda parte della storia, così come il signor Wormwood lo era stato della prima.

La signora Wormwood

Zinnia Wormwood, ossia la madre di Matilda, incarna l’immagine della casalinga frivola e superficiale contro cui il femminismo di Seconda Ondata, quello degli anni ’60 e ’70, si era tanto scagliato. Non a caso, l’unico libro che la piccola Matilda trova in casa è “Easy Cooking”, un ricettario semplice per casalinghe sfaticate. Sì, perché se da un lato la signora Worwmood decanta i benefici dell’avere un marito che porta i soldi in casa, dall’altro rifiuta gli oneri della casalinga ideale visto che non ama cucinare, fare i lavori domestici e badare ai figli, tutte attività a cui preferisce il bingo.

Beverley Pennell sostiene che questo personaggio costituisca l’antitesi dell’ideale della madre come figura altruista, generosa e saggia oltre che ‘schiava’ domestica e nutrice onnipresente, visto che Zinnia si assenta cinque pomeriggi a settimana per giocare, appunto, al bingo.

L’ossessione della signora Wormwood per la bellezza femminile riflette un più ampio fenomeno sociale trattato da Naomi Wolf in The Beauty Myth (1990), uscito un paio d’anni dopo il romanzo di Matilda.

Riprendendo il discorso fatto per il marito, ritroviamo anche in lei l’ossessione per l’apparenza, che diventerà paradossale quando, nel confronto con la signorina Honey, dirà: “Lei ha scelto i libri, io la bellezza” (“You chose books, I chose looks”).
Il discorso sfocia in una svalutazione dell’istruzione femminile in favore della bellezza, presentata come necessaria per ottenere un marito, visto come il principale obiettivo nella vita di una donna: “Una ragazza dovrebbe pensare a farsi bella in modo da poter poi trovare un buon marito. L’aspetto fisico è più importante dei libri […]. Ora guardi me e poi si guardi. […] Io sono qui che mi godo la vita, in una bella casa, con un uomo d’affari di successo, mentre Lei è confinata lì a fare la schiava, insegnando l’ABC ad una massa di bambini disgustosi”⁹.

⁹ “A girl should think about making herself look attractive so she can get a good husband later on. Looks is more important than books […] I’m sitting pretty in a nice house with a successful businessman and you’re left slaving away teaching a lot of nasty little children the ABC”.

“Una donna non conquista un uomo con il cervello” (“A girl doesn’t get a man by being brainy”), ripete, indicando la ragazza avvinghiata ad un attore attempato nella soap opera in onda in quel momento: “Non penserà che lo abbia conquistato a furia di moltiplicazioni, no? E adesso lui la sposerà, ci scommetto, e lei vivrà in una casa magnifica con tanto di maggiordomo e cameriere” (traduzione di Salani).

La signorina Trinciabue

La figura di Agatha Trinciabue, la preside della scuola di Matilda, può invece essere letta come una manifestazione dell’ansia sociale legata all’entrata in massa delle donne anglosassoni sul mondo del lavoro, anche in posizioni di potere, nel corso degli anni ’80. Matilda è uscito nel 1988 e nella caratterizzazione dei suoi personaggi femminili è possibile individuare le prime avvisaglie di quel neo-conservatorismo che aveva colpito anche le donne americane, contrapponendo le mamme lavoratrici alle “buone madri” che stavano a casa. Agli occhi dei conservatori, i valori tradizionali erano minacciati dalle ambizioni extra-domestiche delle donne, quindi torna l’enfasi sulla maternità come principale fonte di realizzazione femminile, nella convinzione che essere una buona madre sia incompatibile con il raggiungimento di modelli “maschili” di successo, come quello professionale. Le donne in carriera sono viste come le prime nemiche della famiglia tradizionale: Shari Turer le definisce “avide, ambiziose rompipalle che nessuno vorrebbe come madri” (“greedy, ambitious, ball-busters, whom no one would want as mothers”).

In Inghilterra, patria di Roald Dahl e nazione in cui è ambientato il romanzo di Matilda, tali conflitti tra la politica di destra, i cambiamenti demografici e le nuove possibilità legate all’occupazione femminile si materializzano in un’unica figura: Margaret Thatcher. L’elezione di Thatcher a Prima Ministra della Gran Bretagna ha costituito un eclatante promemoria delle nuove possibilità aperte alle donne nella sfera pubblica. Tuttavia, in qualità di sostenitrice del conservatorismo estremo di stampo neo-vittoriano, la Thatcher giocava un ruolo da antagonista in relazione alle libertà conquistate a fatica dalle femministe e messe a disposizione di tutte le donne anglosassoni negli anni ’80.

