Dal 1989 al 1999, l’incredibile successo dei film d’animazione del Rinascimento Disney ha fatto gola a molti studi concorrenti, ansiosi di adottare la stessa formula nella speranza di ottenere i medesimi riscontri. Questo era prevedibile, ma ciò che forse molti non sanno è che i principali “cloni” prodotti nel corso degli anni ‘90 sono nati dalla mente di chi alla Disney ci aveva lavorato, salvo poi andarsene di sua spontanea volontà, o venire accompagnato alla porta.

In collaborazione con Nicola Carollo, vi propongo una rapida disamina delle principali principesse non-Disney nate sulla scia dei successi degli anni ’90, con qualche nota sugli autori, sui punti di contatto con le fiabe disneyane e sulla rappresentazione femminile che queste figure restituiscono. Se i film del Rinascimento Disney offrono nuove immagini di principesse che, pur attingendo alla tradizione, prendono in considerazione le vittorie del femminismo di Seconda Ondata e le suggestioni della Terza, le principesse a loro ispirate presentano un connubio non altrettanto riuscito, pagando lo scotto di non aver compreso appieno le dinamiche che hanno ispirato la caratterizzazione di figure come Ariel, Belle e Jasmine.
Fra queste emule c’è solo un’eccezione (che conferma la regola), Anastasia: alla luce delle particolarità del suo caso, il film non sarà presente in quest’analisi, ma ne ho parlato in due post: qui in relazione al suo anno d’uscita (1997) e qui in relazione ai Classici Disney di quel periodo.

Pollicina (1994)

Negli anni ’70, Don Bluth era stata una delle personalità più carismatiche della nuova leva di animatori Disney. Dopo aver lavorato a Robin Hood (1973) e Le avventure di Winnie The Pooh (1977), ha impresso il suo stile personale nella produzione di film come Le avventure di Bianca e Bernie (1977) e Red e Toby Nemiciamici (1981), per poi abbandonare gli studi d’animazione Disney nel giorno del suo quarantesimo compleanno, il 13 settembre 1977, portandosi dietro numerosi proseliti. La motivazione? Il fatto che, a suo dire, la Disney non fosse più in grado di ricreare la magia della sua età dell’oro. In effetti, Bluth ha lavorato alla Disney in quello che è stato uno dei periodi più bui dello studio d’animazione di Burbank, tanto che, quando l’ex animatore disneyano decide di mettersi in proprio, i film nati dalla sua collaborazione con Steven Spielberg, ossia Fievel sbarca in America (1986) e Alla ricerca della valle incantata (1988), ottengono più risonanza dei Classici Disney usciti in quel periodo, ma a partire dalla fine del decennio, con l’uscita de La Sirenetta (1989) e l’inizio del Rinascimento Disney, le cose cominciano ad andare sempre peggio per Don Bluth, che fra un buco nell’acqua e l’altro produce il fiacco Pollicina (1994). Il film si pone sulla falsariga de La Sirenetta per due ragioni fondamentali: la storia originale è di Hans Christian Andersen, lo stesso autore de La Sirenetta, e l’attrice/cantante che interpreta Pollicina è Jodi Benson, che aveva dato la voce ad Ariel nel Classico Disney del 1989.

La storia si apre con un libro di fiabe, come i Classici fiabeschi tradizionali di casa Disney. A caratterizzare il volume c’è il fatto che si presenti come un libricino minuscolo, come minuscola sarà la protagonista del racconto.

Ci viene mostrato che Pollicina aiuta spesso e volentieri la madre durante le faccende di casa: ci ricorda Biancaneve, perché non sembra mai affaticata o annoiata nel farlo.
La cornice agreste può ricordare le scene in cui Belle, Mulan e Cenerentola si occupano delle faccende. Nel caso di quest’ultima, ci riferiamo alle scene ambientate all’esterno.
Anche La spada magica, come vedremo, presenta una scena simile.

