In difesa di Cenerentola

Qual è il prezzo di essere considerata la “principessa” per eccellenza?
Ritrovarsi a dover incarnare, proprio malgrado, pregi e difetti di un archetipo ben radicato nell’immaginario collettivo.
La più famosa trasposizione della fiaba di Cenerentola è costituita dall’omonimo classico Disney del 1950, ma l’iconicità del personaggio si spande ben oltre la sua rappresentazione disneyana, pur rimanendone profondamente ancorata a livello estetico: pensando a Cenerentola, ci vengono subito in mente “i capelli biondi” e “l’abito azzurro”.

I più attenti di voi si saranno già accorti di quanto questa stessa rappresentazione diverga dall’effettiva trasposizione cinematografica Disney: nel film originale, l’abito di Cenerentola non è propriamente azzurro (lo diventerà nel merchandise ufficiale e in alcune scene delle successive uscite in home video) e i suoi capelli non sono biondo platino.

L'abito di Cenerentola non è azzurro e i suoi capelli non sono biondi.
Un fotogramma che mostra colori vicini a quelli concepiti originariamente per la pellicola.

Se persino l’aspetto di Cenerentola viene travisato rispetto a quanto mostrato nel film, figuriamoci la sua caratterizzazione, che nell’immaginario collettivo rimane sempre troppo legata alle precedenti versioni della fiaba. Questo porta a numerosi malintesi che aprono la strada a generalizzazioni e a un’ingiusta “demonizzazione” del personaggio concepito da Walt Disney.

Una delle accuse principali che vengono mosse a Cenerentola riguarda il suo carattere, considerato “passivo”, poco propenso all’azione e alla reazione, soprattutto in merito al rapporto con la Matrigna e con le sorellastre.

Per questo motivo, ho deciso di riguardare con attenzione il film (cosa che dovreste fare tutti!) per spiegare quanto invece siano fondamentali le azioni e le reazioni della protagonista, nella speranza che questo articolo possa costituire un piccolo “riscatto” nei confronti di un personaggio troppo spesso ingiustamente criticato.

Reagire

Vittima e anti-vittima

“Perché non reagisce? Perché non scappa?” sono le principali domande che si pongono i suoi detrattori di fronte alle ingiustizie subite dal personaggio.

La verità?
Cenerentola è prima di tutto una vittima degli abusi della Matrigna e delle sorellastre.
Prendersela con una vittima perché “non reagisce” nel modo in cui “dovrebbe” reagire è un chiaro esempio di victim blaming.
Per intenderci, è un po’ come incolpare la vittima di uno stupro perché non ha saputo difendersi o perché non ha denunciato il suo carnefice.

Premettendo che ogni vittima reagisce in modo diverso e non va colpevolizzata in nessun caso, pensiamoci bene: come reagisce Cenerentola ad anni di abusi?
Rimanendo positiva, non perdendo mai la speranza, continuando a sognare, facendo della sua immaginazione il proprio dominio, l’unica dimensione in cui la Matrigna e le sue sorellastre non hanno potere (“They can’t order me to stop dreaming!“).

A rendere ancora più tragica la situazione di Cenerentola c’è la morte di entrambi i genitori in tenera età: due lutti da elaborare che si aggiungono al peso delle sevizie della Matrigna e delle sorellastre, l’unica “famiglia” che le rimane.

Mantenere il controllo in una situazione del genere è certamente sintomo di una grande forza interiore, lungi dal rendere Cenerentola un personaggio “debole” come viene dipinto.

A rinforzare questo concetto ci pensa la studiosa Duane Dudek, secondo cui Cenerentola è “vittima di circostanze dalle quali è determinata a non uscire sconfitta”, mentre per Belinda Stott è l’anti-vittima per eccellenza, la prova di come una donna possa affrontare le avversità senza abbattersi o autocommiserarsi.

Come vedremo, Cenerentola cade nello sconforto solo quando sembra perdere la speranza, l’unica vera freccia al suo arco.
Per il resto, la giovane si dà da fare: lavora duramente e cerca sempre di vedere il buono in tutto.

Una donna del suo tempo

A chi pensa che Cenerentola sarebbe dovuta fuggire dalla casa della Matrigna, consiglierei di fare un bagno di realtà nella condizione femminile non solo dell’imprecisato e remoto tempo delle fiabe (“tanto tempo fa”), ma anche solo del 1950, anno in cui Cenerentola della Disney è uscito nei cinema americani: al tempo era ancora difficile per una donna mantenersi e andare a vivere da sola.

