Ice Princess (2005) è perfettamente riconducibile al filone di film sulle principesse teenager degli anni 2000 (di cui ho scritto qui), sebbene la parola “princess“, nel titolo, non si riferisca a un’effettiva principessa (reale o metaforica), come avviene in Pretty Princess (2001) o Cinderella Story (2004), ma a una “principessa del ghiaccio”, intesa come campionessa di pattinaggio sul ghiaccio. A parte questo, la tematica centrale è la medesima: il dissidio che una ragazza prova fra due identità – all’apparenza contrapposte – che riesce infine a conciliare all’interno di sé. Le giovani protagoniste di questi film devono trovare la propria identità (post-femminista) all’interno del complesso rapporto fra il femminismo e la femminilità tradizionale. In questi film, il pre-femminismo è rappresentato dalle nonne (come Clarisse in Pretty Princess), il femminismo è rappresentato dalle madri e l’anti-femminismo dalle “matrigne” (come Fiona di Cinderella Story): è attraverso il confronto con queste diverse generazioni di donne che le principesse degli anni ’00 capiscono chi sono, trovando il proprio posto nel mondo.

Per quanto riguarda il rapporto fra le madri (femministe di Seconda Ondata) e le figlie (femministe di Terza Ondata o post-femministe), il film più significativo è sicuramente Ice Princess: è in quest’ottica che possiamo analizzare il legame fra Joan (Joan Cusack) e Casey (Michelle Trachtenberg).

Inquadriamo Ice Princess

Nel suo studio sui tween movie, Melanie Kennedy inserisce Ice Princess di diritto nel filone delle principesse post-femministe, portando la sua locandina ad esempio di come le immagini promozionali di questi film mostrino, talvolta, una scissione visiva fra le diverse “scelte” delle protagoniste, in controtendenza con le più note locandine di Pretty Princess e Cinderella Story che, come abbiamo visto, mostrano una giustapposizione di elementi contrapposti: il diadema (e/o l’abito lungo) e le scarpe da ginnastica (o gli anfibi). Ice Princess, però, presenta anche un’alternativa in linea con queste: l’immagine in cui la protagonista indossa un abito da pattinatrice, ma regge libri di scienze, come a conciliare questi due lati di sé.

Nella classificazione che Kennedy ha fatto delle principesse di questi film, la protagonista di Ice Princess (Casey) ricade nel secondo tipo, che è anche il più comune, quello della “ragazza che beneficia dei progressi del femminismo di Seconda Ondata, ma che non si allinea esplicitamente a un’ideologia femminista” e che, dunque, sarebbe da definire “post-femminista”. L’appartenenza di Casey a questo secondo gruppo si rafforza attraverso la natura quasi gender neutral del suo nome (la versione maschile suona allo stesso modo, ma si scrive Kasey), che l’accomuna ad esempio a Sam di Cinderella Story e Carter di Programma Protezione Principesse (2009): i nomi di queste ragazze “enfatizzano la loro ‘mancanza’ di femminilità e rivendicano un contesto successivo al femminismo, in cui i nomi di genere neutro sono accettati”, spiega Kennedy.
Per queste principesse post-femministe, il lieto fine coincide con la riconciliazione con la femminilità tradizionale che passa attraverso una negoziazione con il femminismo.
Nel caso di Casey, è proprio sulla pista da pattinaggio che avviene la scoperta della sua vera identità post-femminista, nonché lo scontro con sua madre, che rappresenta la Seconda Ondata.

Madri e figlie: la Seconda Ondata contro la Terza

Prima di addentrarci nell’analisi del film, soffermiamoci ancora un attimo sulle implicazioni femministe dietro al contrasto fra mamma e figlia all’interno di Ice Princess. Stacy Gillis e Rebecca Munford affermano che “il divario generazionale tra il femminismo di Seconda Ondata e le nuove forme di femminismo […] è una delle caratteristiche che definiscono il movimento”. Essendo il film prodotto (e ambientato) a metà degli anni ’00, il contrasto è fra la Seconda Ondata (anni ’60-’70) e la Terza (anni ’90-’00): come nota Astrid Henry, la complessa relazione fra queste due generazioni di femministe è stata spesso rappresentata attraverso la metafora del conflitto fra madri e figlie. Ne vediamo un esempio più recente in American Horror Story: Coven (2013), in cui Fiona rappresenta la Seconda Ondata, mentre sua figlia, Cordelia, rappresenta la Terza (e/o il post-femminismo), mentre le allieve di quest’ultima rappresentano la Quarta, che stava sorgendo proprio in quel periodo (ne ho parlato qui).

