Introduzione: Jun’ichi Nakahara

Jun’ichi Nakahara (1913-1983) è stato un illustratore, stilista e creatore di bambole giapponese.
La sua arte ha profondamente influenzato l’estetica che avrebbe caratterizzato gli shoujo manga (lett. “manga per ragazze”) nei decenni successivi, come ho spiegato qui.

Il concetto di shoujo, inteso come target di riferimento, nasce in Giappone agli inizi del ‘900 con le riviste a tema, che solo successivamente accoglieranno i manga. Inizialmente, queste riviste contenevano romanzi e racconti accompagnati da illustrazioni di fanciulle dalla bellezza eterea e dallo sguardo sognante, secondo lo stile jojōga.

Nakahara comincia a realizzare copertine per questo genere di riviste negli anni ’30 e continuerà fino al 1970, fondando egli stesso alcune testate.

Copertine degli anni ’30 e, in basso, degli anni ’40.

Lo stile di Nakahara, in bilico fra arte tradizionale giapponese e figurini di moda, si differenzia nettamente da quello dei suoi predecessori (Yumeji Takehisa, Kashō Takabatake, Kōji Fukiya) a causa della forma e della grandezza degli occhi delle ragazze che raffigura.
Nakahara fu probabilmente ispirato dagli occhi grandi e luccicanti delle bambole occidentali.

Come affermato dallo studioso Nozomi Masuda, lo stile di Nakahara “contribuì notevolmente a sviluppare gli occhi dei personaggi degli shoujo manga”.
Non a caso, l’artista Thomas Lay lo considera “l’anello di congiunzione dell’arte tradizionale giapponese con i manga moderni, cioè post-Seconda Guerra Mondiale”.

Il suo stile ha influenzato artisti come Macoto Takahashi e Rune Naito, che contribuiranno a plasmare l’archetipo femminile shoujo a partire dagli anni ’50/’60.

Di Nakahara sono celebri anche le illustrazioni ispirate alle fiabe: la raffigurazione di principi e principesse con il corpo scuro come un’ombra ha influenzato l’estetica fiabesca in Giappone.
Ne troviamo traccia in diversi manga e anime, in particolare Shoujo Kakumei Utena, la cui storia ed estetica si riallaccia proprio agli archetipi delle fiabe: ne avevo parlato nel dettaglio in questo post della pagina Revolutionary Girl Utena – 20th Anniversary.

Lo stesso stile è ripreso anche nella ending Princess Moon della prima stagione di Sailor Moon (1992) e negli eyecatch di Sailor Moon Crystal (2014).

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Intervista ad Angela Mambelli

Ho deciso di parlare di Jun’ichi Nakahara in occasione della performance dell’artista contemporanea Angela Mambelli a lui ispirata, che fa parte della rassegna Tiny Japan Vibes, organizzata dall’associazione culturale Duplex Ride al Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova.

Nella splendida cornice di Via Garibaldi, ho fatto quattro chiacchiere con Angela sul suo progetto Dollworld, sulla sua performance e su Jun’ichi Nakahara, senza dimenticare gli altri artisti che ha omaggiato e che omaggerà nel corso della rassegna: Yoshitomo Nara, Takashi Murakami, Kiichi Tsutaya e Junya Ishigami.

Risultato immagini per tiny japan vibes nakahara

Ciao, Angela!
Per chi non ti conosce, raccontaci in breve che tipo di artista sei e cosa fai durante le tue performance.

Mi definisco una “object teller”, narratrice di oggetti.
Allestisco stanze in miniatura. Cerco di costruire un clima, un ambiente, e di raccontare una storia, uno stato d’animo o un momento storico.
Le mie stanze sono inabitate: la narrazione è affidata agli oggetti, alla relazione che li lega l’uno con l’altro. Ogni piccolo oggetto ha una storia e un significato.
Nelle mie performance, li inserisco uno ad uno, mentre vengo filmata da una microcamera collegata a un maxischermo.

Le performance, eseguite in collaborazione con il gruppo Fludd, fanno parte di un progetto di installazioni che ho denominato “Dollworld“, nato negli anni 2000.

Cosa ha ispirato la nascita di questo progetto?

Da piccola avevo una grande passione per le bambole di carta. Le creavo e realizzavo per loro abiti e ambientazioni.