Il fatto che Cenerentola sia una “donna del suo tempo” la rende ancora una volta vittima, in questo caso di una società che non l’avrebbe tutelata se avesse osato ribellarsi alla Matrigna e abbandonare la casa di suo padre senza essere sposata. Acquisendo la nomea di “poco di buono”, sarebbe finita (nel migliore dei casi) a prostituirsi per strada.

Se Cenerentola decide di non ribellarsi, lo fa perché è quello che il suo istinto di sopravvivenza le suggerisce di fare: in fondo, non ha altra scelta.

Questo concetto viene espresso indirettamente dalla frase che Cenerentola rivolge al cane Tobia, intimandogli di domare il suo istinto di “catturare” Lucifero (il gatto della Matrigna) per non perdere quello che ha, un pasto caldo ogni giorno e un tetto sopra la testa. Cenerentola si trova nella sua stessa condizione.

Il nome del cane di Cenerentola è Tobia.
“Se non vuoi perdere la tua buona zuppa calda, dovrai smetterla di fare questi sogni. Sai che devi fare? Imparare ad amare i gatti”.

Per capire meglio il contesto, basterebbe fare quattro chiacchiere con le donne che hanno vissuto sulla loro pelle la realtà di 60, 70, 80 anni fa.
Ad esempio, la studiosa Kay Stone scrive di aver cambiato la sua idea su Cenerentola dopo aver ascoltato il punto di vista di sua madre, che la definiva “coraggiosa” per essersi recata al ballo di nascosto dalla Matrigna e, aggiungo io, senza un accompagnatore!

Cenerentola arriva al ballo.
Cenerentola viene accompagnata in carrozza, ma fa il suo ingresso a palazzo da sola.

Contate che, fino a qualche decennio fa, le signorine “rispettabili” dovevano sempre farsi accompagnare da qualcuno, non potevano mai uscire di casa da sole. Se ci pensate, per molti ancora oggi è un tabù il fatto che le donne escano di casa da sole in determinate circostanze (come nel caso di Cenerentola, che esce di sera tardi per recarsi a una festa).

Quindi Cenerentola è una “ribelle”?
Beh, oggi sarebbe ridicolo definirla così, ma per una spettatrice degli anni ’50, il solo fatto di recarsi da sola a una festa poteva certamente apparire come un gesto ribelle, una dichiarazione d’indipendenza.

Inoltre, Cenerentola non è rappresentata come una figura impeccabile e completamente idealizzata, almeno secondo i canoni del tempo. Lo stesso Walt Disney ha affermato: “Renderò Cenerentola una ragazza in carne ed ossa, anche a costo di darle alcune debolezze tipicamente umane“.

È importante notare infatti come Cenerentola svolga ogni sua mansione con diligenza, ma non si risparmi lamentele proferite a mezza voce, sospiri e frecciatine alle spalle delle sorellastre. In altre occasioni, cerca persino di ribattere alle irragionevoli richieste della Matrigna, esprimendo pacatamente le sue perplessità o il suo disappunto, senza mai nascondere quello che pensa: quando non lo comunica a parole, lo fa con l’atteggiamento o l’espressione del volto.
Tutti dettagli che ci fanno intendere che, dopotutto, non accetti pacificamente la sua condizione.

Questo la pone in diretto contrasto con la Biancaneve Disney del 1937 che, nonostante sia obbligata a svolgere faticose mansioni domestiche per conto della Regina, non viene mai mostrata affaticata né risentita per la condizione in cui si trova all’inizio del film.

Certo, col senno di poi ci fa un po’ ridere (e un po’ rabbrividire) il fatto che certe caratteristiche vengano considerate “debolezze umane” in riferimento a un personaggio femminile come Cenerentola, che vive in una condizione per la quale avrebbe tutto il diritto di lamentarsi. E poi, ai nostri occhi, si tratta solo di piccole manifestazioni di disappunto, non certo di una vera e propria ribellione.

Tuttavia, come ribadito in precedenza, Cenerentola è a tutti gli effetti una donna del suo tempo e come tale va considerata. Se è rivoluzionaria, lo è soprattutto per i canoni della sua epoca. Ogni piccola conquista è importante, e Cenerentola ha costituito un passo avanti rispetto al modello proposto da Biancaneve, decisamente più candido e idealizzato.

Biancaneve si dedicava di sua spontanea volontà ai lavori domestici a casa dei Sette Nani, mentre Cenerentola se ne occupa sempre e solo perché costretta.