Nella moda degli anni ’80, le spalline larghe permettono alle donne di acquisire un’apparenza fisica più vicina a quella di un uomo, assecondando il loro desiderio di rivalsa sul posto di lavoro (e non solo). Curiosamente, la Trinciabue non ha bisogno delle spalline perché ci viene subito presentata come una persona robusta, forse proprio per enfatizzare la visione secondo cui la donna in carriera è una donna “mascolinizzata” rispetto a quella che invece rimane a casa a badare ai figli.

In qualità di “Lady di ferro”, la Thatcher era associata a una determinazione d’acciaio e a una scarsa attenzione verso i membri più vulnerabili della società: bambini, anziani e poveri. Quest’ultimo tratto, in particolare, contrastava con le nozioni di femminilità legate al concetto di cura e protezione materna. Sulla stampa, ad esempio, fu derisa per aver tagliato il latte sovvenzionato dallo stato nelle scuole e poi condannata per i suoi fallimenti personali di madre poco presente.

La caratterizzazione di Agatha Trinciabue, creata al culmine dell’era Thatcher, aderisce alla personalità “combattente, polemica, abrasiva e dispotica” (Rasmussen cit. in Guest) della Prima Ministra. Come la Thatcher, inoltre, la Trinciabue dimostra un’inclinazione al bullismo che le consente di prendere il potere approfittando dei momenti di debolezza del suo “popolo”, e di mantenerlo nonostante una quasi universale impopolarità.

Secondo diverse interpretazioni, queste due figure appaiono demonizzate anche in virtù di quei tratti maschili a cui le donne in carriera – e in particolare le donne di potere – sembravano andare inevitabilmente incontro, agli occhi dei conservatori.

Nel caso della Trinciabue parliamo di una donna che non solo detiene il potere e la forza fisica solitamente riservata agli uomini (eccellendo in discipline come il lancio del peso e del giavellotto), ma che risulta mascolina anche nell’aspetto e nel modo di fare. E che ovviamente rifiuta la maternità, fino al punto di provare apertamente disgusto per i bambini.

Tuttavia, pensiamo che l’intento di Roald Dahl non fosse necessariamente quello di demonizzare le donne che divergono dalle norme di genere, né tantomeno quelle che ottengono posizioni di potere, ma piuttosto di criticare quel tipo di donna che – come la Thatcher – incarna i tratti più negativi della mascolinità, reiterando una visione patriarcale del potere, basata su prepotenza, ingiustizia e discriminazione dell’altrui femminilità.
Infatti, pur partendo dall’assunto che la Trinciabue odia tutti i bambini a prescindere dal genere, sia il libro che il film sembrano suggerirci che il suo disgusto sia più marcato per le bambine. A qualche secondo dalla sua comparsa nel film la sentiamo dire, in sottofondo, “Cambia quelle calze, sono troppo rosa”, rivolgendosi presumibilmente a una bambina in mezzo alla folla, per poi scagliarsi contro le treccine della già citata Amanda Thripp, la bambina che vanta l’aspetto e il temperamento più stereotipicamente femminile fra le compagne di classe di Matilda.
Infine, la Trinciabue si scaglia con disgusto anche contro il nastro per capelli di Matilda, scimmiottando una vocina femminile per prendersi gioco delle bambine presenti prima di gettarlo a terra e sputarci sopra.

«Nasty dirty things, little girls are. Glad I never was one».