Poco dopo, ascoltando il suo assolo Presto (Soon), veniamo a sapere che Pollicina vorrebbe essere più grande, quindi diversa da com’è adesso – come Ariel de La Sirenetta –, ma il suo vero desiderio non è tanto quello di cambiare, ma quello di trovare qualcuno che sia della sua taglia.
Il suo brano ha più punti in comune con una I Wish song (come quelle di Biancaneve o di Cenerentola), che con una I Want Song (come quella di Ariel), visto che il desiderio è espresso con meno determinazione ed è volto ad un amore romantico:

Presto qualcuno,
come, dove…
Mi troverà, lo so.
L’arcobaleno,
il sereno…
Per me sarà, lo so.
Sento che l’amor verrà
per portarmi via.
Tu puoi sentirmi e capirmi,
io sarò solo tua, lo so.

Il concetto è molto simile a quello espresso in Il mio amore un dì verrà (Someday My Prince Will Come) di Biancaneve:

Un giorno qui verrà
Con sé mi porterà
Quando insieme vivremo lo so
Che per sempre felice sarò
Il sogno del mio cuor
È viver col mio amor
Ma son certa che lui tornerà da me
E il sogno sarà realtà

Sia nel corso della canzone che dopo, la piccola protagonista si rivolge alle figure disegnate all’interno del libro, intrattenendo un dialogo immaginario con il suo amato in una scena che può ricordare il momento in cui Ariel interagisce con la statua di Eric ne La Sirenetta.

Subito dopo, Pollicina viene trovata dal principe Cornelius mentre è intenta a fantasticare sull’amore, come succede ad Aurora de La bella addormentata. Cornelius, a cavallo del suo bombo personale, si trova vicino alla finestra della camera di Pollicina: inizialmente viene attratto dalla sua voce, e solo in seguito dal suo aspetto, in modo simile a quanto accaduto a Biancaneve, Aurora e Ariel. Tenta quindi un primo approccio avvicinandosi di soppiatto e cogliendola di sorpresa mentre pensa di parlare con il principe del libro di fiabe (in modo simile a quanto successo con Aurora, convinta di star ballando con il suo amico gufo travestito da principe), ma la spaventa poiché Pollicina non è abituata ad interagire con gli estranei, come Aurora e Biancaneve.

Due scene a confronto: Biancaneve si spaventa nel bosco e Pollicina si spaventa alla vista di Cornelius.

Dopo il timore iniziale, i due si presentano e, poco dopo, volano sul bombo di lui, intonando una canzone che ricorda Il mondo è mio di Aladdin (1992). Durante il volo, Pollicina si aggrappa a Cornelius in modo simile a quanto faceva Jasmine con Aladdin.
Poco dopo, Pollicina dirà: “Mi piacerebbe conoscere il principe”.
Capiamo dunque che, come Cenerentola, non è conscia del fatto che il giovane che ha appena conosciuto sia il principe delle fate.

“Vieni via con me, le tue ali io sarò…”.
Come ne Il mondo è mio, si tratta di una sequenza di volo notturno: vediamo Pollicina che, come Jasmine, accarezza la superficie dell’acqua su cui i due planano.

Nel corso del film, Pollicina appare in balia degli eventi e spesso si lascia andare a momenti di sconforto. Dopo essersi smarrita, si fa consolare dagli animaletti che incontra in mezzo alla natura e poi affronta diverse vicissitudini, continuando a sperare che sia il principe Cornelius a “trovarla”, esattamente come Biancaneve.

Nonostante tenti di rifiutare i pretendenti che le si parano davanti, non riesce a imporsi fino in fondo. Inizialmente sembra si lasci abbindolare dalle loro lusinghe (un po’ come Alice nel paese delle meraviglie), poi si mostra più decisa (“Non solo la tua cocca!”), ma mai quanto Belle o Jasmine.