Non a caso Walt Disney, riferendosi alla caratterizzazione di Cenerentola, ha voluto specificare come la sua versione volesse infondere al personaggio “una certa forza d’animo, a differenza della fiaba originale”.
Questo ci fornisce un’ulteriore prova di quanto sia davvero necessario valutare il personaggio nel contesto della sua epoca: cose che a noi sembrano scontate possono assumere tutt’altro valore e costituire un passo avanti rispetto a precedenti trasposizioni della stessa storia.

Agire

Andare al ballo

Arriviamo quindi al fulcro dell’azione: Cenerentola, dopo diverse vicissitudini, si reca al ballo.
Questa è una sua decisione, un obiettivo che ha difeso di fronte alla Matrigna e alle sorellastre e che ha perseguito nonostante i loro numerosi tentativi di imperdirglielo.

Notiamo fin da subito come Cenerentola reagisca con assertività quando le sorellastre mettono in dubbio la sua partecipazione al ballo, che lei percepisce come un suo diritto: “Ma perché no? Dopotutto faccio anch’io parte della famiglia. E c’è scritto che, per ordine del Re, ogni ragazza in età da marito dovrà intervenire”.

Quindi, per quanto Cenerentola si possa trovare in balìa delle azioni degli altri personaggi (la Matrigna, le sorellastre, i topini, la Fata Madrina), al centro di tutto c’è uno scopo che ha perseguito in prima persona con determinazione, impegnandosi nel finire tutte le mansioni domestiche in tempo.

Il solo fatto che l’azione più importante che compie nella sua storia sia guidata da un intento personale (e non più da un mero istinto di autoconservazione) la porta un passo avanti rispetto a Biancaneve.
Se quest’ultima aspetta che sia il principe a trovarla (“Someday my prince will come“), senza fare nulla per renderlo possibile, Cenerentola incontra il principe proprio perché agisce per realizzare un suo sogno, per quanto effimero, prendendo parte attiva nella sua storia.

Recandosi al ballo, Cenerentola muta il corso degli eventi diventando inconsapevole artefice del suo destino.

Incontrare (per caso) il principe

L’incontro con il principe avviene secondo modalità che ritroveremo in classici decisamente successivi come La Sirenetta (1989) e Aladdin (1992): la principessa – che sia Cenerentola, Ariel o Jasmine – incontra l’amato uscendo dai confini del proprio mondo, che costituisce per lei una gabbia. Se queste principesse non avessero deciso di “uscire” (dalla casa della Matrigna, dagli abissi di Atlantica, dal palazzo reale di Agrabah), i rispettivi principi non le avrebbero mai incontrate.
Inoltre, l’incontro avviene in modo assolutamente accidentale: Cenerentola, così come Ariel e Jasmine, esce dal proprio mondo guidata dalla curiosità di esplorare, scoprire qualcosa di nuovo. Non per trovare un principe.

Questo risponde ad un’altra delle critiche più gettonate, quella di chi sostiene che Cenerentola vada al ballo “per incontrare il principe”: nulla di più falso.
Quella è solo una conseguenza accidentale del suo agire. L’intento di Cenerentola era solo quello di passare una serata al di fuori della sua routine.

Lo spiega bene la doppiatrice originale di Cenerentola, Ilene Woods:

[Cenerentola] voleva semplicemente andare al ballo! Non pensava che avrebbe poi sposato il principe, la sua intenzione era principalmente quella di andare al ballo e passare una bellissima serata.

Infatti, appena arrivata a palazzo, Cenerentola si guarda attorno incantata. Non cerca il principe, anzi: se ne dimentica per tutta la sera, ricordandosene solo allo scoccare della mezzanotte.

Entra in scena il principe di Cenerentola.
Arrivata a palazzo, Cenerentola ignora il ricevimento e parte all’esplorazione del mondo che la circonda.

Cenerentola non ha secondi fini, è totalmente ignara del fatto che il giovane con cui ha ballato tutta la sera sia il principe.
Lei vuole solo divertirsi, passare una serata diversa dalle altre, e accetta pienamente l’essenza effimera del sogno che la Fata Madrina le concede. È consapevole che tutto finirà com’è iniziato. Non fa i capricci quando l’incantesimo si spezza a mezzanotte, è pronta a tornare alla vita di sempre.
Ancora non sa che il suo lieto fine è dietro l’angolo, il che ci porta a un ultimo quesito…

Chi ha salvato Cenerentola?