«Che cosette sporche e disgustose che sono, le bambine. Per fortuna io non sono mai stata una di loro». – Agatha Trinciabue in Matilda (1988)

La signorina Honey

La caratterizzazione di Jennifer Honey, la maestra di Matilda, è a metà strada fra una visione tradizionale e una rilettura progressista dell’immagine della donna.
Lei è colta, single e indipendente, ma conserva i tratti dell’amorevole madre di famiglia, mostrando di possedere una predisposizione alla cura dei bambini che manca alla madre di Matilda.
In fondo il lavoro della maestra, come spiegato nell’analisi su Barbie, era già da tempo socialmente accettato come impiego per le donne non-sposate in quanto – come nel caso dell’infermiera, dell’hostess o della segretaria – aveva a che fare con mansioni legate all’accudimento e dunque associabili alla maternità.
Se la signorina Trinciabue poteva incarnare il caso estremo della donna che, acquisendo potere sul mondo del lavoro, assume i tratti più negativi della mascolinità, la signorina Honey lavora e acquisisce potere (nel film diventa anche preside) senza perdere la sua femminilità, o più in generale la sua umanità, costituendo un modello di riferimento per Matilda proprio grazie al fatto di offrire una virtuosa “via di mezzo” fra la madre opprimente (e oppressa) e l’algida donna in carriera.

Un personaggio simile a Jennifer Honey è la signora Phelps, che appare nella prima parte della storia: si tratta della bibliotecaria che incoraggia la passione di Matilda per la lettura. Anche qui abbiamo una figura che incarna le virtù femminili legate all’accudimento, ma ricollocandole al di fuori dell’ambiente domestico.

Come riassume Beverley Pennell, figure femminili come Honey e Phelps “danno valore all’educazione, sono impiegate nella sfera pubblica e quindi economicamente indipendenti, e aiutano altre ragazze e donne a essere similmente emancipate”.

Riscrivere la storia

La signorina Honey costituisce per Matilda molto più che un semplice modello di ispirazione, tanto che possiamo arrivare a definirle l’una il doppio dell’altra: entrambe intelligenti, colte, maltrattate, con una grande forza interiore.
La loro gemellanza si arricchisce di un ulteriore tassello se consideriamo le loro storie con la lente della fiaba: è come se fossero due Cenerentola che si salvano a vicenda. Fra le due, Miss Honey è sicuramente la più vicina a questa figura, prendendo in considerazione la versione disneyana: il padre è morto, lasciando in eredità la sua ricca dimora alla sorella (Agatha Trinchiabue), che si comporta con Jennifer come farebbe una matrigna.

Matilda confida nella sua speranza e nella sua immaginazione, nutrita dai romanzi che legge, per sopportare i maltrattamenti della sua famiglia, ma la sua reazione è diversa da quella di Cenerentola e della stessa Miss Honey, dato che risponde alle ingiustizie con tanti piccoli dispetti.

La signorina Honey invece ha più difficoltà a reagire, ma raccoglie tutto il suo coraggio e abbandona la casa del padre, ormai sotto il dominio della Trinciabue, per rifugiarsi in una casetta nel bosco che ricorda un po’ quella in cui si rifugiano Flora, Fauna e Serenella con la piccola Aurora nel Classico Disney La bella addormentata nel bosco (1959), sempre a proposito di fiabe.

Nella prima parte del film, la voce narrante ci informa che Matilda si era convinta che le persone “gentili e coraggiose” esistessero solo nei libri di fiabe, come le principesse: curiosamente, la signorina Honey presenterà molti tratti in comune con questo tipo di figure.

Il contrasto, fisico e caratteriale, fra la signorina Honey e la Trinciabue, può ricordare non a caso quello fra la candida principessa e la Regina Cattiva/Matrigna di Classici Disney come Biancaneve e i sette nani (1937) e Cenerentola (1950), o quello fra Alice e la Regina di Cuori in Alice nel paese delle meraviglie (1951). Da un lato l’eterea delicatezza della maestra – “Il suo corpo era così snello e fragile che si aveva l’impressione che se fosse caduta per terra si sarebbe frantumata in mille pezzi, come una statuina di porcellana”¹, dall’altro l’intimidatoria robustezza della preside – “un feroce mostro tirannico che spaventava a morte alunni e insegnanti allo stesso modo. C’era un’aura minacciosa intorno a lei perfino a distanza, e quando si avvicinava potevi quasi sentire il calore pericoloso che si irradiava da lei come fosse una barra di metallo rovente”¹¹.

¹ “her body was so slim and fragile one got the feeling that if she fell over she would smash into a thousand pieces, like a porcelain figure”.

¹¹ “a fierce tyrannical monster who frightened the life out of the pupils and teachers alike. There was an aura of menace about her even at a distance, and when she came up close you could almost feel the dangerous heat radiating from her as a red-hot rod of metal”.