Verso la fine del film, Pollicina accetta di sposare il Signor Talpon.
All’ultimo momento, il ricordo di Cornelius la spinge a ribellarsi, rifiutando il Talpon sull’altare e pochi secondi dopo anche la proposta di matrimonio del ranocchio El Rambito, a cui tira perfino un calcio. Congeda anche il maggiolino Porfirio, ripetendogli “Non sono la tua cocca!”, e gettandogli addosso il velo da sposa. Ecco che torna anche qui il sogno di ottenere il vero amore, rifiutando un matrimonio combinato (di convenienza) e il ruolo di moglie-trofeo. È interessante notare come Pollicina decida di ribellarsi proprio alla fine, come a mettere in luce il passaggio dalle Principesse classiche a quelle del Rinascimento Disney.

Al contrario, il principe Cornelius è un giovane ribelle, insofferente ai genitori e al protocollo di corte, che si dimostra attivo nella ricerca di Pollicina e viene rapito dai ‘cattivi’, come Filippo de La Bella addormentata nel bosco. Inoltre, egli dichiara ai genitori di essersi già innamorato, rifiutando sul nascere i loro tentativi di organizzare un matrimonio combinato, in favore della ragazza dei suoi sogni, come il principe di Cenerentola e Filippo de La bella addormentata nel bosco.
Anche qui lei è scomparsa e lui deve ritrovarla.

La capigliatura portata da Pollicina durante il matrimonio con il Signor Talpon è un chiaro simbolo di oppressione, tanto che subito dopo essersi liberata si scioglie completamente i capelli. Il modo in cui sono disposti i nastri ricorda curiosamente la capigliatura di Jasmine.

Pollicina appare spesso molto posata, come le principesse classiche (Biancaneve, Cenerentola, Aurora), ma si lascia andare anche alla curiosità e allo scherzo: durante il loro primo incontro, deride Cornelius per il suo nome, e in diversi momenti si dimostra vivace, un po’ vanitosa, lievemente sarcastica. Questo aspetto la accomuna a ragazzine come Alice di Alice nel paese delle meraviglie (1951), Wendy de Le avventure di Peter Pan (1953) e Ailin di Taron e la pentola magica (1985). Nel personaggio di Pollicina c’è dunque molto di classico e qualcosa di moderno. Il tutto condito dallo spirito curioso, dolce e giocoso di Ariel, con cui condivide l’interprete, e perfino un accenno di impertinenza.

L’incantesimo del lago (1994)

Richard Rich ha cominciato a lavorare alla Disney nel suo periodo più buio (1977-1988), contribuendo ad alcuni dei film più caratteristici di quest’era: dopo aver lavorato come assistente alla regia per Le avventure di Winnie The Pooh (1977) e Le avventure di Bianca e Bernie (1977), passa al ruolo di co-regista con Red e Toby – Nemiciamici (1981), firmando poi la sua condanna con Taron e la pentola magica (1985), il film che ha quasi mandato in malora la stessa Disney, un colossale fiasco che la major ha cercato per anni di nascondere sotto il tappeto.
Con queste premesse, non sorprende il fatto che Rich abbia smesso di lavorare alla Disney subito dopo. Per vedere un altro suo film bisognerà aspettare quasi 10 anni: è il 1994, l’anno del picco massimo del Rinascimento Disney a livello di pubblico e critica, raggiunto con Il Re Leone. In questo contesto esce L’incantesimo del lago (The Swan Princess), il ritorno di Rich alla regia di un film d’animazione, ma anche il suo debutto con il genere della fiaba.
Infatti, sebbene l’ispirazione sia Il lago dei cigni di Pëtr Il’ič Čajkovskij, il film si pone sulla falsariga delle fiabe del Rinascimento Disney, pescando soprattutto da La bella e la bestia (1991) e Aladdin (1992), ma anche dall’immaginario delle prime tre principesse Disney (Biancaneve, Cenerentola, Aurora). Curiosamente, possiamo mettere in luce il fatto che anche la Disney stessa, nei primi anni ’90, stesse contemplando l’idea di adattare Il lago dei cigni, salvo poi cambiare idea perché sarebbe stato troppo simile a La Sirenetta per l’incantesimo che non si spezza finché il principe non dichiara il suo amore per la ragazza, la scagnozza del cattivo che cambia aspetto per ingannare il principe (come Ursula che si trasforma in Vanessa), etc.