Non ho mai avuto una Barbie (erano troppo costose), ma ero iscritta al suo Fan Club ufficiale e un giorno è stato indetto un concorso per creare un’ambientazione, il tema era “Barbie a Venezia”.
Volevo assolutamente partecipare, ma mia mamma me lo impedì. Forse è per questo che mi è venuto il pallino di creare ambientazioni in miniatura: ad oggi ne ho realizzate circa 60-70. E dire che sono claustrofobica…
o
Comunque nel 2009, in occasione del cinquantennale di Barbie, ho finalmente avuto la possibilità di partecipare a un concorso a tema: ho pensato ad una performance con voci registrate e oggetti e sono arrivata terza. Barbie non c’era, ma ne potevi ascoltare la voce, che si esprimeva in rima con versi dal retrogusto dolceamaro.

Ora hai deciso di omaggiare cinque artisti giapponesi nella rassegna “Tiny Japan Vibes”, organizzata da Duplex Ride al Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova.

Sì, ognuno dei cinque appuntamenti è composto da una mia performance e dall’esibizione di un solista o di un gruppo di musica elettronica proposto dall’associazione Duplex Ride, che prende il nome proprio dalla volontà di proporre due performance diverse nel corso dello stesso evento. In questo caso, la mia performance era accompagnata da un’esibizione dell’artista genovese Armenia.

Come è nata la tua passione per l’arte giapponese?

Beh, il Giappone mi ha sempre affascinato: da piccola, a Carnevale, mi travestivo da giapponese. Poi vidi una mostra su Hokusai, ma ero molto giovane.
A far esplodere la mia passione sono state le mostre che ho visitato dopo: “Giappone avanguardia del futuro”, allestita a Genova nel 1985, e le esposizioni di Takeshi Murakami a Parigi fra il 2002 e il 2003. Sempre grazie a Murakami ho conosciuto Yoshitomo Nara e Kiichi Tsutaya, altri due artisti presenti nella rassegna.

Nella performance di sabato hai omaggiato Jun’ichi Nakahara. Parlaci di lui: come l’hai conosciuto e perché l’hai scelto?

L’ho conosciuto mentre mi stavo preparando per una performance dal titolo “Sei stanze”, che presentava appunto sei stanze in altrettante parti del mondo.
Sarà stato fra il 2003 e il 2005.
Su un libro di illustrazioni di moda vedo un’immagine di Nakahara e ne rimango folgorata. Si trattava dell’immagine che abbiamo utilizzato per la locandina dell’evento.
Ciò che mi ha colpito da subito, nella sua arte, è stata la commistione fra Oriente e Occidente: non solo nei volti delle ragazze che raffigura, ma anche negli abiti e nei riferimenti culturali.

Che tipo di donna è, quella raffigurata da Nakahara?

Nakahara affermava: “La ragazza che disegno non esiste, è un modello separato. Un’immagine lirica diversa dalle vere ragazze”.
Insomma, non è un’immagine realistica, ma un modello da seguire.
Come dicevo, le donne che disegna non hanno una nazionalità ben definita. Gli occhi sono grandi, ma con un taglio allungato. Per le ragazzine giapponesi non è possibile immedesimarsi del tutto, ma allo stesso tempo non si tratta neanche di modelli totalmente estranei alla loro fisionomia.

Un’illustrazione di Macoto Takahashi, il quale rappresenterà figure femminili molto lontane dalla fisionomia giapponese.

Infatti notiamo come la maggior parte delle ragazze illustrate da Nakahara abbiano i capelli e gli occhi scuri, in contrasto con lo stile del successivo Macoto Takahashi (vedi immagine sopra, ndr), basato su un modello totalmente diverso: una bambina americana, bionda e con gli occhi azzurri, che ha incontrato sulle rovine della Seconda Guerra Mondiale. La fisionomia occidentale proposta da Takahashi ha profondamente influenzato la rappresentazione dei personaggi shoujo. In Nakahara questa caratteristica non è ancora preponderante.

Sì, sono assolutamente d’accordo!
La donna di Nakahara rimane più vicina ai canoni giapponesi.
In un periodo in cui il governatorato americano sovrintendeva alla cultura giapponese (spesso censurandola), Nakahara recupera l’identità e la tradizione del suo Paese, mescolandole alla modernità occidentale.
In risposta alla condizione femminile di quell’epoca, Nakahara dipinge un mondo in cui la donna giapponese è più indipendente.
La sua è a tutti gli effetti una donna moderna.

Cosa ha costituito Nakahara per la società giapponese del tempo?