Kristen Guest associa lo strozzatoio della Trinciabue ad uno strumento di tortura come la medievale Vergine di Norimberga (o Vergine di Ferro), una “versione più violenta” della bara di cristallo di Biancaneve.

Tuttavia, come per Matilda, anche per la signorina Honey l’apparenza inganna. Nel suo delicato involucro si cela una profonda intelligenza e una grande forza interiore. La giovane e gracile maestra riesce infatti ad affrontare i genitori di Matilda a testa alta, capendo perfettamente con chi si trova a che fare (e quindi rinunciando alla missione), mentre la Trinciabue viene “fregata” dal signor Wormwood, che riesce a venderle una delle sue auto truccate.

“La signorina Dolcemiele (Honey, ndr) cominciava a perdere la pazienza.
— Signor Dalverme (Wormwood, ndr), se per lei una qualunque trasmissione televisiva è più importante dell’avvenire di sua figlia, non è degno di essere padre! Le consiglio di spegnere immediatamente il televisore e di ascoltarmi!
Il suo atteggiamento colpì il signor Dalverme, che non era abituato a essere trattato in questo modo.
Squadrò con maggiore attenzione quella donnina esile che se ne stava ritta sulla soglia con aria decisa.
— E va bene — disse in tono aspro. — Entri e cerchiamo di sbrigarci. — La signorina Dolcemiele entrò con passo sicuro”.
– Traduzione di Salani.

Come spesso accade nelle fiabe che hanno a che fare con una principessa, anche qui c’è un salvataggio: le due Cenerentola si salvano a vicenda dalle rispettive prigionie. Tuttavia, è la bambina a prodigarsi più della maestra. Nel film risulta emblematica la scena in cui Matilda utilizza i suoi poteri per “liberare” la bambola d’infanzia della signorina Honey dalla casa della Trinciabue: un salvataggio che riprende metaforicamente la fuga della maestra dalla casa della zia, rendendola definitiva non solo a livello fisico, ma anche psicologico, con l’adulta che riesce a emanciparsi completamente dalla propria aguzzina, avendo riottenuto tutto ciò che è suo di diritto, dalla bambola all’intera casa.

Non a caso, nell’ultima scena del film, il lieto fine è sancito dalla presenza sullo stesso letto della bambola di Matilda e di quella della signorina Honey, che sono a loro volta il doppio delle rispettive proprietarie.

Se davvero è Matilda a orchestrare entrambi i salvataggi, quello della signorina Honey e il proprio (dopotutto è lei a suggerire alla maestra di adottarla), allora possiamo chiederci: cos’ha questa bambina in più della sua controparte adulta, considerato che sono entrambe intelligenti, forti e colte? La storia ci suggerisce che il vantaggio di Matilda stia nel fatto di essere ancora una bambina, ossia di essere in quel periodo della vita in cui qualunque cosa sembra possibile. “Tutto il coraggio che avevo mi è stato tolto di dosso quando ero piccola”¹², confessa la maestra nel libro. Nel film dice (rivolta a Matilda): “È bello che tu ti senta così potente. C’è gente che si sente del tutto inerme”¹³, riferendosi implicitamente a sé stessa.
Il potere dell’infanzia che prevale sulle problematiche dell’età adulta, tema centrale della poetica di Roald Dahl, risplende qui in tutto il suo fulgore.

¹² “any courage I had was knocked out of me when I was young”.

¹³ “It’s wonderful you feel so powerful. Many people don’t feel powerful at all”.

In chiusura, è interessante notare come il ruolo che la signorina Honey ricopre per Matilda non sia quello di una madre tradizionale. Nelle scene finali del film vediamo che si divertono insieme come se fossero due bambine. Matilda permette alla signorina Honey di recuperare una parte della sua infanzia allo stesso modo in cui la signorina Honey permette a Matilda di sentirsi ascoltata, rispettata e considerata al pari di un’adulta, alla luce delle sue doti intellettive. Quello che si instaura fra le due è un rapporto più paritario di quello che tipicamente intercorre fra madre e figlia.