In contrasto con la storia di Čajkovskij, la trama del film presenta tòpoi fiabeschi (se non proprio disneyani) in relazione alla figura della principessa Odette, la cui madre muore partorendola (come nella Biancaneve dei Fratelli Grimm). Odette è promessa sposa fin dalla nascita e il suo matrimonio con Derek unirà due regni, come quello fra Aurora e Filippo ne La bella addormentata (1959). Nel film è presente una scena che sembra proprio rifarsi al capolavoro del ’59, con Derek che reagisce stranito alla vista della neonata Odette in modo molto simile a come Filippo aveva reagito alla vista della neonata Aurora.

Abbiamo poi un padre che decide per la figlia, come in Aladdin.
Come Jasmine e Aurora, Odette non è inizialmente felice di quest’imposizione: finirà per innamorarsi del suo promesso sposo (come Aurora), ma solo dopo essersi assicurata che questo veda in lei più che un semplice “trofeo da vincere” (come Jasmine). Torna qui la critica alla “moglie trofeo” degli anni ’80, presente anche ne La bella e la bestia.

Curiosità: Le doppiatrici italiane di Odette, ossia Laura Boccanera (dialoghi) e Marjorie Biondo (canzoni), sono le stesse di Belle nell’edizione italiana de La Bella e la Bestia.
La seconda ha dato anche la voce a Pollicina, sia nei dialoghi che nelle parti cantate.

In poche parole, Odette non vuole essere apprezzata solo per la sua bellezza. Il concetto era già presente in Belle e Jasmine, ma qui si manifesta in modo più tangibile (e didascalico) nella seguente scena:

Derek: Sei tutto ciò che ho sempre desiderato, sei bellissima.
Odette: Grazie, ma che altro?
Derek: Che altro?
Odette: È solo la bellezza che conta per te?
Derek: C-Che altro c’è?

Abbiamo poi come antagonista lo stregone Rothbart che qui, a differenza del balletto originale, desidera sposare la principessa per ottenere il Regno del padre, esattamente come Jafar in Aladdin.

Odette reagisce in modo simile a Jasmine: si mostra orgogliosa e inflessibile; disgustata dalla proposta di Rothbart, si arrabbia e risponde a tono (“Mai!”), ma si lascia anche andare allo sconforto, consapevole del fatto che lo stregone abbia più potere di lei…

Ad eccezione di questi momenti, Odette ha un portamento e un temperamento più simile a quello di principesse come Biancaneve, Cenerentola e Aurora, o della stessa Belle.

È interessante notare come il personaggio appaia più intraprendente nei momenti in cui è un cigno, in linea con i Classici Disney degli anni ’70, in cui modelli femminili più “attivi” ed emancipati venivano incarnati da una forma animale, più che umana (vedi Miss Bianca di Bianca e Bernie).

Nel complesso, il personaggio appare moderno e classico allo stesso tempo, dimostrando tuttavia di possedere un carattere più particolare e interessante nelle scene in cui è bambina-ragazza, e una maggiore propensione all’azione in quelle in cui è un cigno.

Per il resto, oltre al fatto di ricalcare gli atteggiamenti di Belle e Jasmine (e la capigliatura di Ariel), rendendoli più marcati, viene quasi da chiedersi: «Che altro c’è?».

La spada magica (1998)

Forse il Classico del Rinascimento che più facilmente si potrebbe associare a La spada magica è Mulan, uscito nello stesso anno.
I due film presentano diversi punti di contatto, a partire dalla figura di una ragazza combattente. La spada magica esce nei cinema statunitensi il 15 maggio 1998, mentre Mulan arriva solo una ventina di giorni dopo, il 5 giugno. Non ci è dato sapere fino a che punto la Warner Bros fosse a conoscenza della produzione del film concorrente e dunque non sappiamo fino a che punto si possa parlare di un tentativo di emulazione, ma quel che è certo è che fra il 1997 e il 1998 la figura della ragazza combattente era al centro della cultura pop, sebbene gli esempi più celebri – pensiamo a Buffy o alle Superchicche – fossero costituiti da ragazze più femminili (in senso tradizionale) rispetto a Mulan e Kayley.