I detrattori di Cenerentola tendono a sminuire le sue azioni adducendo come scusa il fatto che venga costantemente “salvata” da qualcun altro, prima dalla Fata Madrina (che le fornisce l’abito, le scarpe e la carrozza), poi dai suoi amici animali (che la liberano quando viene rinchiusa nello scantinato) e infine dal principe (che la sposa, portandola via dalla casa della Matrigna).

Partiamo dalla Fata Madrina, che nel classico Disney prende il nome di Fata Smemorina: c’è chi accusa Cenerentola di essere riuscita ad andare al ballo solo per merito suo.

Ebbene, da un lato risulta davvero crudele puntare il dito contro una ragazza che, dopo una vita di abusi e di ingiustizie, riceve un aiuto – il primo su cui abbia mai potuto contare dalla morte dei genitori. È ancora più crudele se si pensa che Cenerentola ha lavorato duro (ha fatto di tutto per riuscire a finire le faccende in tempo!), per poi andare incontro all’ennesima ingiustizia quando le sorellastre le riducono l’abito in brandelli.

Dall’altro, si potrebbe pensare alla Fata Smemorina come ad una personificazione della speranza di Cenerentola.
Questo concetto si manifesta chiaramente nel primo scambio di battute fra le due.
Cenerentola afferma:

È inutile, non posso più sperare! Non spero più, non posso più credere a nulla…

A cui la Fata ribatte:

Se davvero tu non credessi più a nulla, io non potrei essere qui. E invece eccomi…

Secondo questa interpretazione, è stata la speranza di Cenerentola a salvarla, unita alla sua perseveranza.

La motivazione dietro al trionfo di Cenerentola non può però prescindere dal suo buon carattere, mai influenzato in negativo da anni di maltrattamenti da parte delle sorellastre e della Matrigna.

In questo senso, possiamo pensare che Cenerentola sia una fiaba che tratta del karma: la protagonista si salva perché è stata buona e gentile con creature umili e disprezzate come lei (i topi) e questi ultimi le restituiscono il favore aiutandola nel momento del bisogno.

Pamela O’Brien parla invece di “sistema patriarcale” in riferimento al genere maschile dei due topi Giac e Gas, che si rivelano fondamentali per il suo salvataggio.
Tuttavia, la stessa Cenerentola ha aiutato più volte i suoi amici topolini: all’inizio del film ha salvato la vita di Gas Gas, liberandolo da una trappola che l’avrebbe condotto nelle fauci del gatto Lucifero.
Possiamo notare un parallelismo fra le due scene: all’inizio del film, Cenerentola scende le scale per liberare Gas dalla trappola per topi; alla fine del film, Gas risale faticosamente le stesse scale per portarle la chiave, liberandola a sua volta dalla sua “trappola”.
È quindi una chiusura del cerchio, un aiuto reciproco e paritario fra due amici.

Lucifero intrappola Gas Gas, topo di Cenerentola.
Come suggerito dall’utente Marika Samogin, “i topi ed i gatti dovevano rappresentare, metaforicamente, l’espressione fisica del rapporto conflittuale latente tra Cenerentola e la Matrigna, che gioca con la psiche della figliastra esattamente come il gatto fa con il topo”.

A un passo dal traguardo, i due topini vengono però catturati da Lucifero: in quel momento, Cenerentola compie una scelta dall’enorme valenza simbolica.
La ragazza chiama Tobia, il cane di casa, per spaventare Lucifero permettendo che gli amici topolini Giac e Gas Gas riescano a liberarla.

Come spiegato in precedenza, la condizione del cane rispecchia quella di Cenerentola: fino a quel momento, ribellarsi sarebbe stato controproducente per entrambi. Tuttavia, come evidenziato da Koogai, “Nel momento in cui si presenta davvero una via d’uscita, Cenerentola permette a Tobia di essere disobbediente. Entrambi, in quel momento, si stanno liberando dalle loro catene”.

Tobia, cane di Cenerentola, spaventa Lucifero.
La condizione di Cenerentola viene metaforicamente incarnata prima dal topo nelle grinfie del gatto (non a caso, Cenerentola viene ‘intrappolata’ dalla Matrigna), poi dal cane che spaventa il gatto e lo fa scappare (ricordiamo l’espressione sbigottita della Matrigna nella scena in cui Cenerentola calza la scarpetta).

Chi è quindi che salva davvero Cenerentola?
La Fata Madrina?
I suoi amici animali?
O forse il principe?