Nel caso di Ice Princess, tuttavia, è più probabile che Casey rappresenti il post-femminismo, in linea con le altre ‘principesse’ dei teen movie di quel periodo. In The Rise Of Enlightened Sexism (2010), Susan Douglas scrive che, negli anni ’00, le giovani donne sono spinte dai media a non rivedersi nel femminismo, ma piuttosto in forme di empowerment più leggere e commerciali, come il girl power. Questa visione spiccatamente post-femminista le porta a prendere atto dell’esistenza del femminismo e, al contempo, considerarlo “superato”, “noioso” e “fuori moda”, nella falsa convinzione che la parità fra i sessi sia stata raggiunta. E se la parità è stata raggiunta, ecco allora che la femminilità tradizionale, quella che per decenni era stata considerata simbolo del giogo patriarcale, può essere recuperata, in tandem con elementi progressisti derivati dalle vittorie femministe e ormai dati per scontati, assimilati al semplice buon senso.

Madri e figlie in Ice Princess

L’aspetto di Joan, la mamma di Casey, riporta alla mente l’immagine più stereotipata delle femministe di Seconda Ondata: la mancanza di trucco, i capelli non curati, i maglioni larghi e marroni…

Il seguente dialogo dissipa ogni possibile dubbio:

Joan: “Il vero segreto nello studio della natura sta tutto nell’imparare a usare i propri occhi. Sai chi l’ha detto?”
Casey: “Immagino che sia stata una donna…”
Joan: “È una frase scritta da George Sand, che era appunto una donna costretta a usare un nome da uomo per poter pubblicare i suoi romanzi…”
Casey: “Mamma!”
Joan: “Ok…”

Ironicamente, Joan non è in grado di usare i propri occhi per rendersi conto di qual è la vera passione e aspirazione della figlia: il pattinaggio.

In lingua originale:
Joan: “The whole secret of the study of nature lies in learning how to use one’s eyes You know who said that?”.
Joan: “l’m guessing it was a woman”.
Mom: “That was written by George Sand, who happened to be a woman forced to use a man’s name because she couldn’t get published any other way”.
Casey: “Mom!”.

Joan possiede una sensibilità femminista che trasmette ai suoi studenti (ci viene fatto intendere che insegni letteratura inglese all’Università), ma queste massime, per sua figlia, rappresentano più che altro una scocciatura. Dal suo seccatissimo “Mamma!”, con cui richiama la madre all’ordine, intuiamo che abbia ascoltato discorsi di questo tipo centinaia di volte e non ne possa più.

Riferendosi a Joan, Melanie Kennedy scrive che “la sua dieta vegana e le sue lezioni di letteratura femminista la segnalano come ‘noiosa’ e il suo stile di vita come ‘non convenzionale'”.

Kennedy suggerisce poi che, nelle pressioni che Joan fa sulla figlia in merito al college (vuole che vada ad Harvard), si celi un disagio che deriva dal fatto di non aver avuto la possibilità di fare lo stesso quand’era giovane perché, ai suoi tempi, le donne non avevano la libertà di scegliere cosa fare della propria vita. Questa visione risulta un filo esagerata se calcoliamo che Joan – prendendo il 1962, data di nascita di Joan Cusack, come anno di riferimento – sia presumibilmente stata in età da college fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, un’epoca in cui il femminismo di Seconda Ondata era al centro della conversazione culturale. Sebbene le donne non fossero del tutto “libere” (non lo sono tutt’ora), la condizione femminile non era paragonabile a quella degli anni ’50 in cui, ad esempio, aveva vissuto la nonna di Mia in Pretty Princess, che Kennedy cita in un’argomentazione simile a questa (in riferimento al sequel). Si suppone, dopotutto, che Joan abbia maturato la propria sensibilità femminista proprio perché ha vissuto quegli anni in modo particolarmente ricettivo – ci viene difficile credere che la sua sia stata una “conversione” tardiva. In ogni caso, quel che è certo è che Joan afferma che “se avessi imparato a usare la mia [testa] un po’ prima, se fossi andata all’università quando avevo la tua età, forse non vivremmo così. […] Non sono stata in grado di darti un quarto delle cose che avrei voluto”. Ipotizziamo, dunque, che Joan abbia avviato la sua carriera accademica a un’età matura, con l’instabilità (anche economica) che ne deriva.

Quel che è importante, tuttavia, è che Casey difenda la sua libertà di scegliere fra le diverse prospettive che le si presentano. Tutto inizia con un progetto con cui unisce pattinaggio e scienza: una sintesi perfetta di quell’ibridità post-femminista che è perfettamente incarnata dalla seconda immagine promozionale che abbiamo citato più sopra, quella con costume da pattinatrice e libri di scienze.