Una grande fonte di speranza, in particolare per la ragazze.
Nel secondo Dopoguerra, il Giappone ha vissuto un periodo di grande crisi e povertà. Il Paese era ancora profondamente scosso.
Erano gli anni appena successivi alla Bomba di Hiroshima e i giapponesi si rifugiavano nei libri, nelle riviste, nei film, nella moda.
L’obiettivo di Nakahara era quello di rendere più piacevole la vita delle donne giapponesi: in un periodo di forte crisi, forniva sistemi per cucirsi in casa gli abiti e fare piccoli lavori di arredamento. Insegnava il portamento, le buone maniere, come indossare un abito.
Nakahara ha avvicinato la società giapponese alla modernità e all’Occidente, ma – come dicevamo – senza dimenticare la propria tradizione: da un lato insegna alle ragazze a cucirsi abiti che seguono la moda proposta da Dior, dall’altro spiega loro come realizzare e indossare un kimono.

L’arte di Nakahara rappresenta l’apertura del Giappone verso il mondo e verso il futuro. In fondo, lo stesso concetto di moda è sempre proiettato in avanti, verso il cambiamento.
Una semplice rivista poteva costituire una fonte di speranza, un sogno e una finestra sul mondo, per una ragazza giapponese del Dopoguerra. Questo dimostra l’importanza delle “piccole cose”, concetto che si ricollega alla perfezione alle mie stanze in miniatura.
Per la performance di sabato, ho deciso di allestire la cameretta di una ragazza giapponese dell’epoca.

Quali oggetti hai scelto?

Un quadro contenente l’illustrazione che è stata utilizzata nella locandina dell’evento, che ho appeso anche in camera mia. Due micro-riviste di moda, un mini album contenente bambole di carta, un’immagine della cupola di Hiroshima e alcune illustrazioni di Nakahara prima e dopo la Guerra.
Poi un cappello di paglia, in riferimento al New Look di Dior che imperversava nel 1947 e che testimonia l’influenza del modello occidentale (francese, nello specifico) di cui Nakahara si faceva promotore.
E altri piccoli oggetti che rimandano alla femminilità: uno specchietto, una cipria.

Nella stanza è presente anche un omaggio allo stilista Kenzo Takada (fondatore di KENZO), che a 20 anni si presenta sotto la casa di Nakahara, ma poi non ha il coraggio di andare a suonare al campanello.
Per questo motivo, il suo ritratto è accanto alla foto del palazzo in cui abitava Nakahara.
Ho incorniciato anche una foto della moglie di Nakahara: Kuniko Ashihara, attrice del Takarazuka.

Nakahara, a partire dai tratti del volto, possedeva una componente femminile piuttosto accentuata. È interessante notare come la moglie possegga al contrario una componente maschile altrettanto accentuata. Il Tazarazuka, ricordiamolo, è una forma di teatro tradizionale giapponese in cui tutti i ruoli, sia quelli maschili sia quelli femminili, erano interpretati da donne. Kuniko Ashihara, che vediamo qui raffigurata in uniforme, interpretava ruoli maschili.

Sì, è vero!
Quindi non solo l’Occidente che incontra l’Oriente, ma anche il maschile che incontra il femminile e viceversa. In fondo l’arte, la cultura e la mentalità giapponesi sono fatte di grandi contrasti, contaminazioni e contraddizioni.

Kuniko Ashihara, moglie di Jun’ichi Nakahara.

Dopo la performance abbiamo proiettato un video registrato in cui cerco piccoli oggetti a Villetta Di Negro e trovo un kimono, un abito in stile manga e uno in stile occidentale anni ’50, a mostrare tre mondi diversi che trovano un punto comune nell’arte di Nakahara.
Nella stanza ho inserito anche una borsetta di Hello Kitty, in riferimento ad una collaborazione fra l’azienda che detiene i diritti dell’eredità artistica di Jun’ichi Nakahara e la Sanrio: anche qui, due mondi diversi che si incontrano e si contaminano a vicenda.

Anche heroica e Dollworld si contaminano a vicenda!
Angela ha realizzato questo ventaglio in stile giapponese ritagliando un’immagine presente nell’introduzione dell’articolo, che le ho fornito in versione stampata il giorno del nostro incontro.

Nel corso della Rassegna “Tiny Japan Vibes”, come dicevamo all’inizio, hai trattato e tratterai altri quattro artisti giapponesi, nell’ordine: Yoshitomo Nara, Takashi Murakami, Kiichi Tsutaya e l’architetto Junya Ishigami.

Sì, li ho scelti proprio perché nell’arte di tutti e cinque è presente una forte commistione fra Occidente e Oriente.
Ognuno di questi ha costituito per me un piccolo “choc”: quando un artista mi colpisce, mi piace attaccare una sua illustrazione in camera, vicino al mio letto, oppure nelle mie stanze in miniatura. L’ho fatto con Nara, Murakami, Nakahara, Tsutaya.

Cominciamo dal più noto, Takashi Murakami.