Ai fini dell’analisi, Kayley può essere dunque considerata come la controparte non-Disney di Mulan, specie se consideriamo l’inclusione di quest’ultima nel franchise: entrambe non sono principesse – né per diritto di nascita, né per matrimonio.
Anche il rapporto con Garrett potrebbe ricordare quello fra Mulan e Shang in quanto entrambe le coppie combattono e imparano qualcosa l’uno dall’altra.
Inoltre, la scena in cui una bambina perde la bambola all’inizio dell’invasione del nemico potrebbe essere ricollegata al momento in cui Mulan trova la bambola di pezza alla fine della canzone Per lei combatterò: l’espediente indica che le protagoniste hanno qualcosa di importante da salvare, una “ragazza per cui combattere”.

A livello estetico, però, Kayley ricorda molto Belle: entrambe hanno un volto ovale, occhi color nocciola, e capelli castani raccolti in una coda di cavallo.

Fondamentale, nel ricollegare Kayley a Belle, è la canzone Sulle ali di mio padre. Fin dalle prime strofe, Kayley ribadisce il desiderio di emulare le gesta del padre, ossia diventare un cavaliere della Tavola Rotonda.

Il testo ci ricorda la canzone di Belle perché Kayley afferma di voler visitare posti sconosciuti (“To places I have never been/ There is so much I’ve never seen”), lamentando il fatto che il suo cavallo sia andato più lontano di lei (“This horse’s stride/With one day ride/Will have covered more/Distance than me”).

Nel corso della sequenza, notiamo che Kayley è intenta a occuparsi della fattoria di famiglia, pur con riluttanza: vediamo che dà da mangiare alle galline, come fanno anche Mulan e Belle, poco prima di esprimere le sue vere ambizioni. “Come faccio a vivere grandi imprese, se resto bloccata qui, con queste stupide galline?”, si lamenta. Qui ci si ricollega al fatto che Belle voglia ‘vivere di avventure’, come da lei cantato proprio mentre si occupa delle faccende. Possiamo anche tracciare un curioso parallelismo con Taron di Taron e la pentola magica (1985): in questo caso è un ragazzo che desidera un’altra vita – anche lui, come Kayley, vuole diventare un cavaliere – ma per il momento è obbligato a occuparsi dei maiali.

Sul finale della canzone, Kayley corre verso l’orizzonte alzando le braccia al cielo, esattamente come Belle nella sua reprise, sequenza a sua volta ispirata da Tutti insieme appassionatamente (1965).

Ne La Bella e la Bestia, è proprio al termine di questa reprise che Belle riceve la chiamata all’avventura: il cavallo (Philippe) l’avverte che il padre è prigioniero nel castello della Bestia. Ne La spada magica, invece, un grifone comandato dal villain (Ruber) ruba Excalibur, e la notizia viene diffusa in tutto il regno. Kayley chiede alla madre di poter partire all’avventura in modo da recuperare la spada, ma questa le risponde di no, asserendo che avrebbe avuto modo in futuro di dimostrare il suo valore a Camelot, ma fino ad allora sarebbe dovuta rimanere con lei. Qui possiamo di nuovo tracciare un parallelismo con Belle e Mulan: loro partono per salvare il padre, mentre Kayley parte per salvare la madre; come Mulan, finisce per salvare l’intero regno.

É interessante notare come nessuno metta in dubbio le abilità di Kayley in quanto donna, luogo comune in quell’epoca, quando nessuno avrebbe mai accettato una donna come cavaliere. I genitori obiettano che sia troppo giovane – ma a inizio film appare chiaro che il padre l’avrebbe addestrata se fosse tornato vivo da Camelot – mentre Garrett più tardi avrà da ridire soltanto sulla sua inesperienza. Questo particolare lo differenzia molto da Mulan, dove viene specificato che le donne non possono in alcun modo unirsi all’esercito.