È proprio in relazione a questo progetto che emergono i primi contrasti fra madre e figlia. Guardando le atlete nei loro abitini attilati e scintillanti, Joan pronuncia una delle frasi più emblematiche del suo personaggio:

“Io lo so benissimo che ci vogliono allenamento, impegno e grandi qualità artistiche, ma non c’è niente da fare: quei vestitini da bambolina non mi vanno giù. […] Ci portano indietro di cinquant’anni. Se ti vedessi strizzata in uno di quegli affari, credo che scoppierei a piangere”.

In originale:
“I know it takes incredible training and effort and there’s all this artistry involved, but I’m sorry. I just can’t get past the twinkly little outfits. […] Sets us back 50 years. If I ever saw you squeezing into one of those, I’d probably start crying.”

Vediamo come invece fa vestire Casey per il colloquio ad Harvard: beige e seria, modesta e matura, come se fosse la versione più giovane di sé stessa. Ironicamente, la madre tira in ballo proprio la femminilità (“Penso che l’effetto sia molto adulto, con un accenno di femminilità. Abbiamo superato la fase di ostentazione, ma non dobbiamo negarla”), ma si tratta ovviamente di una femminilità molto sobria, ben lontana da quella veicolata dai “vestitini” delle pattinatrici.

In originale:
“l think the whole effect is very grown up, with a nod to femininity. We’ve evolved past flaunting it, but we don’t have to deny it”.

Il riferimento ai “vestitini” torna nel contesto del primo incontro fra Joan e Tina, l’allenatrice della squadra di pattinaggio della scuola che, inizialmente riluttante, prenderà poi Casey sotto la sua ala, ammettendo il suo talento. Joan, invece, che conosce Tina di fama (in passato era una pattinatrice olimpionica), sminuisce tanto lei quanto lo sport che l’accomuna alla figlia.

Il primo incontro fra Joan e Tina, all’insegna della tensione.

Joan fa la figura della “femminista guastafeste”: la sua è la voce del femminismo di Seconda Ondata che, anziché concedere piena libertà alle donne, decide cosa sia accettabile e cosa no sulla base della propria morale. Insomma: le donne passano dal ricevere indicazioni dal patriarcato a riceverle dal femminismo, che specularmente dice loro cosa possono o non possono fare. Il patriarcato dice che devi indossare “vestitini da bambolina”, mentre il femminismo dice che non devi farlo: e dov’è la libertà delle donne di scegliere per sé?

Susan Douglas afferma che, nei prodotti mediali post-femministi, le femministe di Seconda Ondata sono dipinte come “una minaccia alla felicità delle donne”. Questa è una rappresentazione a cui aderisce la stessa Joan, che di fatto cerca di porre un limite alla libertà della figlia. Ecco, quindi, che Casey si rifugia in un’altra figura materna, quella dell’allenatrice Tina.

Tina finge di preoccuparsi per Casey, ma in realtà la inganna. Sua figlia Gen non sa nulla del piano che la madre ha escogitato per liberarsi della sua rivale.
Pur essendo in parte gelosa delle attenzioni che sua madre dedica a Casey, Gen fa amicizia con lei. In generale, le due “figlie” post-femministe si rivelano più mature delle rispettive “madri”.

Sotto: nel confronto con Tina, Joan prende le parti della figlia, anche se questa l’ha tradita, e mette in dubbio la capacità di Tina di rappresentare un buon esempio non solo per Casey, ma anche per Gen.

Tuttavia, anche Tina non è una figura positiva per Casey: se Joan rappresenta il femminismo di Seconda Ondata, Tina rappresenta forse l’assenza di femminismo (se non addirittura l’anti-femminismo): infatti, l’allenatrice permette a giovani donne di raggiungere un futuro di successo nella sfera professionale, ma il prezzo da pagare è quello di una competizione sleale e spietata che le mette l’una contro l’altra. La solidarietà femminile non esiste, nel mondo di Tina. Un mondo in cui la femminilità tradizionale è un valore che si riflette nella bellezza, nella grazia e nell’eleganza di un’estetica normativa. Un’estetica che attrae Casey, in virtù della sua sensibilità post-femminista.

Casey: “Non voglio diventare come Tina”
Joan: “Ha già lasciato il segno su di te. Da dove vengono quei capelli? E quel trucco, quella camicetta? Non te l’ho comprata io, quella cosa lì”.