Murakami, come dicevo, è un po’ alla base della mia passione per il Giappone. Personalmente, apprezzo le “frivolezze”, l’esteriorità e la superficialità che ricollegano Murakami alla pop art di Andy Warhol. Ancora una volta, l’importanza delle “piccole cose”: quelle che sembrano banali, ma nascondono un mondo.

Yoshitomo Nara invece è famoso al grande pubblico per la bambina che spesso appare nelle sue opere, che a me ricorda un po’ Mafalda, la “contestataria” delle strisce di Quino, con la differenza che si esprime solo con lo sguardo.

Sì. La assocerei a Greta Thunberg: è quel tipo di ragazzina arrabbiata che ti guarda negli occhi facendoti sentire, in quanto adulto, colpevole per la situazione del mondo.
I bambini raffigurati da Nara dicono parolacce, fumano, tengono in mano armi. Anche qui, è un incontro di mondi diversi: l’innocenza che incontra la consapevolezza, la dolcezza che incontra l’insolenza e sfocia addirittura nella violenza. È un contrasto che troviamo molto spesso nelle opere giapponesi. Anche nell’arte di Murakami c’è un incontro fra il kawaii (“carino” in giapponese, ndr) e l’opprimente, l’angosciante.

La copertina di “Cinderalla” di Junko Mizuno.

Sì, mi viene in mente l’arte di Junko Mizuno o anche l’estetica J-Pop di Kyary Pamyu Pamyu, che mettono insieme “cute” e “creepy”. Il contrasto funziona parecchio, costituendo a tutti gli effetti una diramazione dell’estetica kawaii.
E cosa hai inserito, nella stanza di Nara?


Ho ricostruito la sua Drawing Room, ispirata a un’opera da lui realizzata, “From A To Z”, in cui la stanza dove lavora diventa a sua volta l’opera d’arte. In piu, Nara è un collezionista di piccoli oggetti: per questo motivo, ho inserito anche tanti piccoli pupazzetti. Insomma, un’opera assolutamente in linea sia con il concetto di stanza che con quello di miniatura.

La prossima performance sarà ispirata a Kiichi Tsutaya. Dicci qualcosa in più su questo artista e su quello che farai per omaggiarlo.

Kiichi Tsutaya realizzava album da colorare e bambole di carta. L’avvento della stampa ad ampia diffusione è stato fondamentale per il suo successo, come per quello di Nakahara.

Tsutaya è un altro dei miei preferiti, in linea con la mia passione infantile per le bambole di carta. Ho una sua illustrazione in camera, vicino al letto: è la stessa che abbiamo inserito nella locandina della rassegna.

蔦谷喜一(つたやきいち)のイラスト(塗り絵)
L’ispirazione dietro agli occhi tondi di Tsutaya sembra essere il grande successo dei bambolotti Kewpie agli inizi del ‘900.

La performance sarà a marzo, il mese della Festa giapponese delle Bambine e delle Bambole, ma non voglio svelare nulla: mi piace continuare ad allestire le mie stanze fino a mezz’ora prima dell’esibizione, quindi chissà…

Nota: A causa dell’emergenza Coronavirus, l’evento è stato posticipato a data da destinarsi.

Una bambina con l’abito tradizionale giapponese affianco ad un’altra con abiti occidentali. Ancora un incontro fra Oriente e Occidente, fra tradizione e modernità, in quest’illustrazione di Kiichi Tsutaya.

Per chiudere, una domanda che si ricollega strettamente al tema portante del mio sito.
Quali sono state, e quali sono, le tue eroine?

Domanda difficile, perché cambio sempre punti di ispirazione! Sono in continua evoluzione.
Però direi sicuramente Yoko Ono e Amelia Earhart, prima donna aviatrice: da piccola avevo una grande passione non solo per le paper dolls, ma anche per gli aerei di carta!
Poi Zelda Fitzgerald, Natalia Aspesi e più di tutte Tina Chow, modella e moglie di Mr. Chow, ristoratore cinese da cui si recavano Warhol, Basquiat e tutti i più grandi artisti della New York anni ’80. Tra l’altro somigliava un po’ alla moglie di Nakahara: conoscetela meglio e ve ne innamorerete!
Ah, aggiungo anche Björk e Isabella Rossellini.

In occasione del nostro incontro, ho regalato ad Angela alcuni degli oggetti più piccoli della mia collezione, fra cui Sailor Jupiter di Sailor Moon e ChuChu di Utena.

Intervista di Leone Locatelli.
Foto performance di Margherita Locatelli.
Un ringraziamento speciale a Angela Mambelli e a Thomas Lay.