Per aspetto e caratterizzazione, l’ex cavaliere rinnegato Ruber è paragonabile a Gaston, Jafar e Shan Yu: possiede una muscolatura riconducibile ai villain de La Bella e la Bestia e Mulan, e cerca di concupire Juliana (madre di Kayley), con modalità simili a quelle di Gaston:
“Datemi un bacio, mia bella vedova. Ho saputo che vivete sola”.
“Mascalzone impertinente!” (“Impertinent pig!”), risponde lei.
Sul fronte della sete di conquista, Ruber risulta invece più riconducibile a Jafar (con cui condivide il doppiatore italiano, Massimo Corvo) e Shan Yu.

Questo film riprende dunque alcuni degli elementi tipici dei Classici del Rinascimento, ma su diversi fronti anticipa quelli del Revival (2009-2016).
Il forte rapporto col padre ricorda principesse precedenti, come Belle e Pocahontas, ma il fatto che quest’ultimo sia morto ci porta alla mente Tiana.
Kayley, come la protagonista de La principessa e il ranocchio (2009), è molto legata al padre, di cui mantiene vivo lo spirito tramite i suoi obiettivi, i suoi principi e le sue azioni nel corso del film. Kayley cresce con la madre, con cui in adolescenza sviluppa un rapporto conflittuale.
Su questo fronte si può dire che il film anticipi per la relazione madre-figlia che poi avremmo ritrovato in Ribelle – The Brave (2012), anche se qui il contrasto si limita a una singola scena (che termina, peraltro, con un arazzo che mostra madre, figlia e padre, come nel film Pixar), tanto che poi è la stessa madre ad incoraggiare Kayley a partire per salvare il Regno.
Sia Kayley che Merida, inoltre, divergono nettamente dalla tipica immagine della fanciulla da salvare – vanno a cavallo, combattono e desiderano la stessa libertà che è concessa ai maschi – e si scontrano dunque con le madri perché queste veicolano un’idea più tradizionale della femminilità.

Per altri paragoni visivi fra i due film, clicca qui.

Kayley veste abiti tradizionalmente maschili per tutto il film, salvo quello da sposa alla fine, un altro elemento che la differenzia da Mulan, che era costretta a vestirsi da uomo.
A differenza sua, Kayley è sempre a suo agio in questi panni, non appare “strana” come Mulan quando arriva al campo militare.
Inoltre, Kayley desidera partire all’avventura, e di conseguenza diventare un cavaliere, mentre Mulan vuole solo dimostrare il proprio valore in qualche modo, ed è solo durante gli allenamenti che capisce di poter diventare un buon soldato.

Belle e Kayley partono all’avventura.

Ne La spada magica troviamo dunque l’espediente del viaggio – che sarà molto presente nei Classici del Revival (e oltre) –, nel corso del quale possiamo osservare lo sviluppo di un rapporto, inizialmente conflittuale, fra la protagonista e il suo interesse amoroso, che qui si chiama Garrett ed è un eremita cieco. Alcune delle dinamiche che caratterizzano la relazione fra Kayley e Garrett sembrano di fatto anticipare i rapporti che vedremo nell’era Revival (pensiamo a Rapunzel-Flynn, Anna-Kristoff, Vaiana-Maui e via dicendo), ma si ricollegano saldamente già ad Anastasia, uscito l’anno prima, e ad alcuni dei precedenti Classici Disney (La Bella e la Bestia, Aladdin, Pocahontas), in cui già erano stati dipinti rapporti amorosi che si sviluppavano nel tempo, andando incontro a scontri e battibecchi vari prima di giungere al lieto fine.