Si può certamente dire che il salvataggio finale spetti al principe, che “tecnicamente” salva Cenerentola dalla sua condizione attraverso il matrimonio (situazione realistica, comune a molte donne del passato), ma in realtà è partito tutto da lei.
Se Cenerentola avesse smesso di credere, non avrebbe incontrato la Fata Smemorina e non avrebbe potuto andare al ballo e incontrare il principe; se non fosse stata gentile con gli animali, non avrebbe potuto contare sul loro aiuto.
Infine, se non avesse avuto un pizzico di coraggio, intraprendenza e ingegno, quello che l’ha portata a saper cogliere l’opportunità giusta per liberarsi dalle sue catene, non avrebbe ottenuto il suo meritato lieto fine.

Nel corso del film, Cenerentola sembra affidarsi continuamente a forze esterne (i sogni, il destino), ma la vera forza è dentro di lei.
La risposta più completa è quindi la più controversa: Cenerentola si è salvata da sola, grazie alle sue doti, alla sua forza interiore, alla speranza che non ha mai perduto.

Il principe, a conti fatti, è solo la sua ricompensa finale. Il suo contributo è necessario, ma esterno alla vicenda. Egli non influisce in alcun modo sull’effettiva risoluzione del conflitto: non a caso, non è presente nella scena in cui Cenerentola viene liberata e calza la scarpetta, ottenendo finalmente il suo personale riscatto nei confronti della Matrigna.

Cenerentola: "Ma vedete, io ho l'altra scarpetta!".
“Ma vedete, io ho l’altra scarpetta!”.
Anche in questa scena, Cenerentola ha saputo aspettare con prudenza, cogliendo l’occasione nel momento più adatto.

Cenerentola, un’eroina incompresa

Di Cenerentola esistono innumerevoli versioni scritte e altrettante trasposizioni per il cinema, per il piccolo schermo e per il web.
Ogni versione della storia dice molto dell’epoca in cui è stata concepita, e il lungometraggio animato di Walt Disney non fa eccezione.

Certo, è difficile vedere questo grande classico con gli occhi di una ragazza del 1950, ma il minimo che possiamo fare è guardarlo con attenzione per cogliere tutte le sfumature che, com’era nell’intento di Walt, rendono la sua protagonista tanto “umana” quanto profondamente radicata nel suo tempo.

A prescindere dalla versione che scegliamo di leggere o di guardare, comunque, il personaggio di Cenerentola ci permette di riflettere sulla condizione femminile di 70 anni fa e oltre.
La sua storia dipinge condizioni storiche che non vanno cancellate in nome del femminismo, ma che vanno semmai spiegate e tenute ad imperitura memoria, per capire e ricordare quanto sia stato necessario fare certi passi in avanti e quando sia fondamentale non tornare indietro.
La fiaba racconta la realtà di tante donne del passato e (purtroppo) anche di oggi, per le quali il matrimonio costituisce troppo spesso l’unica via d’uscita. In questo senso, è la società a dover essere colpevolizzata, non il personaggio, che agisce e reagisce alla sua condizione in modo coerente con il suo carattere e con la sua epoca, dimostrando una grande forza interiore e risultando essere perfino “avanti” rispetto ai tempi.

Alla fine, questa è semplicemente la storia di una ragazza che lavora duro e non si perde mai d’animo, cercando di prendere il buono da una situazione a lei avversa. Una ragazza come tante che viveva in un mondo in cui una donna non poteva ribellarsi a un genitore, denunciare un’ingiustizia, mantenersi e vivere da sola.
Una ragazza che, nonostante tutto, riesce a cogliere l’occasione giusta per riscattarsi.
Una ragazza decisamente eroica.


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Bibliografia:

Dudek, Duane. Smart, Brave, Self-sufficient-Mulan is One Tough Warrior. Disney’s New Woman. Milwaukee Journal Sentinel 22, Giugno 1998.

O’Brien, Pamela Colby. The Happiest Films on Earth: A Textual and Contextual Analysis of Walt Disney’s Cinderella and The Little Mermaid. Women’s Studies in Communication. 19.2 (Estate 1996).

Stone, Kay. And She Lived Happily Ever After?. Women and Language. Urbana: 19.1 (Primavera 1996).

Stott, Belinda. Cinderella the Strong and Reader Empowerment. New Review of Children’s Literature and Librarianship. 10.1 (Aprile 2004).

Si ringrazia Marika Samogin per le osservazioni in merito al karma e al rapporto metaforico fra gatti e topi.