Fin dalle sue prime battute, in fondo, Matilda attacca l’ideale della famiglia eteronormativa, nucleare e “di sangue” in favore di una chosen family, ossia del concetto che si possa ‘scegliere’ la propria famiglia trovando persone affini a sé, al di là degli effettivi legami parentali. Un messaggio che risulta sovversivo nel contesto anglosassone della fine degli anni ’80, in cui i valori legati alla famiglia tradizionale stavano riemergendo in risposta alle vittorie del movimento femminista nei decenni precedenti.
La storia attacca l’ideale della tipica famiglia americana che vive nei sobborghi (“Vivevano in un quartiere molto bello, in una casa molto bella… ma non erano persone molto belle” (Matilda, 1996)), forse anche la spregiudicatezza economica degli anni di Reagan, in cui ogni mezzo era lecito per raggiungere il successo (“Nessuno si è mai arricchito con l’onestà”, dice il padre di Matilda nel film).

Il fatto che i genitori naturali di Matilda vengano dipinti negativamente appare in controtendenza rispetto a molte altre storie per bambini, in cui – fin dai tempi della Biancaneve dei fratelli Grimm – alle madri cattive venivano sostituite le matrigne, in modo da preservare la natura legittima del rapporto di sangue.
Anche nel caso della signorina Honey, la “matrigna” è in realtà una zia, quindi una consanguinea.

Ribadiamo come la signorina Honey presenti una caratterizzazione che aderisce almeno in parte all’ideale della donna come “angelo del focolare” che si occupa della cura dei figli all’interno della famiglia, ma la famiglia che forma con Matilda non è certo tipica.
Deborah Chambers (cit. in Pennell) scrive che, all’epoca dell’uscita del romanzo, le politiche pubbliche continuavano a “sostenere l’ideale dell’uomo come capofamiglia e a patologizzare le madri senza un partner maschio [quelle che, quindi, avevano un lavoro] e anche altri tipi di disposizioni di vita […] non conformi all’ideale nucleare”.

La famiglia composta da Miss Honey e Matilda cela quindi una componente sovversiva che sfida la concezione stessa di “famiglia tradizionale”.
Per legittimare questo nucleo famigliare non c’è bisogno del padre-patriarca che porta il pane in tavola, a differenza di quanto sosteneva la madre di Matilda. La figura del padre non viene condannata a prescindere, tanto che nella famiglia d’origine di Jennifer Honey era lui la figura positiva, in contrapposizione con la sorella-zia (Trinciabue), ma in questa nuova famiglia è una donna a lavorare, spronando la figlia a studiare a sua volta per trovare il suo posto nel mondo.

I know you are only a tiny little girl, but there is some kind of magic in you somewhere. I’ve seen it with my own eyes.

“So che sei solo una piccola bambina, ma c’è una sorta di magia da qualche parte in te. L’ho vista con i miei occhi” – Miss Honey in Matilda (1988)

La signorina Honey ha sempre riconosciuto e incoraggiato l’intelligenza di Matilda e quindi il suo potere. Una magia che deriva anche da quei luoghi fantastici in cui i libri la portavano, ispirandola a immaginare una realtà migliore, fino a renderla possibile. È questa l’arma segreta di Matilda e di tutte le bambine che, libere dalle limitazioni imposte alle donne adulte, hanno in mano il potere di cambiare il mondo, riscrivendo la storia.

Una storia iniziata tanto male non poteva finire meglio di così.

Matilda (1996)

Bibliografia

Anggraeni, Erisa. Patriarchal Practices and Resistance in Roald Dahl’s Matilda, 2016.

Guest, Kristen. The Good, the Bad, and the Ugly: Resistance and Complicity in Matilda, 2008.

Mulders, Marike. The Presentation of Female Gender in Roald Dahl’s Charlie and the Chocolate Factory, The Witches and Matilda, 2016.

Pennell, Beverley. ‘When one is with her it is impossible to be bored’: An Examination of Roald Dahl’s Contribution to a Feminist Project in Children’s Literature, 2012.

La citazione di Gloria Steinem è tratta dal documentario
Gloria: In Her Own Words (2011).

Il romanzo Matilda (1988) di Roald Dahl è pubblicato in Italia da Salani Editore con il titolo Matilde, prima edizione: 1989.
Il film Matilda (1996), rilasciato in Italia nel 1997 con il titolo Matilda 6 mitica, è disponibile su Netflix.

– You do believe me, don’t you? 
– Oh, I believe that you should believe in whatever power you think you have inside of you.

“Mi credi, non è vero?”
“Oh, io credo che tu debba credere in qualunque potere credi di avere dentro di te”.
– Dialogo fra Matilda e Miss Honey in Matilda (1996)