Nel corso del viaggio veniamo a sapere che è stato Lionel, ossia il padre di Kayley, a istruire Garrett in merito alle abilità e ai valori di Camelot.
Poco dopo, Garrett afferma che le sue speranze di diventare un cavaliere sono morte assieme a Lionel, ma Kayley lo sprona a non demordere, affermando che egli non avrebbe voluto che nessuno dei due mollasse nell’inseguire il proprio sogno.
Le parole che gli rivolge poco dopo, ossia “Per me tu vali quanto gli altri cavalieri di Camelot”, ricordano quelle rivolte da Mulan a Shang: “Per quello che vale, io ti ritengo un grande capitano”.
Lo scambio di battute che segue richiama fortemente La Sirenetta, nonché il concetto dell’amore fra due mondi di cui è pervaso l’intero Rinascimento disneyano:
“Io non faccio parte di quel mondo”
“Ma fai parte del mio”.

La scena finale ci mostra il matrimonio tra Garrett e Kayley, unito alla loro nomina a cavalieri, in una scena che ricorda sia i finali di Cenerentola e La Sirenetta, sia la scena in cui Mulan riceve gli onori da parte dell’imperatore e dell’intero popolo cinese, pur non risultando altrettanto epica su quest’ultimo fronte.

Ne La spada magica, la protagonista ottiene sia la gloria sia l’amore, in linea con il mantra secondo cui le donne possono “avere tutto”, il lieto fine romantico e il successo professionale.
Il concetto viene ripreso dall’accostamento fra l’abito da sposa e lo scudo che Kayley porta all’altare, nonché dal fatto che il matrimonio e la nomina sembrino fondersi in un’unica cerimonia.

“Non è tutto quello che hai sempre sognato?” domanda Kayley.
“Non proprio tutto” le risponde Garrett baciandola.

Infine, i due si allontanano su un cavallo che riporta una targa con su scritto “Just Knighted” (“Oggi cavalieri”), parodia del celebre “Just Married” (“Oggi sposi”).
Notare che Kayley è seduta davanti, e tiene le redini, mentre Garrett le tiene il ventre. Qui vengono invertiti i ruoli di genere, dato che solitamente vediamo la donna che siede dietro all’uomo. Si tratta di una dinamica che ritroveremo, con modalità diverse, nel lieto fine di Come d’incanto e di Rapunzel.

La principessa sul pisello (2002)

Trattiamo in ultimo di un caso anomalo. Nel 2002, quando ormai il Rinascimento Disney si era definitivamente spento, usciva La principessa sul pisello, un ultimo e disperato tentativo di emulazione fuori tempo massimo. Si tratta di un lungometraggio ungo-americano, diretto da Mark Swan, artista di layout di Fievel sbarca in America, Space Jam, e In viaggio con Pippo e prodotto dalla Features Films for Family Production.

Alcuni elementi della storia rimandano all’omonima fiaba di Hans Christian Andersen, già autore delle fiabe originali di La Sirenetta e Pollicina, ma in questo caso l’ispirazione è molto labile. La vicenda segue la storia di Daria, l’erede al trono del Regno di Coraizon, che è inconsapevole delle sue origini perché scambiata sulla culla con la figlia di Laird, fratello assetato di potere dell’attuale sovrano.

Questo film è ambientato in un mondo in cui la storia della principessa sul pisello esiste già, allo stesso modo in cui la fiaba della principessa che bacia il ranocchio esiste già nell’universo del Classico Disney La principessa e il ranocchio (2009).
La principessa raffigurata nel libro è molto simile ad Aurora de La bella addormentata.

Daria ci viene presentata come una figura simile a quella di Cenerentola nel Classico Disney del 1950: costretta a sopportare le angherie dei genitori adottivi, è una giovane donna gentile e pura di cuore che non ha mai perso la speranza di poter costruire un “Regno del cuore” basato su principi di onore e bontà. Viene percepita come diversa e derisa dagli abitanti del suo villaggio perché si premura di parlare con i maiali di cui deve occuparsi, dando loro anche un nome (come faceva Cenerentola con i topi).
il modo in cui viene trattata dai suoi paesani ci fa pensare a Belle de La Bella e la Bestia, similmente considerata “strana”.

Daria si occupa degli animali come facevano Belle, Mulan e Taron.
Riguardo a quest’ultimo, sul finale de La principessa sul pisello vediamo uno dei maialini di Daria che scappa in una scena molto simile a quando Ewy, la maialina di Taron, viene rapita.

