La Melevisione è un programma per bambini trasmesso in prima visione sulla Rai dal 1999 al 2015.

Nasce come contenitore di cartoni animati, ma la sua forza sono fin da subito le sequenze girate in live action con attori che interpretano personaggi da fiaba (folletti, gnomi, fate, streghe, principesse…) in storie divertenti e piene di magia che trasmettono valori importanti ai piccoli spettatori.

Alcuni episodi hanno trattato temi di rilevanza sociale con un linguaggio accessibile ai più piccoli: è il caso de Il segreto di Fata Lina, andato in onda per la prima volta mercoledì 16 aprile 2003 su Rai 3.

L’episodio in questione parla di molestie sessuali in modo semplice e chiaro. Ancora oggi colpisce la precisione e la delicatezza con cui vengono illustrate le sensazioni di chi subisce un abuso: senza indorare la pillola, ma senza traumatizzare il giovane pubblico.

Fin dall’inizio dell’episodio, vediamo che Fata Lina appare profondamente turbata. Apprendiamo che intende fare un baratto con la terribile Strega Salamandra: vuole dare la sua voce in cambio del potere di incenerire. Eppure, la stessa strega capisce che c’è qualcosa che non va e appare esitante, per poi dichiararsi felice di non aver acconsentito, dopo che la trattativa viene interrotta da Lupo Lucio.

Qui notiamo due cose:

1. Fata Lina vuole il potere di incenerire per vendicarsi del suo molestatore, o vuole quel potere per far sì che nessuno possa più abusare di lei? Non ci viene chiarito il motivo, ma entrambe le prospettive mettono in luce la sua disperazione e il fatto che in quel momento si senta impotente, indifesa.

2. Pur non comprendendo la situazione, Strega Salamandra appare quasi preoccupata, forse solidale: per un attimo sveste i panni della “cattiva” in un importante momento di quasi-sorellanza, considerando che si tratta dell’unica altra figura femminile presente in quest’episodio.

In seguito, Fata Lina si consulta con il pozzo magico, mentre le conseguenze emotive della sua traumatica esperienza cominciano a farsi sempre più evidenti.

«Perché ho tanta paura a parlare? […] Ho forse qualche colpa? […] Come faccio a liberare la mia pena? Come faccio a raccontare?».

Notiamo sensazioni comuni a molte fra le persone che subiscono un abuso: il fatto di avere paura di parlare, di provare vergogna (come la fata ammetterà più tardi) e di sentirsi in colpa (è solo su quest’ultimo punto che il pozzo le dà una risposta chiara: non ha alcuna colpa).

Frustrata dal mancato consulto, Fata Lina viene trovata dal folletto Tonio Cartonio che – preoccupato per lei – la stava cercando ovunque. Insieme si recano al Chiosco dove Tonio lavora: sul bancone vediamo che il folletto ha realizzato un ritratto della fata. Mentre lui prepara le bibite, lei prende il foglio e comincia a disegnarci sopra con un pennarello nero…

«La povera Fata Lina…».
Con un tono di voce allarmante, la fata esprime pena per sé stessa in terza persona, come a volersi estraniare da sé, mentre disegna due mani grosse, minacciose e invadenti a sovrastare il suo corpo nel ritratto di Tonio.

L’espediente del disegno non è solo un modo efficace per comunicare ai bambini il disagio provato dalla fata, ma rimanda anche alle dinamiche con cui gli stessi bambini esprimono le loro emozioni negative. Psicologi e psichiatri ricorrono spesso alla decodifica dei disegni per individuare un disagio nei pazienti più giovani.

È a questo punto che l’amico folletto, con l’ausilio di una filastrocca, spiega a Fata Lina l’importanza di parlare del problema. Tonio parla del trauma come di una “cicatrice” che non scompare mai davvero, ma con cui si può convivere esprimendo il proprio disagio e cercando aiuto. Il primo passo è quello di superare l’opprimente vergogna e parlarne con una persona fidata.

Del racconto di Fata Lina sentiamo solo l’incipit: «All’inizio lui scherzava…».
È una dinamica che caratterizza molti episodi di violenza: spesso il molestatore chiama “scherzo” il proprio abuso, sminuendo la reazione della vittima. Nel monologo finale, Tonio evidenzia un’altra dinamica comune, quella che vede il molestatore come una persona di cui la vittima credeva di potersi fidare, e che in questo caso (come in altri) le ordina di non dire a nessuno ciò che è successo, minacciandola. Notiamo inoltre che l’uomo che ha molestato Fata Lina ricopre un’alta carica: è il capitano delle guardie di Re Quercia. Questo evidenzia come lo stupro sia legato a dinamiche di potere su diversi livelli. Il dislivello che già esiste fra uomini e donne nella società patriarcale cresce ulteriormente quando l’uomo ricopre un ruolo di prestigio e quindi si sente “intoccabile”, minaccia la vittima per non farla parlare, la manipola o la ricatta, trasformando la violenza in merce di scambio. Un’ulteriore nota amara: si tratta di un esponente delle forze dell’ordine.

«Non è facile da raccontare… anzi, no, è proprio difficile».

Sul finale, Tonio riconosce la difficoltà insita nel parlare di abusi, evidenziando comunque la necessità di farlo, e con chiarezza. Così parla di “attenzioni sbagliate” e specifica che «lì per lì Fata Lina non ha capito» (quante volte ci si rende conto solo dopo di aver ricevuto una molestia? Quante volte si cade in uno stato di semi-incoscienza, nel mentre?). Mentre la vittima soffriva per l’abuso, «la paura e la vergogna le toglievano la parola di bocca» (infatti si sentiva così impotente da pensare che valesse la pena di liberarsi della voce). «Fata Lina è riuscita a scappare in tempo, ma il disgusto è stato grande, e tanta la paura, e lo smarrimento»: così Tonio sfata il mito secondo cui si possa parlare di violenza solo di fronte a un effettivo stupro. Infine, l’ultimo passo – denunciare il fatto a Re Quercia -, accompagnato dalla consapevolezza che le apparenze ingannano, e la violenza si può trovare ovunque, anche dove non ce lo si aspetta, e va estirpata: «Può capitare che anche in un bel castello ci sia qualcuno da cacciare via».

Clicca qui per vedere il video.