In originale:
Casey: l’m not gonna turn into her.
Joan: She’s already rubbed off on you.
Casey: That’s not true.
Joan: Where did this hair come from? And the make-up and shirt? l did not buy you that shirt.

Casey attribuisce la passione della figlia per il pattinaggio al glamour. Quando la figlia ribatte dicendo che si tratta di uno sport bello ed emozionante, segue un altro scambio fondamentale:

Joan: “Sei sicura che non ti faccia semplicemente sentire bella?”
Casey: “E anche se fosse? Cosa c’è di così orribile in questo? Nel sentirmi forte e aggraziata e bella per una volta nella mia vita?”

Dialogo intero, in originale:
Joan: l think you wanna be exactly like her, and if you happen to lie now and again, well, hey, at least you’ll be glamorous.
Casey: You think this is about glamour? lt is a sport, Mom. lt is a thrilling and beautiful sport.
Joan: Are you sure it doesn’t just make you feel beautiful?
Casey: So what if it does? What is so horrible about that? About feeling strong and graceful and beautiful for once in my life?

La Terza Ondata, il post-femminismo e il girl power promuovono l’empowerment attraverso la bellezza, il glamour, la moda o altri elementi tradizionalmente femminili, coniugandoli spesso con la forza o con altri elementi più tipicamente associati al femminismo. Il fatto che Joan fatichi a comprendere questo connubio la identifica chiaramente con il femminismo di Seconda Ondata, rimarcando nuovamente la differenza generazionale che la separa dalla figlia.

Sul finale, Joan capisce che deve lasciare che Casey prenda la sua strada e faccia le sue scelte. La retorica della scelta, d’altronde, è tipica della Terza Ondata e del post-femminismo: si tratta del principio alla base del choice feminism, l’idea che ogni donna debba essere libera di fare le proprie scelte, anche quando queste sembrano andare contro i principi del femminismo.
In questo caso, si tratta semplicemente di non rispettare le aspettative della madre in fatto di abbigliamento (se pensiamo ai fantomatici “vestitini”), ma soprattutto di aspirazioni future.

Le due “mamme” si commuovono guardando la performance finale di Casey.
Alla fine, sono più simili di quanto credano…

Anche fra Tina e Gen ci sono dei contrasti: la madre deve accettare il fatto che la figlia voglia vivere una vita da normale adolescente anziché dedicarsi a tempo pieno al pattinaggio.

Alla fine, Casey trova il giusto equilibrio: una dinamica che viene perfettamente rappresentata attraverso la scena in cui le due “mamme” guardano commosse la sua performance e poi si ritrovano a discutere sul futuro di Casey mentre escono dal palazzetto insieme a lei, come a volerla accompagnare nel suo percorso di vita. Le due “mamme” sembrano farle da guida, ma è Casey a dover capire qual è la sua strada, pur dovendo fare i conti con entrambe. In questa sequenza notiamo che inizialmente sono loro a farle da strada, ma poi lei cerca di superarle quando non è d’accordo con le loro indicazioni.

Questa è una scena molto evocativa a livello metaforico: Casey, in qualità di giovane post-femminista, si trova fra l’incudine e il martello, dovendo negoziare fra le istanze del femminismo (rappresentate dalla madre) e quelle del pre-femminismo o dell’anti-femminismo (rappresentate dall’allenatrice). Si tratta di un delicato equilibrio che Casey ha il compito di mantenere. Le due “mamme” sono d’accordo sul fatto che Casey non può frequentare un ragazzo e trovano un compromesso sul numero di corsi da seguire al college. Il fatto che la ragazza non rinunci alla sua istruzione, pur avendo rifiutato Harvard, è importante. Casey usufruisce degli avanzamenti portati dalle vittorie femministe, quindi la possibilità per le donne di studiare, ma anche dei piaceri della femminilità tradizionale, come la moda e la bellezza, che erano stati accantonati dalle femministe di Seconda Ondata. La protagonista, quindi, riesce a conciliare non solo lo studio e il pattinaggio, ma anche la femminilità tradizionale e il femminismo, prendendo da ciascun lato tutto ciò che di buono ha da offrirle, ma tracciando autonomamente il suo percorso post-femminista.

Per approfondire, si consigliano gli studi di Melanie Kennedy, in particolare:
Bratz, BFFs, princesses and popstars: femininity and celebrity in tween popular culture (2012); Tweenhood: Femininity and Celebrity in Tween Popular Culture (2015); “Come on, […] let’s go find your inner princess’: (Post-)Feminist Generationalism in Tween Fairy Tales” (2017).