Un giorno, mentre si incammina verso il luogo in cui è solita fantasticare, Daria viene notata dal principe Rollo, in cerca di una consorte.
Daria descrive come immagina il suo Regno del cuore, in una canzone che ricorda per tematiche Dio fa qualcosa de Il gobbo di Notre-Dame (1996) e per coreografia/scenografia Quando viene dicembre di Anastasia (con i personaggi che prendono vita, scendendo dalle vetrate). Poco dopo i due si avvicinano, ma Rollo capisce che non potrà mai legarsi a lei, essendo una popolana: la dinamica ricorda La Bella addormentata nel bosco, o Aladdin a ruoli invertiti.

In seguito, Rollo comincia la sua ricerca della ragazza giusta (“the one”), un concetto che l’accomuna a Eric de La Sirenetta.
Rollo visita ogni regno vicino in cerca di una principessa pura di cuore, affidandosi alla prova del pisello sotto i venti materassi per riuscire a trovarla, così come il principe di Cenerentola ordina di far calzare la scarpetta a tutte le abitanti del suo regno.

Infine, Rollo capisce di essere innamorato di Daria e, convinto dal corvo Sebastian, torna a cercarla, poiché “ci sono cose che valgono più di tutti i regni del mondo”. Purtroppo Laird, il fratello malvagio dell’attuale sovrano (Heath), venutolo a sapere fa in modo di aizzare la folla contro Daria, come Gaston contro la Bestia ne La Bella e la Bestia.
I due finiscono per separarsi e Daria perde tutto, mentre Rollo viene costretto con l’inganno a fidanzarsi con Hildegard – figlia di Laird – in un matrimonio combinato che richiama quello tra Eric e Vanessa de La Sirenetta.

Come ne La Sirenetta, la “rivale” ha i capelli neri, in contrasto con il rosso della protagonista.

Nel frattempo, Daria trova finalmente il coraggio per ribellarsi ai genitori adottivi e, rimasta sola, inizia un duetto a distanza con Rollo, che richiama La voce dell’amore (Far Longer Than Forever) de L’incantesimo del lago.

Daria arriva al castello grazie a un atto di bontà: aiuta infatti Sasha, la domestica, caduta con i viveri comprati al mercato. Giunta lì, viene sottoposta alla prova del pisello, e così si scopre essere la vera erede del Regno del cuore. Come le altre Principesse analizzate, Daria si dimostra essere un connubio tra tradizione e modernità, presentando molte caratteristiche in comune con le principesse classiche, in particolare Cenerentola, e con quelle del Rinascimento, in particolare Belle.

La battaglia finale ha luogo nella parte più alta del castello – una location che può ricordare la battaglia finale de La Bella e la Bestia (ma anche de Il gobbo di Notre-Dame).
Infine, quando Daria incontra il suo legittimo padre, quest’ultimo la prende in braccio, facendola volteggiare, mentre lo sfondo cambia e ci ritroviamo in chiesa: è una transizione che appare molto simile al momento in cui il principe, con uno stacco analogo, fa volteggiare Belle al termine de La Bella e la Bestia, portandoci all’interno della sala da ballo.

Principesse a margine

La Storia non è fatta solo di vittorie.
Le principesse di cui abbiamo parlato in quest’articolo raccontano di un’epoca in cui la Disney dettava legge nel mondo dell’animazione, e gli altri studi si adattavano. Prendevano qualcosa, a volte guardando troppo indietro, altre volte volgendo lo sguardo in avanti, ma forse senza rendersene conto. Si tratta di film che non hanno fatto la storia, ma che, proprio attraverso le loro lacune, sono in grado di offrirci un punto di vista alternativo sul Rinascimento Disney. Il punto di vista di chi non ce l’ha fatta, ma di sicuro ci ha provato. Una nota a margine nella storia del cinema d’animazione statunitense.

The Swan Princess (1994) - Movie Review : Alternate Ending

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